di Alfredo Morganti – 6 ottobre 2015
La svolta neocentrista, come la definisce Speranza, non è di ora, ma c’è già stata alle origini dell’avventura renziana. Ha preso corpo progressivamente, per spallate successive, ed è di matrice verdiniana sin dagli albori. Oggi prende corpo, diventa materia spiccia, evidenza corpulenta e ingombrante. Ma questo è. La fase del Patto del Nazareno è stata un epifenomeno iniziale, era la modalità con cui Renzi si posizionava al centro e dava la stura alla più classica delle ‘neutralizzazioni’ politiche: il conflitto aperto, lineare, democratico veniva sormontato dall’accordo segreto, al riparo da occhi e bocche indiscrete. Ancor oggi il contenuto di quel patto è ipotetico: forse la Presidenza della Repubblica (ma sapete com’è andata), forse la rinnovata agibilità politica dell’ex Cav., forse la restituzione dell’onore dopo la condanna ai servizi sociali, o forse il silenzio dell’esecutivo sulle iniziative di mercato del gruppo, com’è oggi dinanzi alla Mondazzoli. O forse solo due voti in più per contenere la minoranza interna.
Trasformismo? Se ne fa un gran parlare dinanzi alla mobilitazione dell’Ala verdiniana. Ma io userei il concetto al contrario, ribaltato come un guanto: se la minoranza PD insiste nella sua nobile ma inattuale tattica entrista, è lei che rischia di ‘trasformarsi’ e mutare pelle, non Verdini e gli altri sodali. I quali mi sembrano molto a casa loro nel partito della nazione (ma già in questo PD), ben più che la mal sopportata ‘ala’ bersaniana e cuperliana. La Serracchiani, che riprende Bersani e lo minaccia, è il segno crudo ed evidente di questa mal sopportazione, ed è quanto non avrei mai voluto sentire o vedere. Vi pare accettabile che la governatrice friulana lanci certi oscuri avvertimenti all’ex segretario: “occorre che ci si attenga a un senso del limite: trasformismo e giochi di potere sono parole pesanti, che vanno pronunciate con molta moderazione”? In breve, attento a come parli. Be’, io non avrei fatto trascorrere un minuto dal pronunciamento di questa dichiarazione e la mia uscita dal partito. Ma io sono io e rispondo solo per me. D’altra parte, se Bersani (e Gotor e D’Attorre, ecc. ecc.) resta lì, a portata di ceffoni, rischia di prenderli anche dall’ultima frangetta del Nazareno.
Ha fatto bene Bersani a citare, nel suo tweet, i ‘valori’ e le idealità, insistendo sull’eventualità che questi sviliscano e cessino di essere presi in considerazione. Lasciamo stare che non se lo sono neanche filato, se non per redarguirlo e minacciarlo. Il punto però è consistente. Senza di essi, senza la tenace considerazione e difesa di tali limiti ideali, etici, di programma, le differenze svaniscono e restano in campo solo figure codiste e personaggi senza scrupoli, pronti a qualunque rassemblement, purché funzionale, efficace, utile alla bisogna personale. Il fenomeno, oggi evidente, è che si sta nei gruppi non ‘per’ qualche obiettivo (tanto meno per il bene comune), ma ‘contro’ altri gruppi. Con noi o contro di noi, ma senza una motivazione esterna, autonoma rispetto a questo medesimo e interessato ‘stare’ in gruppo. Anche questo è il renzismo.
Il richiamo di Bersani ai valori è rivoluzionario, dunque, rispetto allo status quo, ma servirebbe che fosse coerente con la scelta successiva: quella di dividersi da chi quei valori non li considera, per ripristinare una ‘differenza’ con chi pratica solo l’orgia del potere, ben asserragliato e coperto all’interno del proprio confine, schierato contro chi lo contrasta solo perché aspira a quella stessa e medesima orgia. Una lotta talmente ridotta al potere personale e di gruppo, e d’altronde così condivisa da tutti i gruppi, che alla fine ci si mette d’accordo e si divide la torta in parti proporzionalmente adeguate. Perché no? E allora mi richiedo: perché continuare a ballare questa orribile danza, pur stando in disparte? Secondo me, vi si nota di più e meglio se ve ne andate, direbbe Moretti, non se restate in disparte a farvi insultare dalla Serracchiani. Poi fate voi.