Fonte: greenreport.it
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di Umberto Mazzantini, 22 novembre 2016
Sta girando su Facebook un video di un intervento di Diego Fusaro a Matrix sul perché l’immigrazione è funzionale al neo-capitalismo e che è una fulminante analisi marxiana dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, della necessità di manodopera a basso prezzo che ha bisogno, ora come ieri, dello sradicamento culturale e sociale, della creazione di lavoratori a basso costo da contrapporre ad altri lavoratori. Fino alla guerra. Non a caso Fusaro dice che i migranti e i profughi non sono i nostri nemici, sono i nostri alleati, da difendere, e con i quali gli sfruttati occidentali, la classe operaia e media impoverita, i precari a vita, devono e possono costruire l’alternativa politica e sociale a un capitalismo famelico.
La cosa che stona nel filmato è il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini, che annuisce ripetutamente, dichiarandosi perfettamente d’accordo con un filosofo che, sulla suo sito internet, si presenta così: «allievo indipendente di Hegel e di Marx, di Gentile e di Gramsci. Intellettuale dissidente e non allineato, sono al di là di destra e sinistra. Se, infatti, la sinistra smette di interessarsi a Marx e a Gramsci, occorre smettere di interessarsi alla sinistra: e continuare nella lotta politica e culturale che fu di Marx e di Gramsci, in nome dell’emancipazione umana e dei diritti sociali». Insomma, niente di più distante, culturalmente e antropologicamente, dalla xenofobia leghista.
O Salvini non ci ha capito nulla o crede che noi non capiamo più nulla. Fusaro fa un discorso marxista-internazionalista in difesa dei migranti/schiavi e contro il capitalismo che li sfrutta e chi li perseguita (tipo Salvini) e Salvini fa sì con la testa come i cagnolini con il collo snodato che negli anni ’60 che gli italiani mettevano dietro ai lunotti delle utilitarie. Poi esce dallo studio e inneggia a Donald Trump… Può darsi che Salvini a Matrix si fosse improvvisamente ricordato di quando capeggiava la lista dei Comunisti Padani per le farsesche elezioni del Parlamento secessionista della Padania, prima di diventare un acceso nazionalista italiota della destra lepenista.
Il problema per Salvini e per tutta la destra italiana che oggi si scaglia contro i disastri della globalizzazione, che inneggia al miliardario palazzinaro Trump e addirittura alla classe operaia Usa, umiliata dalla banche e dalle multinazionali, è che gli argomenti proposti da Fusaro sono gli stessi del movimento no-global a Seattle e poi a Genova, dove sotto lo sguardo e con le indicazioni del governo del miliardario Berlusconi, difeso da Salvini e zeppo di uomini della destra appena sdoganata, venne attaccata una manifestazione no-global con centinaia di migliaia di persone, ci furono i vandalismi dei black bloc e il massacro dei ragazzi della Diaz. Tutti elementi che andarono a difesa della globalizzazione capitalista, cioè le stesse politiche e le grandi imprese e la grande finanza che sfruttano i migranti e umiliano gli operai togliendo dignità al lavoro, come denuncia oggi l’improbabile Salvini indignato.
Ebbene sì, nonostante gli errori, le ingenuità e le frange violente e avventuriste che parassitavano il movimento no global, avevano ragione quei ragazzi e ragazze, quelle donne e quegli uomini, quegli operai e militanti che la sinistra, che già correva al centro, non volle difendere e che la destra intrappolò e massacro nel nome del nuovo ordine mondiale al quale si era servizievolmente messa a disposizione, come è sempre accaduto e come accadrà sempre.
Avevano ragione quelli fatti passare per ferrivecchi del passato da buttare nella pattumiera della storia, da rottamare, da una sinistra ubriacata dalla modernizzazione blairiana. E aveva torto, torto marcio (e continua ad averlo) la destra che applaudiva chi schiacciava le “zecche comuniste” a Genova, a Piazza Alimonda, e nelle mille piazze che l’hanno preceduta e seguita per incalzare i vari G7, G8, G20, a gridare ai potenti del mondo che avevano capito quel che oggi sembra aver capito anche Federico Rampini, cantore dell’inevitabile globalizzazione a del miracolo cinese, che almeno nel suo ultimo libro fa autocritica.
