Quel contagio greco che serve per salvare l’Europa e l’Italia

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Gustavo Piga
Fonte: Gustavo Piga
Url fonte: http://www.gustavopiga.it/

di Gustavo Piga – 3 gennaio 2015

Oggi alla bella trasmissione su Radio24 con Oscar Giannino, Carlo Alberto Carnevale Maffè e Mario Seminerio ho avuto modo di parlare della mia visione della questione “Grecia” e del contagio al resto d’Europa. Ho cercato di spiegare, forse, il perché mi annoia ormai terribilmente qualsiasi dibattito di politica economica che sia “altro” dallo straordinario tentativo greco di esprimere il proprio voto democratico riguardo al proprio futuro. Tutto oggi è Grecia, tutti dobbiamo dirci e sentirci greci, a cominciare, cosa più rilevante per noi, da Matteo Renzi. E nel farlo ho pensato anche che “contagio” è una parola dal doppio significato: assume connotazione positiva o negativa a seconda del contesto e del binocolo che adottiamo per capire il mondo.

 Premessa: in teoria non vedo perché dovremmo scrivere alcunché su quanto sta avvenendo questi giorni in Grecia. Vi è in ballo una elezione, il popolo si esprimerà, il 25 gennaio, chi vince governa, chi perde va all’opposizione: niente di che, se non un sano esercizio di democrazia. Così tanto banale però la cosa non deve essere. Perché di questa Grecia e delle sue elezioni ne parliamo, eccome, e con toni e tonalità pieni di timori e di paure.

Già. Il che ci ricorda che questa Europa, stanca e incapace di ritrovare i fili del suo destino, teme ciò che un tempo la rese culla di civiltà, la democrazia, mostrando al riguardo un paradossale senso di disagio. Lo sanno bene i greci, a cui è stato impedito di pronunciarsi con un referendum sull’euro all’alba della crisi, lo sappiamo noi che ci siamo impegnati in una battaglia sul referendum Stop Austerità in Italia, contro tutti e tutto, a partire dalla stampa per finire con i partiti politici.

Insomma eccolo una primo contagio che proviene dalla Grecia e dai greci, positivo: non vergognarsi della democrazia e del voto. Raccomando a tutti i restanti paesi dell’area euro di farsi contagiare da questo sentimento, Italia ovviamente compresa.

Domanda numero 1: “supponiamo che Syriza vinca, al primo appuntamento di gennaio o a un secondo di marzo (nel caso in cui non emerga una maggioranza chiara dopo il primo voto): che metodo caratterizzerà l’azione del partito nei primi mesi di governo?

Per rispondere basterà leggere le recenti dichiarazioni dell’economista Yanis Varoufakis, nuovo consigliere economico di Tsipras, leader di Syriza, per capirlo: “andremo al tavolo delle negoziazioni con una serie di proposte che sappiamo bene andranno discusse con i Paesi partner dell’UE.”

Ulla.  Informazione importante. Dalla quale deduciamo una caratteristica significativa, prima ancora che di Syriza, del mandato che il popolo greco (in caso di vittoria) darebbe a Tsipras e non più a leader di altri partiti: “vogliamo stare dentro l’Unione europea e dentro l’euro”.

Lezione non da poco: la Grecia ha sofferto tantissimo, 5 anni di terribile recessione e dilagante disoccupazione, eppure vuole restare in Europa e nell’area dell’euro. Segno che non solo il progetto europeo ha una valenza culturale profonda, quasi antropologica, per i greci, ma che l’euro è per loro il simbolo di questo progetto e che, di riflesso, uscire dall’euro e adottare la dracma è il simbolo della fine del progetto europeo e non solo una mera mossa economica, come cerca di convincerci qualche economista nostrano innamorato della liretta. Insomma, è come divorziare: si sopravvive, magari pure meglio, ma non si torna indietro, e le cicatrici, durature, spesso sono pesanti. E i greci al divorzio preferiscono il tentare di far funzionare un matrimonio in grave crisi.

Facciamo che i greci contagino anche i nostri anti-euro locali, così miopi, e gli facciano vedere finalmente la luce, per capire una volta per tutte qual è la battaglia su cui devono spendersi con ardore e passione.

Domanda numero 2: “quali condizioni pone Syriza all’Europa?”

Sono di fatto due, sono interdipendenti e ci riguardano da vicino.

Prima condizione: “fine dell’austerità, senza se e senza ma”. Quell’austerità che in Grecia non vede la fine, con il PIL nominale che continua a crollare, anche se nell’ultimo trimestre per la prima volta i prezzi sono diminuiti ancora di più di quanto questo non sia sceso. A conferma che non è l’euro che sconvolge i cittadini greci, ma lei, l’ottusa, inutile, austerità nel bel mezzo di una recessione spaventosa che gode ad aggravare.

