Quel NO che serve alla Grecia e all’Europa

per Luca Billi
Autore originale del testo: Luca Billi
Fonte: i pensieri di Protagora...
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di Luca Billi 02 luglio 2015

In politica non è facile rispondere con un o con un no, perché in genere le questioni sono più complicate di così, faticano a essere incasellate in questa dicotomia elementare, richiedono una risposta più articolata e soprattutto perché tra il e il no c’è tutta una varietà di possibili risposte, tra cui spesso si trova quella giusta. Peraltro anche nella vita è così, raramente è solo o solo no. Però ci sono delle volte, in politica – come nella vita – in cui non c’è più spazio per questi distinguo e bisogna rispondere, in maniera secca: o no.
Il prossimo 5 luglio io voterei no, convinto, convintissimo, e spero che tanti greci – la maggioranza – facciano questa stessa scelta. Il no ha molti significati, ma alla fine è sostanzialmente una scelta di campo: di qua noi e di là “loro”.
Devo dire che “loro” ci stanno aiutando parecchio a definire i campi. Non fanno neppure finta, non cercano di apparire diversi da quello che sono. “Loro”, rifiutando fino all’ultimo – anche in queste drammatiche ore – le proposte elaborate dal governo greco, hanno detto chiaramente che l’obiettivo che perseguono non è quello di risanare l’economia greca o di trovare una soluzione alla crisi europea, magari la soluzione “tecnica”, asetticamente neutra, come dicevano – mentendo – solo pochissimo tempo fa. “Loro” vogliono distruggere la Grecia perché ha osato eleggere un governo diverso da quello che “loro” avrebbero voluto, un governo che fa proposte di sinistra, neppure troppo radicali, proposte che un tempo avremmo definito socialdemocratiche. A “loro” non interessa sapere se il governo greco pagherà o non pagherà i propri debiti – una cifra alta, ma in fondo sopportabile, una cifra che potrebbe essere estinta, in tutto o in parte, senza troppi contraccolpi, come è avvenuto con il debito tedesco negli anni Cinquanta. Invece “loro” chiedono quattro cose: riduzione drastica delle pensioni, abbassamento dei salari e abolizione dei diritti dei lavoratori, smantellamento dei servizi pubblici e privatizzazioni. E’ quello che hanno imposto all’Italia, con i governi di Monti, poi di Letta e infine di renzi; dalla riforma Fornero all’abolizione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori le leggi fatte in Italia vanno tutte in questa direzione. E’ quello che hanno imposto alla Germania, alla Francia, a tutti i paesi dell’Unione europea. E’ quello che vogliono dalla Grecia.
Per questo non possono tollerare che un piccolo paese rifiuti questo schema, magari avendo la presunzione di offrire una propria ricetta per tentare di uscire dalla crisi. Il governo greco ha proposto, tra le altre misure, di aumentare l’imposta sulle società dal 26 al 29%, di introdurre una tassa speciale del 12% per le imprese con profitti superiori ai 500mila euro l’anno, di aumentare la tassa sul lusso e sugli yacht privati, di tassare le licenze di telefonia mobile, di tagliare 200 milioni dalle spese per la difesa: si tratta evidentemente di misure che colpiscono direttamente i greci ricchi e i capitalisti internazionali. E contemporaneamente ha varato dei provvedimenti per tutelare la fascia dei più poveri. Si tratta chiaramente di uno scontro di classe – non ci sono altre parole per dirlo, anche se sembrano desuete – di una fase, violentissima, dello scontro tra il capitale e le forze del lavoro. E se saremo sconfitti, questa volta sarà difficilissimo pensare di tornare in gioco, almeno per quelli della mia generazione impossibile.
La decisione del governo greco di indire questo referendum, di far decidere ai cittadini greci se accettare o meno l’accordo tra la Grecia e i suoi creditori, è l’altra ragione per cui la reazione del capitale è così rabbiosa. In questi anni abbiamo registrato una progressiva riduzione degli ambiti e delle prerogative degli istituti democratici, proprio mentre si cercavano di annullare le conquiste del movimento dei lavoratori. Anzi le due cose sono andate perfettamente di pari passo. Anche in questo caso le vicende italiane sono significative: tutte le riforme varate in queste anni – e segnatamente quelle che portano la firma di quest’ultimo disgraziato governo – vanno nella direzione di una concentrazione di potere in capo all’esecutivo, a scapito di quello legislativo, e di una centralizzazione, a scapito delle autonomie, portando quindi il segno di una svolta autoritaria.