Avevano torto – e lo hanno ancora – i black bloc che hanno contribuito con la loro violenza funzionale al potere e alla repressione ad affossare, con le loro apparizioni “provvidenziali”, quel movimento di massa “mondialista” che aveva portato in piazza – nelle piazze di Italia e del mondo – milioni di persone contro le guerre petrolifere dell’Iraq e milioni di persone contro l’abolizione dell’Articolo 18, sapendo bene che era lì, nell’attacco alla pace, al lavoro e all’ambiente la radice di un neo-conservatorismo che voleva – ed è riuscito a farlo – globalizzare le merci riducendo i diritti, che voleva – e ci è riuscito – togliere garanzia ai lavoratori, la speranza di un lavoro dignitoso ai giovani. Un capitalismo di rapina, vorace, spietato, creatore di una nuove élite e di una nuova gerarchia che già allora aveva messo le mani sulle risorse, naturali e umane, del mondo, che si stava impadronendo della politica e dei governi, a cominciare da quello italiano.
Quel capitalismo, quelle iene voraci della nostra storia, che Pablo Neruda aveva visto all’opera del suo Cile martoriato da un golpe sperimentale, eseguito dal fascista Pinochet per conto dei neocon della Scuola di Chicago e di Henry Kissinger, da cui partì tutto. Da un golpe applaudito dai fascisti italiani e di tutto il mondo che oggi si atteggiano a no-global filo-Trump, proprio come fanno il Klu Klux Klan e l’estrema destra dei primatisti bianchi che hanno portato alla Casa Bianca Donald Trump e che ne hanno già occupato alcune strategiche stanze.
E’ tutto scritto in libri come “No Logo” e “Shock Economy” di Naomi Klein, libri che la sinistra sempre meno socialista e sempre più liberaldemocratica non ha letto, non ha voluto leggere o ha subito dimenticato infastidita.
La verità è che – oggi come ieri – tra la destra comunitaria, neo-fascista, golpista e populista, improvvisamente diventata neo-destra, e le forze che hanno guidato la rivoluzione neo-liberista i legami sono stati sempre inestricabili. La verità è che ora quel che resta della sinistra convertita alla globalizzazione capitalista – e un bel po’ di media – si accorge di aver ignorato, svenduto, offeso, un patrimonio ideale, una moltitudine di passioni e intelligenze, che avevano capito che il mondo stava cambiando in un modo intollerabilmente ingiusto e che il baratro dell’ineguaglianza si stava allargando.
L’aver accantonato quelle bandiere rosse e arcobaleno come reperti del passato, come ciarpame politico post-sovietico e catto-comunista, è stato un errore madornale. E’ questo nuovismo senza anima, questo considerare gli operai e le speranze di giustizia e uguaglianza pagine consunte della storia, questo preferire i convegni e i salotti di Confindustria alle fabbriche in crisi e alle periferie disperate, che ha permesso a gente come Salvini di impadronirsi di alcune di quelle idee che hanno combattuto fino a ieri, di mischiare argomenti di sinistra con l’eterno vittimismo egoistico di una destra trasformista, che da secessionista e anti-italiana diventa arci-italiana, fino ad allearsi e a fondersi con i neo-fascisti di sempre. Sono il trasformismo e la demagogia che diventano rosso-bruni, nazional-socialisti, uomini e donne senza pudore e memoria, che vanno in pellegrinaggio a Mosca per chiedere la benedizione dell’ex agente del Kgb Vladimir Putin, dopo essere passati da New York per farsi un selfie con Trump.
E poi qualcuno si chiede perché gli operai di Monfalcone votano per la destra? Perché sono stati abbandonati ai demagoghi, ai tribuni della paura, ai fomentatori dell’umiliazione e dell’odio. Perché i no-global avevano ragione e non sono stati ascoltati. Perché sono stati esclusi. Perché la sinistra post-socialista ha rinsecchito nell’indifferenza e nella marginalizzazione un movimento globale che per una breve e luminosa stagione di arcobaleno era diventato interlocutore delle potenze mondiali. Perché si è vergognata delle sue idee di solidarietà e giustizia. Perché l’alternativa a tutto questo che viviamo ha cominciato ad affogare nel 2001 a Genova, nel sangue di Piazza Alimonda e nella macelleria messicana della Diaz. Perché, come scrivevano Bhaskar Sunkara e Nicole Aschoff su The Nation, alla vigilia delle elezioni Usa, «per i democratici statunitensi e per i loro colleghi europei la scelta, a questo punto, è tra il socialismo e l’irrilevanza». E per ora hanno scelto l’irrilevanza.
E non è il passato che ci afferra nelle urne americane ed europee e nelle rivolte sottoproletarie e piccoloborghesi contro i migranti e i poveri, è il futuro mancato. E’ quel che poteva essere e che qualcuno, un giovanissimo reduce con una bandiera arcobaleno in mano, continua a pensare testardamente che possa ancora essere.
Nonostante tutto, nonostante il futuro nero di esclusione e vendetta disegnato da Trump e Salvini.