Raniero La Valle: Israele, l’ipotesi esclusa: “Non c’è infatti solo la crisi politica suscitata dalle notizie sulle responsabilità israeliane che hanno favorito l’attacco di Hamas del 7 ottobre: il terrorismo dei coloni in Cisgiordania che ha alimentato il terrorismo palestinese, le passeggiate delle autorità sulla spianata delle Moschee, l’inerzia del governo e la mancata prevenzione dell’attentato, denunciata dal rapporto dello Shin Bet del 5 marzo, che non solo contesta le colpe del governo, ma ne fa sospettare il dolo, ciò che ha prodotto la rimozione dello stesso capo del Servizio segreto, Ronen Bar”

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Raniero La Valle
L’IPOTESI ESCLUSA
Finalmente in Israele è esploso il problema vero, che non riguarda solo lo Stato, minacciato dall’interno da Netanyahu che ne riduce e mina la democrazia, alla Trump, come egli stesso ha ammesso in un video in cui ha condannato il “deep State”, e come ha denunciato il 21 marzo il quotidiano “Haaretz”. Il tormento che scuote Israele investe l’intera Diaspora ebraica, ossia il popolo ebraico presente nel mondo, in ciò che esso ha di peculiare e più suo, il rapporto con la sua fede.
Non c’è infatti solo la crisi politica suscitata dalle notizie sulle responsabilità israeliane che hanno favorito l’attacco di Hamas del 7 ottobre: il terrorismo dei coloni in Cisgiordania che ha alimentato il terrorismo palestinese, le passeggiate delle autorità sulla spianata delle Moschee, l’inerzia del governo e la mancata prevenzione dell’attentato, denunciata dal rapporto dello Shin Bet del 5 marzo, che non solo contesta le colpe del governo, ma ne fa sospettare il dolo, ciò che ha prodotto la rimozione dello stesso capo del Servizio segreto, Ronen Bar.
Ma al di là della crisi politica c’è una gravissima crisi dell’identità dello Stato e del suo intreccio con l’ebraismo e con la fede di Israele. Questo trauma si è manifestato al più alto livello con la dissociazione del capo dello Stato Herzog dalla condotta del governo nel conflitto di Gaza: “È impossibile non rimanere profondamente turbati per quello che sta accadendo sotto i nostri occhi”, ha detto Herzog dopo la rottura della tregua e la ripresa dei bombardamenti e delle stragi a Gaza. La natura di questo turbamento è stata ulteriormente chiarita così dal Presidente israeliano: “Purtroppo stiamo assistendo a un serie di azioni unilaterali e sono profondamente preoccupato per il loro impatto sull’equilibrio della nostra nazione. È impensabile riprendere i combattimenti per portare a compimento la sacra missione di riportare in patria gli ostaggi”.
“Sacra”: e perché sacra? In nessun altro Paese verrebbe in mente di definire “sacro” il compito di riportare a casa i prigionieri di guerra o di far tornare alla luce quegli ostaggi del potere che sono i detenuti, colpevoli o innocenti, processati o extragiudiziali che siano, sepolti nelle patrie galere, nelle carceri di massima sicurezza, o a Guantanamo come ad Abu Ghraib o in Palestina.
Non siamo più in tempi di Sacri Imperi, per cui chiamare sacra la missione, ovvero “il lavoro da finire” a Gaza, per usare il linguaggio di Netanyahu, non può non avere un significato proprio, non enfatico. “Sacro” è ciò che è messo da parte per Dio, che gli è riservato. In Israele lo è il Sabato, come nella sua tradizione lo sono i primogeniti, donde il rito del riscatto, come il tesoro del tempio, le primizie. Ma soprattutto sacro è il popolo di Israele, perché Dio lo ha scelto per sé (eletto), ed è un Dio “geloso”, come la Terra, l’ Eretz Israel. Certo, si può non credere, ma in Israele questo è un fatto privato, la religione invece è pubblica.
Ciò vuol dire (e in ogni caso lo pretendono ed affermano i partiti religiosi, anche al governo) che Dio è coinvolto nelle azioni pubbliche di Israele, e se il popolo è sacro, tanto più gli ostaggi, da sottrarre al sacrificio. Ma allora quale Dio? Questa è la ragione del “profondo turbamento” dell’”impensabile” gridato dal capo dello Stato, Isaac Herzog, che di Israele dovrebbe rappresentare l’anima.
