Renzi, la brexit e la georeferenziazione del voto

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Lucia Del Grosso
Fonte: Lucia Del Grosso
Url fonte: http://www.luciadelgrosso.it/?p=2036

di Lucia Del Grosso – 25 giugno 2016

Ecco cosa dovrebbe imparare a fare Renzi, oltre a tutto il resto che non sa comunque fare: la georeferenziazione del voto. La sposta sempre dove la vittoria può essere merito suo e la sconfitta non può essere attribuita a lui.

Il voto di domenica alle amministrative fa scopa con il voto di ieri leave/remain, ma questo non significa che Renzi se la scampi, perché il ragazzo è comunque omogeneo a quel blocco liberista, della svalutazione del lavoro invece della moneta mediante riforme contro i lavoratori e degli stravolgimenti delle Costituzioni del dopoguerra per negare rappresentanza a favore della governabilità. Li ha fatti o non li ha fatti questi compitini dettati dalle tecnostrutture europee? Quindi non può giocare a nascondino.

Immaginiamo un impossibile referendum, perché vietato dalla nostra Costituzione, come quello che si è tenuto ieri in Gran Bretagna: l’italiexit vincerebbe, non so con quale percentuale, ma vincerebbe.

Perché il leave incrocerebbe i due fattori che scatenano le rivolte, un tempo con la ghigliottina e oggi con la matita: il disagio sociale reso più insopportabile dalle disuguaglianze e l’offesa alla dignità delle persone con pensieri, opere ed omissioni (del dialogo e dell’ascolto).

Perché il PD si è collocato nel sentimento degli elettori italiani esattamente sul trono dove sedeva Maria Antonietta, più o meno: a difesa delle élite che si arricchiscono sempre di più e di leggi che negano la dignità dei lavoratori, come allora del terzo stato.

In questo quadro, non so proprio immaginare la sceneggiatura della direzione PD convocata per oggi e rinviata per impegni di Renzi a risolvere le criticità europee innescata dalla brexit (ahahahahahah, non lo posso scrivere senza ridere): cosa può chiedere la minoranza dem, quale discussione ne può scaturire e quale linea ne può venire fuori.?

Pare che verrà chiesto un cambio di passo. Per andare dove?  Per riallacciare i fili con il proprio popolo di riferimento, che ora se trova sulla scheda contrapposti un candidato PD e un altro, vota l’altro di default? E con quali militanti, per tre quarti fuggiti e i rimanenti non ancora risvegliati dall’illusione “con Renzi si vince”? Per dire cosa? Che si rimedierà all’offesa dei voucher, del contratto a tempo indeterminato con licenziamento altrettanto indeterminato e di una riforma costituzionale che annienterà l’opposizione sociale ? Come, abrogando questi capolavori?

A cosa può approdare una direzione del PD tenuta sulle macerie di un partito e assediato da quei pezzi di società che avrebbe dovuto rappresentare e che invece ha mortificato? Si può illudere la minoranza PD che una correzione di rotta del governo più frendly nei confronti dei ceti popolari possa ricucire questa frattura, dopo che si è dato il via ai licenziamenti facili? Può sperare che un lifting della segreteria con iniezioni di membri della minoranza possa rendere più amabile l’immagine del partito che ha saputo rendersi così odiosa al suo elettorato tradizionale?

Francamente io non so cosa abbiano in mente Bersani, Speranza, Cuperlo e compagnia, ma non credo quello che ho in mente io: lasciare perdere il partito e dedicarsi “pancia a terra” a fare propaganda per il NO al referendum costituzionale, senza cedere alle sirene della modifica dell’Italicum, senza mediare nel tentativo di salvare il partito e il centrosinistra: sono finiti e comunque non è e non sarà più roba vostra, ma roba appaltata a bande assetate di potere. E ritemprarsi nella battaglia politica, riscoprire la sua passione e costruire, partendo da questa campagna, insieme a quelli che hanno già intrapreso questo percorso, una sinistra della povera gente e non dei finanzieri leopoldini.

 Cambiare passo rimanendo a fianco dei finanzieri porta comunque lontano dagli sconfitti dal liberismo: abbiate coraggio di cambiare strada.

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