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di Francesco Contorno – 23 ottobre 2016
Al di là delle semplificazioni emotive, dei pregiudizi, degli atteggiamenti o convenienze di parte, la prima virtù necessaria per ASSUMERE SERIAMENTE LA DECISIONE DEL SI O DEL NO, è L’ONESTA’ INTELLETTUALE.
Che è recuperare il coraggio di essere uomini liberi e il senso del bene comune, cioè la capacità di sapere guardare al futuro anteponendo gli interessi di tutti a quelli personali o di gruppo.
La tendenza di alcuni a prefigurare scenari apocalittici in caso di vittoria del SI e quella da parte di altri di eliminare il dissenso del NO sminuendo la portata del cambiamento che di fatto l’eventuale approvazione del Referendum comporterebbe negli equilibri fra le Istituzioni, nelle garanzie per i Cittadini nei rapporti con lo Stato e nello svuotamento del potere decisionale dell’Italia nei confronti dell’Europa, è un modo per evadere la ricerca sulla effettiva esigenza o meno della riforma e per non considerare seriamente i gravi problemi di diseguaglianze e emarginazioni che affliggono il Paese.
Così come pare errato l’atteggiamento pregiudiziale per il NO escludendo qualsiasi valutazione di merito sulla proposta di riforma, allo stesso modo appare fuorviante lo slogan: “ridurre i costi della politica”, che è il cavallo di battaglia per i sostenitori del Si. Un concetto troppo usato e abusato da questo governo per essere ritenuto credibile e affidabile, ancor quando alla luce dei fatti l’aggravio della pressione fiscale sui cittadini e sulle piccole imprese è palesemente aumentato, così come il livello di povertà e di disoccupazione. Mentre i costi dei servizi e di rappresentanza istituzionale e in particolare quelli dei governanti hanno assunto, contrariamente al proclama renziano della prima ora, proporzioni non più accettabili.
Per quanti hanno memoria corta ma non sono in mala fede, basterebbe che rileggessero il discorso di insediamento di Renzi sulle riduzioni e sulla sobrietà per comprendere su quale “campo di bugie” si naviga.
L’onesta intellettuale non è qualcosa che si inventa o si prende in prestito, ma è un modo di concepire la responsabilità nei confronti del prossimo, al contrario dell’arroganza e della sufficienza. Parlare di “onestà intellettuale” significa interrogarsi seriamente sul coinvolgimento dell’Italia nelle guerre, che in modo interessato o artatamente si innescano nel mondo. Significa assumere posizioni decise sugli abusi che l’Italia subisce quotidianamente sui suoi prodotti d’eccellenza, significa preoccuparsi con coscienza per l’equilibrio delle famiglie messe a dura prova da marchingegni legislativi, significa provvedere costruttivamente per il benessere della popolazione, per lo sviluppo, per il lavoro, per fronteggiare la disoccupazione, per il rigore morale, per un rilancio economico e equanime del Paese.
Chi vuole considerare la proposta della riforma costituzionale come “spugna” per pulire il volto di una società segnata dalla mala politica o come rimedio per superare le incrostazioni del malaffare è, nella sostanza, un parolaio che manca nel suo linguaggio di “onestà intellettuale”. Che offre certezze là dove non ci sono, che propone scorciatoie non sempre legittime, per ottenere un consenso immediato, per creare una opinione a favore di iniziative legislative non opportune o non necessarie, alla causa del Paese.
Dunque, al di là del necessario ammodernamento istituzionale, pur nella logica di una “politica nuova” e non etichettata, non si può accettare da cittadini responsabili e consapevoli che questa revisione costituzionale, a firma di una sola parte politica, possa ottenere un consenso senza un esame serio dei risvolti che implica nell’equilibrio futuro della società. Come d’altronde nessun altro soggetto politico può pretendere di accaparrarsi la paternità di un probabile esito negativo per una riforma discutibile sul piano del metodo, dello stile, della qualità e della sostanza.