Ora, di progetti tra Stati diversissimi culturalmente – ma uniti da una moneta comune – ne conosciamo alcuni, e di successo, come Stati Uniti ed India. Sappiamo che per avere avuto successo e durare nel tempo questi progetti hanno dovuto prevedere meccanismi di solidarietà tra gli Stati, che aiutassero quelli tra di loro che fossero in difficoltà. Anche quando queste difficoltà nascono da comportamenti impropri, come quelli di alcuni politici greci che usarono i derivati per operazioni scorrette sotto l’occhio vigile e consenziente, va aggiunto, di tutte le autorità monetarie, politiche e di controllo di allora, BCE ed Eurostat incluse. Meccanismi di solidarietà inesistenti oggi in Europa e la cui mancanza è alla base del crescente senso di distacco delle popolazioni colpite dalla crisi odierna dalle istituzioni europee.

La flessibilità che chiede Renzi all’Europa, un mero ammorbidimento e non una cessazione dell’austerità, deve farsi contagiare dalla giusta convinzione greca che il problema non è l’euro, è il Fiscal Compact, che chiede austerità senza se e senza e  deprime dunque la volontà dei privati di fare investimenti e delle famiglie di consumare: chi lo farebbe in assenza di una costruzione che preveda soccorso in momenti di difficoltà?

Seconda condizione: “Siccome voi “non greci” ci dite che se facciamo le riforme la crescita tornerà, e siamo – dopo ben 5 anni di fallimenti delle ricette della Troika – stufi (“giustamente!”, dico io) di credervi, facciamo una bella cosa: i nostri titoli di debito, oggi a reddito fisso come i vostri BTP, i cui pagamenti entrano nelle casse dei vostri Stati e non dei mercati (perché il debito greco è tutto detenuto dai governi, e dunque da noi contribuenti europei, e non più dai mercati, NdR), li ristrutturiamo e li condizioniamo all’andamento del nostro PIL.”

Mossa geniale direi. Perché se le cose vanno bene con le riforme, come dicono da sempre gli europei, i greci ripagheranno il loro debito in toto. Se le cose continuano invece a non andar bene malgrado le riforme, confermando l’errore nei suggerimenti della Troika, non lo ripagheranno così riuscendo perlomeno a sopravvivere, non morendo di austerità e finanziando la domanda interna (ormai sparita) con meno tasse e più investimenti pubblici, grazie alla minore spesa per interessi. Altro che nuovo prestito con condizionalità di maggiore austerità, come vorrebbe la Troika!

In questo ultimo caso, se ciò dovesse avvenire, il re sarà nudo e il velo verrà finalmente sollevato sulla gestione incompetente di questa crisi così lunga che non ha trovato soluzione ma causa prima nell’austerità: la perdita del debito attuale greco che non verrà ripagato sarà la perdita una volta per tutte trasferita dalle banche europee,  tedesche, francesi – che si sono esposte con irresponsabilità nella bolla speculativa greca – ai cittadini europei, oggi detentori ultimi della “carta” greca. Perdita che vedrà dunque le banche di Germania, Francia ed Italia salvate non dai greci, ma dai loro connazionali: non vi pare giusto?

La conseguenza di ciò sarà clamorosa: i greci saranno riusciti ad imporre alla vecchia, egoista e rapace “Europa dei forti” una “Unione Fiscale forzosa”, ricevendo cioè solidarietà – benché involontaria – dal resto dell’Europa.

Sarà una solidarietà paradossalmente simile a quella desiderata a parole da Draghi, simile a quella statunitense, tra la ricca California ed il povero Alabama, che vede la prima aiutare annualmente la seconda con trasferimenti di risorse. Non sarà, e questo è il punto chiave, una Unione Fiscale simile a quella che desidererebbero fare i tedeschi, e cioè una Unione fiscale in cui l’austerità è stabilita dall’alto e la Troika resa un meccanismo costituzionale che sottrae poteri fiscali ai singoli Stati.

Chi, dopo questa Unione Fiscale forzosa vorrà tirarsene fuori, chiedere alla Grecia di uscire dall’euro, avrà la responsabilità di segnare la fine dell’Europa che i nostri padri fondatori volevano basata non su austerità e stabilità ma su diversità e solidarietà. Saranno stati loro, e non la Grecia, ad aver contagiato della malattia dell’egoismo nazionale il progetto europeo, portandolo alla sua dissoluzione.

Io mi auguro che la Grecia ci possa contagiare con i suoi slanci democratici e la sua lunghezza di vedute. Che sappia soprattutto contagiare Renzi. Quel Renzi contagiato si dovrà esporre veramente sull’Europa, dicendo senza giri di parole che la Grecia siamo noi, accettando la vera solidarietà, capace di dire basta alle ristrutturazioni infinite e perverse del debito greco, opponendosi a qualsiasi forma di minaccia più o meno velata di fronte alla richiesta di rinegoziazione greca del debito, ed infine avviando quella cooperazione tra Stati membri che il Trattato prevede, osando andare a chiamare il bluff tedesco, e stracciando quel Fiscal Compact che fu approvato scelleratamente, in silenzio, senza che fosse sottoposto ad un vero dibattito pubblico nell’Agorà europea. Così facendo l’Italia, proprio lei, ristabilirebbe e condizioni essenziali per la crescita e la ripresa di un progetto comune di prosperità e sviluppo diffusi in tutta Europa.

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