Fonte: huffingtonpost
di Toni Matarelli – 1 febbraio 2018
Davvero avevo creduto nel progetto messo in piedi da Liberi e Uguali. La legge elettorale con cui si voterà alle politiche del 4 marzo, però, è stata una sorta di cartina tornasole un po’ per tutti i partiti e, mi duole dirlo, soprattutto per LeU. Proprio noi, per la storia che ciascuna componente aveva alle sue spalle e per i propositi sbandierati, avremmo dovuto dimostrare comportamenti radicalmente differenti dagli altri. Si è invece consumata una vicenda politicamente ed eticamente assai peggiore di quanto accaduto altrove, che ha avuto come solo esito quello di produrre un arretramento delle istanze della sinistra. Quindi un danno gravissimo.
Alcuni punti in particolare mi sembrano saltare agli occhi.
Molti nostri dirigenti, che avevano duramente contrastato il Rosatellum, lo hanno alla fine cavalcato ruffianamente, utilizzandolo a giovamento di se stessi e dei propri stretti sodali; la qualità misurabile (presenza in aula, attività parlamentari) dei deputati uscenti non è stata tenuta in alcuna considerazione; il ricorso alle pluricandidature, che pure era stato fino a ieri stigmatizzato, ha assunto proporzioni orgiastiche; gli annunciati processi partecipati dal basso sono stati da subito relegati a foglia di fico.
Allora mi appare chiaro che le nostre liste, compilate sulla base di tali incongruenze, abbiano mandato un segnale fortemente negativo all’elettorato potenziale: perché, enunciando certe battaglie di principio e poi offrendo il peggiore degli spettacoli possibile, è come se avessimo abusato dell’intelligenza dei cittadini intenzionati a votarci.
Io avevo a suo tempo, prima di aderire a questo progetto, parlato direttamente con D’Alema che rappresenta un’altra storia politica rispetto alla mia ma che pure avevo trovato convincente. Ancora adesso voglio pensare che non mi abbia voluto mentire, soprattutto quando aveva argomentato di giusto equilibrio nella rappresentanza dei territori, di primarie per la selezione delle candidature. Se quelle idee non sono passate al momento della composizione delle liste è perché in qualche modo anche lui, probabilmente, è stato vittima: certamente dei suoi luogotenenti più spregiudicati.
Ciò che è accaduto con la composizione delle liste di LeU ha letteralmente dell’inverosimile, per la quantità e la qualità di episodi eclatanti verificatisi su e giù per l’Italia. Qualche esempio, per segnalare il livello di bassezza a cui si è giunti. In Calabria Nico Stumpo, dirigente nazionale di Mdp, di origini calabresi, contravvenendo alla premessa formale per cui i diretti interessati non avrebbero partecipato alla stesura delle liste, ha autodeterminato il proprio destino decidendo di candidare se stesso come capolista (per un seggio sicuro) in entrambi i collegi calabresi. Mandando un messaggio univoco e certamente padronale: sono io che decido e quindi decido di non rischiare neppure un po’.
A catena, la deputata uscente Celeste Costantino, calabrese anch’ella, evidentemente meritevole anch’ella di certezze, è stata catapultata in un collegio abruzzese. Se si considera che l’Abruzzo è suddiviso in due collegi e l’altro è stato occupato da un molisano, si capisce bene come i cittadini di quella regione saranno privati del diritto a essere rappresentati da un loro conterraneo che, in questo caso, sarebbe potuto essere tranquillamente l’uscente Gianni Melilla, stimato per il gran lavoro fatto nella passata legislatura.
Io insisto anche sull’esempio della Puglia, perché ha un valore simbolico di grande rilievo. Da noi, l’uomo più contiguo a D’Alema, Ernesto Abaterusso, coordinatore regionale e capogruppo alla Regione di Mdp, colui che ha trattato direttamente con Roma facendosi portavoce dei territori, ha sostituito nel collegio di Lecce l’ex segretario provinciale del Pd Piconese, passato con Mdp, (che era in posizione eleggibile) per piazzare il suo proprio figlio, peraltro sindaco di Patù.
Per renderlo esplicito: chi aveva il compito e la responsabilità di fare da garante per l’intera regione ha garantito il suo più stretto parente. E non posso continuare senza citare il caso del medico lampedusano Pietro Bartolo, costretto a candidarsi in una regione del Nord Italia, lontano dunque dai luoghi in cui ha operato raccogliendo unanimi consensi, il quale, per decoro e dignità, ha preferito rinunciare a diventare parlamentare.
E, mi duole dirlo, anche il presidente Pietro Grasso, anziché far da argine, è caduto in questo comportamento, candidando il proprio portavoce in un listino tra i più blindati. A onor del vero, va precisato che solo Pippo Civati ha condotto una battaglia interna in nome di una maggiore rappresentatività dei territori e di un più alto tasso di trasparenza nei criteri per la compilazione delle liste.
