Autore originale del testo: Fausto Anderlini
I conti con l’hostis
Torno su questa panzana narrativa del 15 a 5, anche perchè è penoso vedere come certi coglioni se la lasciano imporre in video.
Il rendiconto esatto è un altro. Eccolo:
– Erano chiamate al voto 7 regioni per un totale demografico di circa 22 milioni di residenti. Se si trascura la Val D’Aosta (il cui esecutivo è in via di definizione) il risultato è stato un pareggio 3 a 3. Ma un pareggio assai squilibrato visto che le tre regioni andate alla destra (o simili) rappresentano poco meno di 8 milioni di residenti, mentre le tre andate alla sinistra (o simili) ne contano 13 milioni e mezzo. Se poi consideriamo le elezioni in Emilia-Romagna come pertinenti allo stesso ciclo politico (ovvero quello del governo giallo-rosso e della remuntada fascio-leghista) il computo per la sinistra sale a 18 milioni esatti: una cifra più che doppia rispetto all’egemonia demografica della destra. Un pareggio sto cazzo!
– Anche considerando i dati a consuntivo di un più prolungato ciclo politico coincidente con la crisi della sinistra e la riorganizzazione sovranista della destra italiana le 5 regioni residuate alla sinistra comprendono 24 milioni di residenti contro i 36 appannaggio della destra, cioè il 40 % della popolazione italiana, cifra di tutto rispetto e ben al di sopra di quel terzo esatto implicito nella rappresentazione falsamente ponderata del 15 a 5.
– Se si considerano le 9 macro-regioni il bilancio è di 5 a 4 per la ‘sinistra’con un perfetto equilibrio demografico grazie al peso preponderante dei 10 milioni della Lombardia. Un equilibrio, però, comunque differenziato. Nelle regioni egemonizzate dalla sinistra il dominio parte dai sistemi metropolitani e dalle città capital, tutte governate dalla sinistra o da coalizioni comunque antitetiche alla destrai: Napoli, Bari, Roma, Bologna, Firenze. Cosa che non vale per tre importanti regioni come Piemonte, Lombardia e Sicilia dove c’è un evidente dualismo fra la politica delle capitali e quella dei territori. Sono regioni nelle quali l’egemonia politica è tutt’altro che chiusa.
– Più in generale la tendenza che si nota è il rinsaldarsi di quel blocco del centro-sud, cioè tutto il territorio continentale a sud del Po sino a Capo di Leuca e Reggio Calabria, che aveva caratterizzato il ciclo lungo dell’egemonia del centro-sinistra. E’ vero che in questa grande zolla tellurica ci sono vuoti e discontinuità ma è anche vero che la linea di tendenza non è dettata dagli Abruzzi, dalla Basilicata, dalla Calabria e dal Molise… piccole regioni destinate ad allinearsi in un modo o in un altro all’agenda dettata dalle grandi regioni metropolitane. E questo è quanto è strategicamente rilevante; l’avanzata della destra ha intaccato e scalfito il blocco geo-politico della sinistra, ma non l’ha vinto, ed ora rincula..
– Scendendo nel dettaglio sarebbe stato interessante vedere la Lombardia al voto nel dopo covid. Zaia fa il pieno anche per aver assecondato e gestito al meglio nell’emergenza pandemica quel sistema sanitario pubblico e territorialmente diffuso ereditato dalla tradizione cattolica. Il Veneto, la regione cui si deve il copyrigth del leghismo, ha confermato la sua particolarità localista, in sè aliena al sovranismo nazionalista, ma anche ben distante dal vicino modello lombardo. Le contraddizioni intrinseche al nuovo corso lego-nazionalista sono destinate ad aggravarsi decomponendolo.
– Nella Liguria, che pure è una regione urbana dovuta alla preponderanza della metropoli genovese, la ‘sinistra’ paga il cattivo rendimento amministrativo e le fratture politiche dell’era renziana che già avevano aperto le porte a Toti e alla destra. La coalizione giallo rossa è stata tardiva e comunque ha sofferto dell’handicap di una candidato (quel Sansa) tarato da un imbarazzante dilettantismo. Le coalizioni non contano nulla se il candidato non tira. In ogni caso il successo di Toti è stato tutt’altro che plebiscitario.
– Nelle Marche non solo è mancata la coalizione ma si è proceduto a un cambio in corsa dell’uscente in sè suicida. Le Marche, va ricordato, sono una regione tipica da terza Italia periferica: un territorio privo di una forte ossatura urbana e con una storia politica tutt’altro che omogenea. L’unica zona di tradizione rossa essendo il pesarese, di contro al carattere bianco del maceratese e alle venature di destra dell’ascolano. Mentre l’anconetano aveva forti ascendenze laico-repubblicane. La sintesi ‘rosa’ fra i diversi elementi è andata in crisi per carenze di leadership ma anche a causa della crisi del tessuto manifatturiero diffuso e delle conseguenze del terremoto. Sotto questo profilo Marche ed Umbria, regioni che già avevano seguito l’avventura renziana per poi sbarellare sul lato grillino, sono come due gocce d’acqua.
– Il caso Toscana è omologo a quello dell’Emilia. La sinistra vince perchè fra i diversi fattori sfrutta la rimobilitazione delle riserve identitarie consegnate nelle grandi cittè (Firenze e Livorno) e nel territorio non completamente colonizzato dalla destra. Soprattutto un voto identitario, che peraltro chiude la parentesi renziana una volta per tutte. Paradossalmente la stessa ‘leggerezza’ di Giani, una sorta di Cevenini locale (per chi non lo sappia la caratteristica del nostro caro amico bolognese tragicamente scomparso era il ‘presenzialismo’ e una naturale aderenza alla vicinanza da senso comune), potrebbe consacrarlo come un leader territoriale rappresentativo, se non incisivo. Si guarderà bene, se è saggio, dal seguire la via di Bonaccini, che si è protervamente intestato la vittoria e subito ha menato per un ruolo nazionale indebito, scadendo nel politicantismo narciso.
– Dove la sinistra vince aderisce a una modellistica diversificata. Tanto De Luca che Emiliano emergono come leader democratico-populisti interpreti della spinta meridionale, isolando ai minimi termini la destra e recuperando, anche senza coalizione, le ragioni sociali al fondo dell’emergenza dei 5S. Orgoglio regionale e domanda di protezione e rappresentanza. Personaggi post-ideologici dotati di alto professionismo politico e fiuto antropologico,, capaci di surfare sulle onde delle situazioni concrete e sulle forze che le increspano.
– Più in generale fra i leader della sinistra primeggiano gli uomini, da De Luca a Emiliano, ma anche da Zingaretti allo stesso Giani, per non parlare di Conte, che sanno dosare e contemperare l’istinto volitivo con la capacità di navigare dentro le inerzie socio-culturali. Perchè la domanda di fondo che viene dal paese è di tipo rassicurativo: stabilità, orientamento affidabile, protezione sociale, attenzione ai problemi.
– Più in generale le elezioni confermano il carattere precipuamente territoriale e periferico della destra di contro all’affinità elettiva che col tempo è venuta istituendosi fra la sinistra e le polarità urbane. Ma l’Italia non è solo il paese dei mille campanili. E’ anche la nazione regina del policentrismo urbano europeo.