Autore originale del testo: Thomas Piketty
Fonte: facciamo sinistra
Url fonte: http://facciamosinistra.blogspot.it/2016/12/reddito-di-base-o-salario-equo.html
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di Thomas Piketty 27 dicembre 2016
Il dibattito sul reddito di base ha almeno una virtù, e segnatamente quella di ricordarci che vi è in Francia un certo grado di consenso sul fatto che chiunque dovrebbe avere un reddito minimo. Le discordanze riguardano l’ammontare. Al momento, la Revenù de Solidaritè Active o RSA (il programma francese di reddito minimo) garantisce a individui singoli senza figli a carico 530 euro al mese, una somma secondo alcuni sufficiente, e che altri vorrebbero venisse elevata a 800 euro. Ma sia a sinistra che a destra, tutti sembrano concordi sull’esistenza di un reddito minimo intorno a questo livello, in Francia come in numerosi altri paesi Europei.
Negli Stati Uniti, i poveri senza figli hanno a che fare con i ‘food stamps’ e lo Stato sociale assume spesso le sembianze di un guardiano o addirittura di una prigione. Questo consenso deve essere apprezzato ma, nello stesso tempo, non lo si può considerare soddisfacente. Il problema nella discussione sul reddito di base è che nella maggior parte dei casi lascia inesplorati i veri argomenti e che esprime in realtà un concetto di giustizia sociale al minor costo. La questione della giustizia non si riduce a un problema di 530 o 800 euro mensili. Se desideriamo vivere in una società equa e giusta dobbiamo formulare obiettivi più ambiziosi che concernono l’intera distribuzione del reddito e della ricchezza e, di conseguenza, la distribuzione dell’accesso al potere e le opportunità. Dobbiamo ambire ad una società con un’equa remunerazione del lavoro, o, in altre parole, un equo salario e non semplicemente un reddito di base. Per muoverci in tale direzione, dobbiamo ripensare un insieme di istituzioni e di politiche fra loro interagenti: il che include servizi pubblici, e in particolare l’educazione, le leggi sul lavoro e sulle sue organizzazioni, il sistema fiscale. Nel primo caso, dobbiamo sfidare l’ipocrisia nel nostro sistema educativo, che troppo frequentemente riproduce o addirittura esacerba le ineguaglianze. E’ il caso dell’educazione al suo livello più alto. Le università più popolari, quelle che ospitano più studenti svantaggiati, sono di molto sottofinanziate rispetto alle università elitiste.
La situazione ha continuato a peggiorare, con il risultato che oggi intere generazioni si accalcano, per le lezioni, all’interno di teatri. Lo stesso vale per le scuole e le università tecniche. In pratica, gli istituti non privilegiati hanno molti più insegnanti inesperti e con contratti precari rispetto agli altri, con il risultato che la spesa pubblica effettiva per alunno è inferiore che non altrove.
In mancanza di una politica di ripartizione delle risorse trasparente e verificabile, ci si è concentrati sulla colpevolizzazione degli istituti, classificandoli come facenti parte di un’area di educazione privilegiata (Zone d’education prioritaire o ZEP), senza aumentargli le risorse, laddove le autorità avrebbero dovuto fare l’opposto. Se in più teniamo presente che nulla è stato fatto per integrare le classi sociali e che al settore privato è stato permesso di far iscrivere coloro ritenuti all’altezza, beneficiando al contempo dei finanziamenti pubblici, siamo veramente lontani dall’eguaglianza delle opportunità sbandierata nelle campagne elettorali.
Per andare in direzione del giusto salario, dobbiamo smettere di denigrare il ruolo dei sindacati, il salario minimo e i livelli salariali. Dobbiamo riconsiderare il ruolo assegnato ai rappresentanti dei dipendenti. In paesi dove essi rivestono un ruolo attivo negli organi esecutivi, fra un terzo e la metà dei voti in Svezia e Germania, troviamo una scala ristretta di livelli salariali, maggiore partecipazione dei dipendenti nelle strategie aziendali e, in conclusione, più elevata produttività. Inoltre, niente ci impedisce di immaginare forme originali di condivisione del potere, con i membri esecutivi eletti sia dai dipendenti che dagli azionisti (per oltrepassare il rapporto fra amministratori stipendiati e azionisti, con la maggioranza automaticamente in mano ai secondi). Per limitare il potere del capitale e la sua perpetuazione, il sistema fiscale deve anch’esso svolgere pienamente il suo ruolo, in particolare tramite una tassazione progressiva sulla proprietà, che consenta la trasformazione del diritto di proprietà in un diritto temporaneo, almeno per la maggior parte dei proprietari. Questo è quello che in effetti le tasse di successione fanno per quanto riguarda la trasmissione intergenerazionale (la proprietà di famiglia non è più permanente), e lo stesso fanno le tasse annuali progressive sulla proprietà nell’arco di una vita. Invece, la Destra vuole sopprimere la nostra magra tassa sulla ricchezza (ISF, Impot sur la Fortune); questa invece, dovrebbe essere avvicinata alla tassa sulla proprietà (taxe fonciere), per ridurre questa a favore dei piccoli proprietari. Infine, un livello progressivo di tassa sul reddito contribuirebbe al giusto salario riducendo al minimo la distanza fra i redditi. L’esperienza storica mostra che elevati livelli marginali di tassazione sui redditi altissimi, in media l’82% fra il 1930 e il 1980 negli USA, ha posto un limite agli stipendi giganteschi con un considerevole beneficio per i salari più bassi e per l’efficienza economica.
L’ultimo punto è che con la deduzione della tassa sul reddito alla fonte, una tassa progressiva sul reddito permette il pagamento del reddito di base dovuto ai percettori di un basso salario direttamente nella busta paga o nella dichiarazione dei redditi. Attualmente, un dipendente a tempo pieno retribuito al livello salariale minimo (lo SMIC) guadagna 1150 euro netti, dopo avere dedotto dal salario lordo di 1460 euro, 310 euro per il CSG (Generalized Social Contribution) e altri contributi. In pratica, diversi mesi dopo, il lavoratore può essere ammesso a un beneficio equivalente a 130 euro per ogni mese. Sarebbe di gran lunga preferibile ridurre la deduzione alla fonte e aumentare il salario netto di un ammonatre equivalente. Per la stessa ragione, trovo difficile capire coloro che insistono nel volere pagare un reddito di base equivalente a 500 euro al mese a favore di chi guadagna un salario di 2000 euro, e poi dedurre la stessa somma con un incremento delle relative tasse dedotte alla fonte.
E’ ora che nel dibattito sulla giustizia vengano poste le domande appropriate.
Articolo pubblicato su Le Monde – blog dell’Autore
Traduzione per facciamosinistra! a cura di Sergio Farris