Tutto questo sfacelo ha determinato un ulteriore effetto negativo e cioè il largo disimpegno di molti tra coloro che avevano messo a disposizione la propria candidatura nei collegi uninominali (per mero spirito di servizio, quindi), con il risultato netto di un vistoso indebolimento delle nostre liste nella parte maggioritaria.
Di che cosa stiamo parlando quindi, se non del sacrificio vero e proprio di un progetto politico in nome della talvolta “famelica” (secondo la appropriata definizione di Peppino Caldarola) collocazione di burocrati o professionisti della politica, più spesso ignari o noncuranti dei territori in cui sono stati candidati? Possibile che non si capisca come la credibilità sia fatta da buoni esempi, di coerenza tra parole e fatti, tra annunci e buone prassi, soprattutto a sinistra?
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commento di Gian Franco Ferraris:
Questo intervento di Toni Matarelli richiede una doverosa precisazione: Massimo D’Alema, fin dalla primavera dello scorso anno, più volte aveva proposto un “processo costituente” inascoltato da tutto il ceto politico e, pertanto, ora non si può certo attribuirgli delle responsabilità sulla formazione delle liste. E’ bene rileggere le sue testuali parole:
«L’alleanza per il cambiamento ha una potenzialità che va molto al di là della somma delle singole forze. Dovrebbe nascere da un processo costituente, attraverso la rete e una serie di assemblee, con una grande consultazione programmatica. E dovrebbe comportare elezioni primarie sia per l’indicazione dei candidati (un punto forte dell’intesa Berlusconi-Renzi è il mantenimento delle liste bloccate), sia per la scelta di una personalità che guidi questo processo».
e ancora sull’assemblea del Brancaccio:
“Io non sono per fare la ‘Sinistra Arcobaleno‘, dove tutti i dirigenti intorno ad un tavolo, si riuniscono per spartirsi le candidature. Questa roba non funziona. Io sono per partire da un confronto ideale e programmatico, ma senza pregiudiziali. Io sono andato al ‘Brancaccio’ e mi sono sciroppato cinque ore di assemblea. Una parte della quale era dedicata, con un certo garbo, senza nominarmi, era dedicata ad insultarmi. Io sono stato seduto. Ho anche preso qualche appunto – non sugli insulti, ironizza – perché oltre a questo, ho sentito anche tante cose interessanti: tanti ragazzi, associazioni di volontariato e no profit, da cui sono venute tante proposte. C’era una certa vena di estremismo, ma c’era anche tanta umanità positiva e anche alcune idee interessanti. Non c’interessa tutto questo? Io lo considererei un errore”. D’Alema è in campo, eccome.”
“Io penso che quello che non si deve fare è una riunione di tutti i segretari dei partiti e dare l’idea di un cartello, viceversa serve un processo democratico aperto a tutti quelli interessati, che si misura su principi e valori, eleggendo un’assemblea nazionale costituente democraticamente legittimata e votata dalle assemblee locali. Come primo obiettivo ci si dà quello di avere un’unica lista, poi quello di creare una formazione politica nuova, che nasce per convergenza e confluenza. La capacità di attrazione di questo processo c’è e colma un vuoto che non è riempito dal proliferare dei partitini, i quali anzi sono percepiti come simbolo di debolezza; viceversa la gente è pronta a spendersi per un progetto più grande. Serve la generosità di mettersi in gioco in un processo e di scompaginare le proprie piccole appartenenze, e non invece difendere ciascuno la propria parrocchia: questo per costruire una sinistra importante nel paese. Noi abbiamo il dovere, anche per la storia che ha avuto l’Italia, di ricostruire una grande sinistra. Serve più serietà nella politica, c’è una parte del Paese che ha un senso di rimpianto verso un’altra epoca, verso una classe dirigente che era tale e che aveva il senso dello Stato: noi dobbiamo offrire anche questo. Quindi serve una formazione politica seria che propone le cose che si possono fare davvero. Oggi le dimensioni di una forza politica di questo tipo non sono ponderabili, perché ancora non c’è: ma se riusciamo a farla consistere nel modo che dicevo, credo che ci sia spazio per avere un peso e un risultato a due cifre. Io sono contrario ad accedere a operazioni trasformistiche come listoni, ma il PD per fortuna non è fatto solo di fanatici, carrieristi e opportunisti: ci sono rimaste anche persone perbene e un pezzo del nostro popolo. E’ anche per loro che dobbiamo fare una sinistra grande e forte”.
Erano buone proposte ma è stato completamente inascoltato da tutti; di certo non ha responsabilità per le decisioni prese dai vertici del suo partito; anzi, questa vicenda dimostra che è insensato dire che in Liberi e Uguali comanda D’Alema, come sostengono i suoi detrattori.