Receduti te salutant

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Anna Lombroso
Fonte: il Simplicissimus

Anna Lombroso per il Simplicissimus – 6 agosto 2014

L’Italia torna in recessione. Secondo la stima preliminare dell’Istat il Pil è calato dello 0,2% nel secondo trimestre, dopo essersi contratto dello 0,1% nei primi tre mesi dell’anno. Saltano definitivamente le stime inserite nel Def: a questo punto l’andamento del prodotto interno nel 2014 sarà nella migliore delle ipotesi piatto. Aumenta lo spread e Piazza Affari va in rosso. Si complica la preparazione della legge di Stabilità per il 2015, secondo il vice ministro Morando n0n ci sarà manovra aggiuntiva e  il Ministro Padoan, che sente avvicinarsi una “purga”, scopre che uscire dalla crisi è “difficile”.

Mentre veniva pubblicato l’annuncio della recessione – definita “tecnica” come se così facesse meno male – veniva votata la soppressione del Cnel, ente dispendioso quanto inutile. E forse dovranno temere all’Istat: il governo dei bambocci trova sempre modo di attribuire  la colpa ad altri, ai predecessori, ai soloni, ai gufi, ai disfattisti. E stavolta potrebbe essere l’Istat, che d’altra parte ha dimostrato tante volte di non saper far di conto, dalle remunerazioni dei parlamentari, ai numeri della disoccupazione, dagli esodati, agli immigrati, che frena il radioso cammino delle riforme. Così anche questa lezione non certo inattesa, non servirà a niente, il giovane zerbinotto imbolsito dal potere si appella a “coraggio”, qualità a lui poco consona benché richiami a antiche letture, Giamburrasca e  Tex Willer, e alla “fiducia”, che pensava di essersi conquistato a tempo indefinito con la partita di giro degli 80 euro, metti là, leva qua, come se un obolo estemporaneo potesse magicamente far salire il Pil, riavviare consumi e produzioni,  garantire consenso illimitato.

Non servirà a niente se non a ridare vigore alle litanie propiziatorie: ridiscutere i trattati, aiutare le imprese, diminuire il costo del lavoro, ma senza aumentare le tasse. E ci credo, ormai non ci sono più vacche magre da mungere e quelle grasse non si toccano, come forse è stato ribadito nel lungo incontro tra i due nazareni, ambedue convinti che la giustizia consista appunto nel tener ferma quella bilancia, che sarebbe iniquo farla pesare dalla parte di chi ha.

A tre anni dalla lettera della Bce, dagli inghippi e dagli accordi sottobanco che hanno portato alla temporanea rimozione ufficiale del Cavaliere, tutto è rimasto uguale, anzi è peggiorato. Le menzogne su una svolta che converta la galera europea in una confederazione di Paesi sovrani, quelle sulla messa in discussione di trattati sottoscritti davanti alla  crudele divinità comunitaria, come se i patti non fossero frutto di accordi tra stati, cui è onorevole venir meno quando è stata fatta venir meno sovranità di stato e di popolo e come se il più infame non fosse stato votato dal Parlamento silenziosamente ma a larga maggioranza. Quelle sulla doverosa e inevitabile austerità, cui non crede più nessuno salvo quelli che ancora la usano come grimaldello per aprire le porte a manomissioni della democrazia, da far digerire  in nome della necessità. Quelle sulla natura della crisi, presentata come un evento naturale, proprio come le bombe d’acqua mille volte annunciate, inevitabile nel percorso fatale del capitalismo, una momentanea distorsione, cui forse verrà qualcuno dal cielo a porre riparo – e probabilmente lo pensa anche Padoan – se non ci sta riuscendo il vispo e intraprendente ragazzotto con tutta la sua burbanzosa fuffa. Quelle sull’autorevolezza dell’Italia, un Paese che manda in “visita privata” ai “loro marò”, che miei non sono,  la ministra della Difesa, per incoraggiarli, che di rassicurazioni, siano o no assassini, i due vigilantes mandati a far la guardia a chissà che carichi privati e disinvolti ne hanno avute fin troppe, dai governi che si sono susseguiti. O che teme per la sua credibilità se non realizza un’esposizione ottocentesca sulle modernissime rovine della legge, delle regole, della trasparenza, dell’onestà.

Il fatto vero è che è sbagliata la diagnosi della crisi, sono sbagliati i medici, sono sbagliate le ricette e ancor peggio le medicine che ci stanno facendo ingoiare: i cerotti da 80 euro per nascondere gli attentati alla democrazia e la fine del lavoro, dei suoi valori, dei suoi diritti, la flessibilità,  presentata come panacea per il “rilancio dell’economia” e voluta da una cupola sovranazionale intesa alla riorganizzazione globale del processo produttivo e attuata allo scopo di ridurre i costi e di disporre di contingenti di forza lavoro di volta in volta necessari, come un esercito mercenario pronto a ogni battaglia e con vincoli formali minimi di tutela.

Ed è sbagliata l’accettazione di tutto questo, l’acquiescenza dei tanti che non credono ma sperano nel miracolo, nella provvidenza, nei marziani che ci comprano a un prezzo migliore degli emirati o dei cinesi, quelli che si  interrogano sulla povertà prodotta dalla crisi e non sulla ricchezza che permane e che ha contribuito a determinarne gli effetti, quelli che si arrendono all’inviolabilità della rendita e alla ineluttabilità della delega. Su tutto questo che ognuno di noi può verificare guardandosi intorno, ascoltandosi parlare, dando retta agli altri come lui, l’Istat non dice, ammalata dello stesso contagio del ceto dirigente, quella lontananza dalla vita per salvarne la privilegiata imitazione che stanno facendo scorrere come sabbia tra le dita.

Babelezon bookstore leggi che ti passa

Articoli correlati

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.