di Alfredo Morganti – 31 agosto 2016
Oggi Paolo Pombeni dal giornale della Confindustria ci spiega che Renzi ha mutato strategia e che, ovviamente, fa bene a farlo. In cosa consisterebbe? Nell’avvio (per adesso auspicio) di un dialogo colle forze sociali e coi partiti, oltre la fase delle ‘forzature ultra decisioniste”. Un nuovo Renzi, insomma, allarmato, dice sempre il giornalista del Sole,dalle difficoltà e dalle sfide che lo attendono (stagnazione, quadro internazione poco rassicurante; ma io aggiungerei soprattutto referendum costituzionale). Un premier dialogante insomma, a dispetto, par di capire, della ‘risentita’ minoranza interna, e delle forze ‘radicaliste’ che “devono perciò ridimensionarsi al nuovo quadro in essere” (sempre Pombeni). Insomma, zitti e pedalate, perché Renzi è pronto a dare il ritmo come un timoniere e vuole dialogare con voi senza più litigi e risse per riunificare “un paese spaccato in lotte di fazione”. Siamo alle solite, insomma. La Confindustria e la sua stampa continuano a battere sullo stesso tasto di sempre: la politica è solo rissa, la lotta politica fa male, si deve pedalare tutti assieme e zitti sennò i problemi non si risolvono, e soprattutto non si risolvono come dicono loro.
Qualcosa di ‘nuovo’ c’è tuttavia, se è vero quel che dice Pombeni. Ossia l’inedita propensione al dialogo del premier-segretario. Si vede che le cose buttano proprio male, se Renzi si vede costretto a discutere, magari alla sua maniera, ma a discutere. Vuol dire che abbiamo buttato tre anni in bonus e marcette trionfali, questo è sicuro, e che adesso, vista la mal parata della stagnazione e del referendum, lo ammette persino Palazzo Chigi. Una volta avrebbe gettato la croce sulla sinistra interna o sui gufi, oggi Messina e i numeri dell’economia lo hanno redarguito e lui ha cambiato tattica. Se sia davvero così lo vedremo. Resta il fatto che, per Renzi, il dialogo, la mediazione, le alleanze, il confronto sono ‘vecchia’ politica, mentre la ‘nuova’ è ultra-decisionismo, rottamazione, disprezzo dei corpi intermedi, chiacchiere, distintivo e pura spacconeria (almeno in superficie, perché nel profondo è mero ‘pattismo’ extra istituzionale). Pur di non essere disarcionato dal referendum, il premier si vede costretto a darsi alla ‘vecchia’, vecchissima politica. A dialogare, a mediare, a chiamare a raccolta il Paese, a convocare a Palazzo Chigi sindacati e imprenditori. A rinnegare del tutto (almeno in apparenza o solo in apparenza, perché altro non sa fare) quello straccio di progetto politico decisionista e antipolitico che lo aveva lanciato alle primarie, sostenuto dalle simpatie della destra.
Ecco qual è la vera e invocata novità politica, in fondo. La novità del ‘vecchio’. Di quello che Renzi chiama sprezzantemente ‘vecchio’. Che è poi la politica fatta con intelligenza, la mediazione condotta in modo accorto e realista, le alleanze politiche, sociali e istituzionali, il conflitto misurato dalle regole comuni e da una cultura della condivisione, la Costituzione affidata al Parlamento nella sua interezza, il senso dell’unità nazionale al fondo di una battaglia politica anche dura e divisiva. Un ritorno del rimosso, dunque, di quello che Renzi e i suoi sostenitori avevano rimosso. E che lui, oggi, vorrebbe impugnare. Una svolta, se lo fosse davvero, che è già adesso, ancor prima di una verifica dei fatti, il segno di una sconfitta. Mi chiedo, allora: ma se serve una politica di dialogo e di mediazione, perché lui? Perché affidarla proprio al rottamatore? Ossia all’uomo meno adatto per definizione? E non invece a chi saprebbe interpretarla meglio? Nel modo dovuto? Il punto è proprio questo, se ci pensate.