Renzi, lo sfasciacarrozze

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 28 giugno 2017

Che Renzi avesse il mandato a sfasciare il PD e quel che restava della cultura politica di quel partito oggi è così chiaro da rimanere abbagliati. Questo compito l’ex premier se lo era assunto con tale decisione e tale piglio, da aver convinto i suoi mandanti (pezzi di classe dirigente che ritiene la sinistra la vera zavorra alla mancata crescita del Paese) a rinnovargli la fiducia nonostante alcune sconfitte elettorali e la totale assenza di una strategia a lungo termine, surrogata a Palazzo Chigi da una tattica sempre più asfittica, fatta di narrazioni e bonus di ogni tipologia. Oggi però le cose iniziano a precipitare. Renzi sembra scivolare a valle, perdendo consensi e popolarità un po’ ovunque, anche all’interno della classe dirigente e delle élite.

Ma ciò, non a causa di quello che credono tutti (ossia le sconfitte elettorali, referendarie e la perdita di sintonia con il Paese) e, quindi, per il suo essere un perdente e per non essere in grado di sviluppare politiche adeguate allo sviluppo del Paese. Ma, al contrario, per essere un vincente, per essere uno che ha portato diligentemente a termine il compito assegnatogli di sfasciare il partito, la sinistra, la sua cultura politica, la sua presa sui ceti popolari. Renzi non vacilla perché incapace di governare l’Italia, ma perché capace, capacissimo di dare il colpo di grazia al partito, alla sua tradizione, a una cultura e persino a un’etica, e di consegnare agli elettori della sinistra un nulla rivestito di chiacchiere. Sembra aver perso, ma in realtà ha vinto, ha raggiunto il suo scopo, e quindi si è ‘compiuto’ proprio in questa missione volta a distruggerci. Per questo va via, perché ha concluso con successo il suo lavoro e adesso si apre una nuova fase.

Cosa viene dopo di questo? Dopo che Renzi ha esaurito il proprio compito di sfasciacarrozze? L’idea sarebbe (adesso) quella di sostituirlo con altri, con qualcuno che, morta la sinistra (pars destruens), possa procedere adesso nella pars construens. Ma c’è un però. Chi lo convince a tornare a Pontassieve? Chi è in grado di spiegargli che il suo compito è finito, e Palazzo Chigi non è più per lui? Forse ci ha già provato Prodi, ma gli è andata male, a quanto sembra. E credo che anche all’interno del PD vi siano stati dei tentativi infruttuosi in questo senso (Franceschini e Veltroni per primi). Gli avranno di sicuro garantito la guida del partito (per quello che il PD vale oggi, ridotto a una leggerezza simile all’inconsistenza), e lui avrà risposto: e che ci faccio di un comitato elettorale che funziona pure male? Di qui lo stallo.

La situazione insomma è delicata. Il rischio è che Renzi reagisca, magari tentando la sorte personale fuori dal PD, come una specie di Macron all’amatriciana. Lanciando un suo movimento e contando sul patto con Berlusconi per avviare politiche liberali e neocentriste in Italia: come nel sogno della prima Forza Italia. E, à la Macron, Renzi alla fine giunga a destabilizzare totalmente il quadro politico e costringa le classi dirigenti a doversi inventare qualcosa di alternativo a pochi mesi dal voto. L’affare è intricato insomma. E lascia prevedere un seguito pernicioso. Ma tutto questo è solo per dire che il sistema politico è forse destinato a sussultare, a ristrutturarsi, ad accogliere degli squilibri, in termini anche rapidi e sostanziali. E dinanzi a un quadro in tale mutamento vorticoso, sarebbe deprecabile se la sinistra non approntasse una strategia volta a rioccupare su nuove basi il campo devastato. Sarebbe una manovra d’attacco, finalmente, all’altezza della fase, e non mera sopravvivenza ideologica.

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