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di Luca Billi – 18 luglio 2018
A leggere i giornali, ad ascoltare quelli che alimentano le notizie, parrebbe che il maggior problema di questo paese sia la gestione delle donne e degli uomini che arrivano da altri paesi. Nel 2017 si è trattato di 119.247 persone, certo un numero rilevante, ma comunque di poco inferiore allo 0,2% dell’intera popolazione italiana, più o meno una città come Forlì. Dall’inizio del 2018 sono stati meno di 15mila.
Non voglio affatto minimizzare il problema, anzi, io credo che questo sarà il tema che caratterizzerà la storia mondiale dei prossimi decenni, perché molti fattori, di carattere demografico, ambientale, economico, socio-culturale, spingeranno una massa incalcolabile di donne e di uomini a emigrare dalle loro terre per cercarne delle altre. E questo fenomeno – di proporzioni ben maggiori di quello che ha interessato l’Europa tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, quando ci fu la grande emigrazione che portò milioni di donne e uomini europei nelle terre “vuote” delle Americhe – è destinato a sconvolgere in maniera radicale il nostro pianeta, per moltissimo tempo.
Ma in Italia – come nel resto dell’Europa e negli Stati Uniti – non stiamo affatto parlando di questo fenomeno, non stiamo cercando di capire come sarà tra un secolo il nostro paese, sotto la spinta di alcune generazioni di emigranti con un tasso di natalità decisamente superiore a quello delle popolazioni autoctone. Noi parliamo sempre d’altro.
Chiaramente sarà loro il futuro, io – come molti di voi – non lo vedrò e non lo so neppure immaginare, potrebbe perfino succedere che questi “nuovi” siano destinati a cambiare il mondo, in meglio, anche nei rapporti economici e sociali: forse faranno loro la rivoluzione che noi non abbiamo la volontà e la forza di fare. E quando succederà – magari in seguito a una catastrofe ambientale – che un intero popolo, non un centinaio di uomini stipati su una barca, deciderà di venire a stabilirsi in queste terre che noi continuiamo a definire nostre, non ci sarà evidentemente nulla da fare, non sarà questione di costruire un muro, o di chiudere i porti, o di gestire nuovi centri di accoglienza: semplicemente loro arriveranno e prenderanno il nostro posto, anche perché noi saremo morti o sempre più vecchi.
Capisco che per molti questa sia una prospettiva terribile, una sorta di apocalisse, personalmente non ho così paura, perché, per ragioni squisitamente anagrafiche, mia moglie e io non ci saremo e soprattutto perché penso che questa società sia così marcia che energie nuove e diverse non possano che farle bene. Ma – ripeto – non è qualcosa su cui io o voi – o Salvini – possiamo mettere becco.
Anche se non possiamo farci nulla, credo però che non sarebbe inutile cominciare a parlarne davvero, smettendo una buona volta di discutere di quello di cui vogliano farci discutere, per distrarci. Dovremmo aprire un grande dibattito politico e culturale per provare a immaginare cosa succederà. Personalmente – provo a dare un modesto e non richiesto contributo – credo dovremmo impegnarci come non mai a preservare quello che di grandissimo la nostra civiltà ha creato nei secoli, in modo da consegnarlo nel modo migliore ai nuovi che arriveranno, affinché serva a loro non tanto a capire chi eravamo noi, ma per imparare quello che noi colpevolmente abbiamo dimenticato. Ai nuovi che arriveranno dovremo consegnare le nostre biblioteche, i nostri musei, le nostre città, ma anche le nostre tradizioni, il nostro territorio e il nostro paesaggio, affinché siano per loro motivo di progresso, affinché possano crescere leggendo i versi di Dante e guardando gli affreschi di Michelangelo, ascoltando le musiche di Verdi e gustando le decine di paste ripiene che le nostre nonne ci hanno insegnato a fare, così uguali e così diverse, in ogni angolo di questo paese.
E invece noi stiamo qui a discutere giorni interi – ormai ho perso il conto – se e quando qualche centinaio di persone debbano sbarcare da una nave, quanti debbano andare in Francia e in Germania, dove costruire nuovi centri di accoglienza. Pare che questo sia l’unico tema che affronta il nuovo governo, l’unico tema su cui i nostri politici abbiano qualcosa da dire. E su questi temi non fondamentali ci accapigliamo, anche con le migliori intenzioni. So bene che il Talmud dice che “chi salva una vita salva il mondo intero” e quindi la battaglia affinché quei pochi siano salvati è degna di essere combattuta, fosse anche l’ultima cosa che faremo. Ma vi chiedo allo stesso tempo di non farci distrarre. Non è questo il tema, neppure se alla fine riuscissimo a vincere, riuscissimo a convincere i nostri riottosi concittadini ad aprire le porte a quei poveri cristi che continueranno a sbarcare. E’ ora di cominciare a parlare d’altro.