Renzi è l’ostacolo vero, non Alfano e Verdini

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Michele Prospero
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di Michele Prospero 15 marzo 2017
Se la prende di nuovo con il pugno chiuso e la bandiera rossa. Davvero si può ragionare del futuro della coalizione di centro-sinistra rimuovendo la questione Renzi? E’ proprio questo il grande equivoco che il Brancaccio non ha sciolto postulando l’indifferenza della catena di comando del Pd. Nelle condizioni attuali, trascurare il fattore drasticamente divisivo, che è segnato dal ritorno in scena di Renzi, rivela un atteggiamento impolitico.
Per chi è appena uscito dal Pd, denunciandone l’insostenibile metamorfosi ideale, sarebbe una prova di puro nichilismo evocare l’accordo con il “giglio nero” come annuncio del tempo nuovo. Le cene affollate con D’Alema sarebbero indigeste se alla fine del convivio seguisse proprio un banchetto con il rottamatore. E la pattuglia parlamentare fuggita da Sinistra Italiana scivolerebbe nel grottesco se entrasse nell’alleanza agli ordini di Renzi e così, brandendo ogni memoria di rosso, sfidare il minoritarismo identitario.
Al Brancaccio si è invocata la discontinuità programmatica ma è mancata una chiara risposta alla grande rimozione del fattore del continuismo assoluto, cioè Renzi come l’eterno ritorno della provocazione al potere. Senza un no irrevocabile alla reconquista renziana della leadership, può aleggiare solo il proposito subalterno di armare un nucleo di pronto intervento la cui storica ambizione sarebbe quella di contendere a Verdini il ruolo di guardia d’onore del renzismo. E’ piuttosto strano considerare come incidenti ormai irrilevanti le fratture consumate da Renzi sul lavoro (cancellazione dell’articolo 18, destrutturazione dei diritti, conferimento all’impresa del potere di licenziare) e sulla costituzione (sì o no al potere personale e incoronazione mistica del grande decisore che canta la bellezza della disintermediazione).
Il lavoro aggredito e la costituzione ferita non sono piccole questioni già cadute in prescrizione. Sono le due fratture storiche destinate a pesare negli orientamenti popolari in futuro e quindi cesure non ricomponibili con appelli ai docili sentimenti. Agitare la retorica dei contenuti, e poi trascurare che proprio su questi macigni reali si è consumata una insanabile rottura con la sinistra sociale e costituzionale, è un atteggiamento esso sì verticistico e destinato al fiasco.
Se con il congresso farsa Renzi ottiene una nuova incoronazione, e legittima con i gazebo la sua pretesa al comando, è evidente che la volontà di rivincita, contro il popolo che l’ha disarcionato in un plebiscito personalizzato, rappresenta una ulteriore emergenza che aggrava il confronto politico. Dinanzi all’atteggiamento di rivalsa di un leader che, incurante delle sconfitte, persegue nel disegno di compimento della mutazione del Pd in partito privatizzato e sotto torchio per le prove di un traffico di influenza, la sinistra non dovrebbe esitare ad adottare le contromisure necessarie.
E’ chiaro che il voto avrebbe, nella strategia di Renzi, il significato di una continuazione del clima plebiscitario surriscaldato già a dicembre e ora prolungato all’infinito per evidente senso di irresponsabilità. La semplice ricomparsa della figura di Renzi, in un ruolo politico di primo piano, rappresenta un ostacolo obiettivo per la ricostruzione di un sistema politico affrancato dal populismo. Alla sinistra non resterebbe che organizzare le proprie forze raccogliendo la coalizione sociale e sindacale che si è mobilitata contro il Jobs Act, la buona scuola e i suoi folli algoritmi, e la esperienza di patriottismo costituzionale che ha visto la crescita dell’impegno civico per il referendum a difesa della costituzione repubblicana.
Una grande lista per la costituzione e per il lavoro è una necessità politica contro i profeti dell’avventura raccolti al Lingotto. Un solido argine alle destre e al revanscismo di Renzi e una sfida competitiva al M5S: questa è la missione. I campi, se il guardiano viene da Rignano, è meglio lasciarli nello stato d’abbandono. Un regime di mezzadria, che consente al capo di scegliere tra i servigi della sinistra e i capricci di Alfano, non è proprio una bella soluzione per il cambiamento. Meglio rispondere con pugno chiuso e bandiera rossa alla resurrezione del leader sfiduciato dal popolo e portatore di un nuovismo padronale già antico.
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