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di Luca Billi, 27 marzo 2018
Ci sono parole – non molte a dire la verità – che hanno una precisa data di nascita. Non sappiamo quando i nostri antichi progenitori hanno cominciato a usare la parola falco per indicare quel grande rapace dal becco adunco e potente, ma possiamo ipotizzare sia avvenuto in quei decenni in cui l’impero romano si trasformava nell’Europa medievale, sotto la spinta dei popoli che chiamiamo barbari e infatti alcuni etimologisti pensano che questa parola sia passata dal latino al germanico, mentre altri che abbia fatto il cammino opposto.
Sappiamo invece con maggior precisione che nel 1962 i giornalisti americani hanno cominciato a usare questa parola con un significato che noi spesso ancora utilizziamo: furono loro a dividere i politici in hawks e doves, falchi e colombe, ossia tra quelli che, di fronte a determinate scelte politiche e militari, sostenevano una linea dura e intransigente, senza escludere l’uso della forza, e quelli che invece preferivano una via più conciliante. Anzi possiamo dire anche il mese in cui è nato questo significato: era ottobre, quando Washington fu costretta a confrontarsi con la cosiddetta crisi dei missili di Cuba.
I servizi segreti americani avevano scoperto che sull’isola caraibica l’Unione Sovietica stava installando delle postazioni missilistiche, rendendo quindi molto più vulnerabile il territorio statunitense. Il mondo non fu mai così vicino alla guerra, o almeno così allora sembrò a tanti. I falchi dell’amministrazione Kennedy chiedevano l’invasione di Cuba e la distruzione delle batterie missilistiche, pur consapevoli che questo avrebbe innescato una guerra dagli esiti imprevedibili. Le colombe riuscirono a bloccare entrambe le opzioni e così il presidente lanciò un duro ultimatum all’Unione Sovietica, chiedendo l’immediato smantellamento dei missili, mentre si completava il blocco navale dell’isola. I falchi di Mosca risposero inviando nuove navi verso Cuba, ma infine Nikita Chruščёv, dando ascolto alle colombe sovietiche, ordinò di togliere i missili dall’isola, ottenendo in cambio l’impegno statunitense a non organizzare una nuova invasione per abbattere Fidel Castro. Quella volta vinsero le colombe, o almeno è così che ce l’hanno raccontata. E forse Kennedy fu ucciso solo un anno dopo la crisi di Cuba proprio perché si era rifiutato di ordinare la guerra. Il mondo si sentiva in guerra. Nell’aprile del 1963 Giovanni XXIII pubblicò l’enciclica Pacem in terris e in quello stesso anno Stanley Kubrick dirigeva Dr. Strangelove or How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb: il mondo sapeva che la guerra era un’opzione possibile, che i falchi avrebbero potuto avere la meglio sulle colombe.
Certo allora il mondo era diviso in due blocchi, gli Stati Uniti da una parte e l’Unione Sovietica dall’altra, due potenze in competizione sul piano militare, ma anche in quello sportivo e scientifico: nel ’61 i sovietici mandarono il primo uomo nello spazio e nel ’69 gli astronauti degli Stati Uniti raggiunsero la luna. Probabilmente la divisione vera era quella tra falchi e colombe. In fondo gli interessi e gli obiettivi veri dei falchi, al di là della retorica dell’una e dell’altra parte, erano gli stessi in entrambi gli schieramenti. Ma nel cielo, insieme ai falchi, volavano anche le colombe. E non è che queste fossero sempre così pacifiche; a volte erano davvero pericolose e letali.
In questi giorni ci dicono che il presidente Trump si è attorniato di falchi, le nomine quasi contemporanee di Mike Pompeo e di John Bolton rispettivamente a segretario di stato e consigliere per la sicurezza nazionale, ossia i due ruoli chiave della politica estera dell’amministrazione, vanno certamente in questa direzione. Ma mi pare che la situazione sia peggiore dei tempi che ho raccontato – che pure erano per molti aspetti terribili – non solo perché non volano più le colombe, ma soprattutto perché manca del tutto la politica. Trump e i suoi falchi non hanno più l’ambizione di governare il mondo, ma sanno che il potere risiede in altri luoghi e a loro spetta soltanto eseguire gli ordini.
Questi falchi presunti sono ormai come quei volatili che, sempre chiusi in gabbia, vengono condotti fuori dai loro padroni solo in occasione di una battuta di caccia. Quando il falconiere decide, toglie loro il cappuccio, con cui fino allora li aveva tenuti al riparo di ogni stimolo, e li lancia all’attacco. I falchi eseguono il loro compito e poi ritornano sulle braccia del loro padrone, in attesa della magra ricompensa. E vengono di nuovo rinchiusi fino a quando comincerà una nuova battuta di caccia.
Per questo noi prede dobbiamo avere paura dei falconieri; e magari cercare di abbatterli.