Se in Israele c’è questa identificazione, che ne risulta della natura, o almeno delle azioni di Dio? Il risultato è devastante. Dio ne esce diffamato a livello planetario, ogni giorno, per giorni e giorni, in tutte le televisioni, in tutti i giornali. Certo, le nostre società laiche possono non accorgersene, ma come può Israele non esserne turbato? È questo il suicidio di Israele? Sarebbe bello parlarne con i fratelli Ebrei, anche italiani, ma di fatto è stato interrotto ogni dialogo. Come non rendersi conto che dopo aver angosciosamente protestato contro l’uso della parola “genocidio”, Netanyahu e i suoi hanno banalizzato questa parola sacra, hanno fatto sì che le cronache di tutto il mondo e di tutti i giorni ormai raccontino tranquillamente che “Israele”, che “gli Ebrei”, stanno compiendo, normalizzando l’ecatombe? Per i Palestinesi e i soccorritori, “umanitari” o dell’Onu, rinominati “Hamas”, e per gli Ebrei stessi è una catastrofe. Ma per il mondo tutto è una sentenza di morte, che abroga le promesse di salvezza dei libri sacri.
Per salvarsi, al punto scellerato cui è giunto, il mondo deve infatti mettere in campo altri valori, tesori culturali ed umani nuovi o perduti, risorse non esperite. Siamo a un punto della storia così estremo, che forse, come abbiamo scritto in una lettera all’Europa, la modernità deve recuperare le fedi dismesse, il socialismo (“avanza con noi l’epoca nuova”), il cristianesimo…
Sembra però irreale che oggi l’Europa possa attingere al tesoro cristiano, perché vi fa ostacolo il secolarismo, e perché la modernità stessa, e non senza ragione, si è fondata e si identifica con esso, intendendo il secolo come il luogo in cui Dio non c’è, non importa poi se esista o meno, o se viene creduto nel privato delle istituzioni e dei cuori.
Dalla laicità non si può tornare indietro, nata com’è dalle guerre di religione tra i principi cristiani nel XVII secolo. Ma è stato proprio un cristiano, luterano olandese, Ugo Grozio, che ha fornito, sia pure come ipotesi paradossale, la formula della laicità su cui la modernità si è costruita: giustizia e diritto sono connaturati alla terra, e noi possiamo instaurarli, anche nella “blasfema ipotesi che Dio non ci sia (etsi deus non daretur) e non si occupi dell’umanità”. E così abbiamo fatto: senza bisogno di essere atei, abbiamo costruito l’illuminismo e la modernità fino all’ateismo che è l’ultimo nome della secolarizzazione.
Questa ipotesi ci ha portato molto avanti, ma come ora si vede non basta a salvarci. Forse è il caso di provare l’ipotesi opposta: combattere l’orrore con tutte le forze spirituali e umane mosse dalla indimostrata ipotesi che Dio ci sia e si occupi dell’umanità.
C’era, fino a ieri, un ostacolo insormontabile perché questo potesse avvenire: che il cristianesimo nel suo risvolto mondano si è intrecciato con la storia dell’Europa nelle forme del regime costantiniano o di “cristianità” che “da Costantino a Hitler”, secondo la formula di Erich Prziwara, citato da papa Francesco nel suo storico discorso al Consiglio d’Europa, ha cercato di organizzare l’Occidente come uno Stato totalitario, nel quale, per dirla con la Civiltà Cattolica, si attuava “un legame organico tra cultura, politica, istituzioni e Chiesa”; ciò che supponeva la Chiesa come la realizzazione stessa del Regno di Dio sulla terra, e quindi faceva della Chiesa la vera sovrana terrena.
Ma questa forma è passata, non solo grazie alla gloriosa laicità, ma perché il cristianesimo ne è uscito e la Chiesa stessa ne ha sancito il ripudio, col Concilio Vaticano II e ora con papa Francesco, quando ha proclamato alla Curia romana e all’Europa che “non siamo più nell’epoca di cristianità, non più”.
Dunque, ora si può. Laicamente, né c’è bisogno di essere credenti per fare posto all’ipotesi esclusa. Non ci aveva forse Martin Heidegger, di fronte a una tecnologia incontrollata che si rovescia in dominio, lasciato la misteriosa sentenza che “ormai solo un Dio ci può salvare”? Perciò sarebbe una sciagura se oggi proprio Israele esponesse al mondo un Dio sbagliato, un idolo da rifiutare.
Raniero La Valle
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