Autore originale del testo: Giovanni La Torre
Il Lee Oswald della politica italiana, i dubbi su Mattarella e la nostra deprimente classe politica.
Lee H. Oswald, prima del fatidico 1963, quando uccise J. F. Kennedy, aveva vissuto tre anni in Urss, inoltre era un fan di Castro, insomma era di idee comuniste. Era bravo a maneggiare le armi avendo militato nel corpo dei marines prima di lasciare gli Usa. Era però anche un soggetto facilmente influenzabile e manovrabile, a disposizione quindi di malintenzionati. Chi aveva concepito il complotto per assassinare il presidente ha pensato subito a lui. Gli avranno detto che Kennedy era il massimo rappresentante del capitalismo mondiale, che aveva approvato la disastrosa operazione della Baia dei Porci contro Castro, che aveva umiliato Kruscev in occasione della crisi dei missili di Cuba, e chissà quante altre cose dello stesso genere. La mente labile di Oswald si gasò a sufficienza per impugnare il fucile e colpire a morte il suo bersaglio.
Che si sia trattato di un complotto sembra abbastanza sicuro, al di là delle conclusioni della commissione Warren che liquidò la cosa come gesto di un esaltato. Infatti Oswald fu a sua volta ucciso da un mafioso, dopo un paio di giorni, proprio per silenziarlo, e l’ipotesi più probabile è che il complotto sia stato opera della Mafia insieme ai profughi cubani anticastristi, perché Kennedy pur avendo approvato la predetta operazione della Baia dei Porci, si rifiutò di dare ad essa la copertura aerea e di terra quando le cose cominciarono a mettersi male. E la mafia e i profughi avevano avuto grandi interessi nella Cuba di Batista che avrebbero voluto ripristinare eliminando Castro.
Il ruolo svolto da Renzi in questa crisi mi sembra, ovviamente in termini politici, uguale a quello di Oswald. Lui si crede un grande politico e un grande stratega. Le forze economiche che hanno messo gli occhi sui 209 miliardi dell’Ue, e le cui ghiandole salivari hanno cominciato subito a secernere liquido come i cani di Pavlov, senza però che il boccone arrivasse mai, l’hanno gasato a sufficienza per fargli credere che spettava a lui il “grande ruolo storico” di togliere dai piedi un governo “indegno”, un governo composto da ex comunisti e da quegli scalzacani del M5S: “ma ci pensa” gli avranno detto “faccia qualcosa lei che è un grande statista, solo lei può salvare l’Italia”. E Renzi che è anche un bulletto, ci ha creduto. Ormai da mesi le interviste a Renzi sui giornali non si contano, soprattutto su quelli della famiglia Agnelli, i cui giornalisti all’unisono hanno cominciato a recitare il requiem per il governo prima ancora che almeno si ammalasse.
Caricato a sufficienza, Renzi ha imbracciato il fucile e ha colpito a morte il governo Conte, e lui crede di aver svolto un grande ruolo da statista, mentre è stato solo il burattino in mano ad altri soggetti. (Attenzione: non sto paragonando Conte a Kennedy, ci mancherebbe!, sto solo evidenziando certe similitudini). Dopo aver svolto il ruolo di infiltrato nel Pd, Renzi ha svolto lo stesso ruolo nel governo Conte, … e dopo l’investitura ricevuta dal principe saudita … chissà! Comunque non si capiscono i meriti che vengono attribuiti a Renzi quale “vincitore” di questa fase politica e che egli stesso si attribuisce (“io da solo contro il resto del mondo 3 a zero” dichiarazione che conferma il suo essere un bulletto). E’ come se qualcuno bucasse una ciambella che sostiene una persona in alto mare, lo fa affogare e poi si vanta di “aver vinto”. Boh! Questa è una vittoria di cui vantarsi? Ovviamente chi si è servito di lui glielo fa credere.
Detto questo, dobbiamo altresì rilevare come anche il comportamento di Mattarella non sembra sia stato cristallino. Il fatto che l’incarico a Draghi sia avvenuto così in fretta, senza una altro, sia pure velocissimo, giro di consultazioni, induce, oggi, a sospettare che l’avesse in mente da subito. Come Napolitano nel 2013 aveva fin dall’inizio in mente un governo di “larghe intese” che poi affidò a Letta, anche Mattarella si ha l’impressione che avesse sin dall’inizio l’intenzione di chiamare Draghi. In entrambi i casi poi, nel 2013 nei confronti di Bersani, oggi nei confronti di Fico-Conte, il Presidente ha preteso che ci fosse una maggioranza “certa”, proprio per stroncare sul nascere eventuali altre possibilità, mentre la stessa limitazione non è stata posta a Draghi. D’altro canto, a pensarci bene, Mattarella non poteva scontentare troppo Renzi, il quale era il segretario del Pd, e quindi principale grande elettore, quando lui è stato eletto.
Si conferma così anche con Mattarella quella prassi, instauratasi nella Seconda Repubblica, che vede il Quirinale svolgere compiti squisitamente politici e non solo istituzionali. Circostanza che si spiega con l’incapacità del nostro sistema politico di raggiungere un equilibrio post Guerra fredda, e che potrebbe avere dei risvolti pericolosi se un giorno al Quirinale dovesse salire qualche personaggio più spregiudicato (perciò a quella carica bisogna mandare solo persone alla fine della loro carriera).
Infine bisogna rilevare quanto sia deprimente constatare che ogni volta che c’è qualcosa di serio e difficile da affrontare, la politica, per un motivo o per un altro, di fatto si fa da parte. Zingaretti ha dichiarato che ora “a noi restano i cocci”. Chissà se pensa che siano stati ancora una volta i “radical chic”.