In questi giorni occorre scegliere da che parte stare e – al di là del risultato di domenica – questo referendum avrà un significato storico, perché mostra la verità, squarcia il velo sulle ipocrisie della politica di questi anni infelici. Questo referendum segna in particolare la sconfitta dei socialisti europei, la loro irrilevanza politica. La decisione dei partiti socialisti, sia di quelli che sono al governo sia di quelli che nei loro paesi sono all’opposizione, di schierarsi per il , di accettare supinamente quello che viene loro imposto dalle forze del capitale, segna un passaggio storico, così come la decisione dei socialdemocratici tedeschi di votare i crediti di guerra all’inizio del primo conflitto mondiale segnò la fine dell’Internazionale. Da oggi il Pse non esiste più, perché ha decretato la propria fine arrendendosi al proprio nemico. Anche in questo caso purtroppo l’Italia ha anticipato i tempi di questa crisi: la decisione dei Democratici di sinistra di far nascere il pd ha rappresentato il suicidio dei socialisti in Italia, di cui l’attuale sciagurato governo – il cui capo ovviamente si spertica, anche nel suo improbabile inglese, a favore del – rappresenta soltanto la naturale e inevitabile degenerazione.
Non sappiamo cosa succederà il prossimo 5 luglio, non sappiamo cosa decideranno i greci: la pressione affinché votino è fortissima, tutti i mezzi di informazione europei sono schierati per il , dipingono scenari foschi in caso di vittoria del no. Sarà difficile per i greci resistere a questa tensione. E soprattutto non sappiamo cosa succederà dopo il 5. Se vincerà il non è detto che le forze del capitale si limitino ad applicare lo schema dell’accordo che avevano chiesto a Tsipras di firmare, probabilmente chiederanno altre misure: si prepara per quel popolo nobile e fiero una tristissima agonia, perché il capitale si avventerà su quel paese con una violenza inaudita, con spirito di vendetta e per dare una lezione preventiva agli altri popoli europei, caso mai avessero la tentazione di votare a sinistra. Votare equivale a insaponare il cappio a cui quel popolo sarà appeso.
Se vincerà il no non sappiamo cosa succederà, probabilmente le forze del capitale non riconosceranno l’esito del referendum e, nel chiuso delle loro stanze, stanno già preparando un colpo di stato, per quanto non convenzionale, per esautorare il governo Tsipras. Lo hanno fatto in Italia, quando Napolitano, forzando e violando la Costituzione, fece dimettere Berlusconi che, nonostante tutto, era stato eletto, e impose al parlamento il governo Monti. I leader dei partiti greci dell’opposizione, compresi i traditori del Pasok, sono già stati a Bruxelles e a Berlino per trattare la resa e probabilmente anche in quel paese useranno il presidente della Repubblica, esponente di Nea Dimokratia, per bloccare il tentativo di Tsipras.
Se vincerà il no il governo legittimo della Grecia potrà, con la forza della democrazia, dire che quei debiti sono illegittimi perché concessi, con il solo intento speculativo, quando si sapeva che non sarebbero stati onorati, e perché il cercare di pagarli metterebbe in ginocchio un popolo. E perché la Grecia è la terra di Solone, il primo legislatore che varò un provvedimento per l’estinzione dei debiti quando questi potevano essere pagati soltanto a prezzo della schiavitù del debitore.
Spero di aver fatto capire perché per me quello che succede in questi giorni, in queste ore, in Grecia non è qualcosa che riguarda soltanto quel popolo, a cui noi possiamo guardare con più o meno solidarietà, a seconda del legame che abbiamo con quella terra – che per me è fortissimo, come sapete – ma è qualcosa che ci riguarda direttamente, riguarda il futuro nostro e dei nostri figli. Domenica le donne e gli uomini della Grecia voteranno anche per noi. E non sono chiamati a un referendum tra l’euro e la dracma, come ha detto renzi, con la sua solita arroganza clownesca, non sono chiamati a un referendum pro o contro l’Europa: la Grecia è naturalmente Europa, non può non esserlo, visto che l’Europa è nata lì, in quelle città. E’ un referendum pro o contro questa Europa, che non è l’unica Europa possibile, ma solo l’Europa che il capitale ha costruito per difendere i propri interessi. Anche per chiarire che c’è una bella differenza tra il nostro no – che è il no di Syriza e della migliore sinistra europea – e il no della destra fascista e nazionalista, della destra delle piccole patrie, dei muri, dei respingimenti oppure il no qualunquista e opportunista di quelli che vogliono approfittare del momento per raccogliere qualche consenso in più, con la loro antipolitica volgare e urlata.
Il nemico è potente, fortissimo, ma questa volta abbiamo un vantaggio, perché il capitale, credendosi invincibile, ha peccato di orgoglio – di ybris avrebbero detto gli antichi Greci – e ha costruito un sistema che non prevede vie di uscita. Non pensava che un giorno uno dei paesi dell’area euro avrebbe avuto un governo come quello che c’è adesso in Grecia o come ci potrebbe essere l’anno prossimo in Spagna; pensava che ci sarebbe sempre stato un fantoccio facilmente manovrabile, un Samaras, un renzi, o robe del genere. Per questo hanno paura, perché il rischio che salti l’euro, una volta uscita la Grecia, è un’opzione possibile, a cui non sono preparati. Noi dobbiamo sfruttare questa loro paura, dobbiamo sapere che, per una volta, abbiamo noi il coltello dalla parte del manico. E vogliamo usarlo.
Per questo voterei no, perché questo è un voto per la democrazia, per i diritti politici e civili, per il lavoro, perché questo è un voto per il socialismo.
Forza, compagne e compagni greci, gridiamo forte insieme il nostro OXI.

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