di Fausto Anderlini – 24 ottobre 2017
Avanti verso il 1994. Il giro di boa dei referendum lombardo-veneti dopo le strambate del Pdr.
Appena incassato il ‘plebiscito’, Zaia rilancia. Chiedendo per il Veneto uno statuto speciale analogo alla Val D’Aosta, al Friuli e al Trentino-Alto Adige. Roba impraticabile e inverosimile ma utilissima da agire come brand identitario almeno per qualche lustro. Come già per l’invenzione narrativa della Padania la Lega, partito di stampo empirico ed esoterico, è sempre vissuta (e sopravvissuta) dietro cortine fumogene e oggetti misteriosi tratti dal cilindro del comune senso locale.
E’ ai veneti, e in particolare a quell’onesto cultore di un federalismo fondato sulle realtà forali che fu Franco Rocchetta, che si deve la nascita della Lega, allora Liga veneta. Partorita per imitazione delle vicine liste etnico-linguistiche, dal Movimento Friuli all’Union Valdotaine, passando per la Svp alto atesina. La Lega Lombarda e le Liste valligiane del Piemont ne furono a loro volta conseguenze imitative. Si deve al genio di Bossi l’invenzione della Padania e la sottomissione delle leghe locali al centro nazionale lombardo (con il mito dell’ampolla di Pian del Re, del prato di Pontida e la capitale a Mantova – oggi la provincia meno interessata al referendum). Con la conseguenza che Rocchetta e i vecchi pionieri veneti furono messi alla porta.
Processi evolutivi di lunga durata e con varie soluzioni crisiche che al momento si condensano in una tripartizione dell’impianto partitico padano edificato da Bossi: la Lega di Zaia trionfante nella roccaforte veneta su un modello simil catalano (e già Rocchetta aveva tessuto stretti rapporti, a suo tempo, con gli indipendentisti precursori di Puigdemont); la lega lombarda a trazione moderata di Maroni, la Lega nazional lepenista di Salvini (la più apocrifa delle tre e verosimilmente destinata a lasciare il passo ai Fratelli post-fascisti). Come fossimo tornati alle origini, alla metà degli ’80 del secolo scorso. Seppure a un grado imparagonabile di intensità.
Dopo lunga crisi la destra torna ad assumere una configurazione popolar-regionale, marcando cleavages che l’emersione grillina e il turbo-renzismo sembravano aver diluito. Da cui un immediato interrogativo. Chi è che può federare queste istanze in un quadro di politica nazionale ? La risposta è semplice: Berlusconi e Forza Italia. Esattamente come all’origine delle fortune del Cavaliere, anche se con una forza comparativa che è tutta da misurare. C’è intanto un aspetto cruciale da considerare. Il ‘ritorno’ della Lega ai suoi ingredienti originari, mettendo la sordina al neo-sovranismo salviniano, rende assai più fluida la possibilità per Forza Italia di svolgere la funzione di garante rispetto al moderatismo europeo. Una eventualità forse più realistica per l’establishment che quell’ordine presidia che una alleanza ipotetica col pazzo di Rignano e il suo Pd (magari più utile come eventuale forza aggiunta al ricostruito blocco di centro-destra).
In questo contesto il Rosatellum è il dispositivo più idoneo per dare sviluppo a questa potenzialità risolvendo il rebus della governabilità. Si deve alla suprema imbecillità del Pd in tutte le sue componenti d’aver reso possibile questo sbocco. Mentre la destra ritrova e valorizza le sue retrovie territoriali (cruciali per gestire la parte maggioritaria) il centro-sinistra ha dolosamente attentato alle proprie. Una imbecillità aggravata da un tatticismo improvvisato e senza scopo, se si pensa che il Pd è passato dal tentativo di instaurare una costituzione ipercentralista all’adesione codista ai referendum lombardo-veneti (oscillazione isterica solo temperata dal tardivo tentativo di recupero operata dall’accordo col Bonacini emiliano). Ora Renzi si dimostra ragionevole e riflessivo rispetto all’esito del referendum laddove rispose con protervia alla sentenza del dicembre 2016. Propone un generale abbassamento delle tasse come se potesse appropriare a sè, con una banale dichiarazione, le plusvalenze venete. Da aggiungere al 40 % ottenuto su una piattaforma spinta sino all’eversione centralistocratica. Un cretino al servizio di Berlusconi. Rivelandosi il Pdr come il vero partito degli imbecilli. Che non è vero che nel popolo siano la maggioranza. Sono una minoranza. Ma tutta nel Pd.