di Alferdo Morganti – 29 dicembre 2015
Lo smog, le polveri sottili, i veleni atmosferici e l’impotenza dei poteri pubblici in materia hanno affondato il modello Expo. Non solo perché Milano (e con essa tutte le altre città italiane, ma Milano colpisce ‘moralmente’ di più) appare incapace di affrontare in termini politici l’ondata di aria cattiva e di polveri che la sormontano. Ma perché dovrebbe essere chiaro ed evidente a tutti che il modello Expo e il modello aria inquinata sono la stessa medesima cosa. Sono il frutto del medesimo clima sociale e culturale. Sono epifenomeni che nascono entrambi dalla stessa matrice, che prevede un misto articolato di produttivismo, sviluppismo, pubblicizzazione dei costi e privatizzazione dei godimenti, comunicazione, marketing, spreco energetico, megaeventi, apparenza pubblica, fuffa, dominio dei beni e delle cose, orizzonte individuale invece che collettivo, comunitario, sociale. Questi parametri generano, da una parte, città caratterizzate da un uso individuale e sproporzionato degli spazi pubblici (con la parallela svalorizzazione del trasporto pubblico a vantaggio delle auto private); e dall’altra una vita pubblica ridotta a espressione super concentrata di messaggi, simboli, ‘narrazioni’, valori, stili di vita all’interno di mega-segni o mega-eventi ultra pubblicizzati e di nessuna utilità pubblica effettiva (come Expo), che generano ‘bolle’ culturali destinate a scoppiare dinanzi al primo segno di alta pressione meteorologica.
Le cose, insomma, stanno così: il nulla dannoso dei megaventi fa scopa con politiche pubbliche incapaci di andare alla radice dei problemi, modificando radicalmente il modello di sviluppo che oggi ci avvelena e cancella le tutele. Questo sarebbe fare ‘politica’, non le panzane televisive a getto continuo (che i media rilanciano impunemente senza mai sollevare un benché minimo dubbio in proposito). E se il modello Expo è sostanzialmente riducibile al detto “speriamo che piova” e alla corsa al risultato immediato, tutto e subito (che si tramuta inevitabilmente – se va bene – in uno zero virgola o in una fragilissima ‘bolla’), una svolta radicale dovrebbe contare invece su politiche pubbliche centrate sull’eguaglianza, sui diritti, sul riscatto degli ultimi, sulla difesa del bene pubblico, su strategie almeno di medio periodo, sulla critica all’attuale modello di sviluppo e anche sulla sobrietà politica (che non guasta). In sintesi: meno mance-bonus-prebende e più investimenti – meno chiacchiere e più pensiero – meno conferenze stampa auto-celebrative e più modestia politica (nonché personale). Altrimenti dinanzi alle emergenze e alle crisi, li vedremo ogni volta ballare la danza della pioggia dentro Palazzo Chigi, e pure in diretta tv che fa fico, mentre Jovanotti canta ‘Piove, senti come piove’ e il pubblico, assuefatto, applaude.
[Fatemelo dire: la Prima Repubblica, a confronto di questi ‘uomini della pioggia’, era fatta di veri giganti. Nicolazzi compreso].