Qualche pensiero sul partito nuovo

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 17 novembre 2018

Apprezzo molto l’idea che si avvii un percorso di riflessione e di discussione che porti alla costituente di un partito della sinistra italiana. È l’auspicio di molti. Il tragitto sarà inevitabilmente lungo, complesso, articolato, per evitare gli errori ingenerati dalla fretta o dall’idea che una lista elettorale possa, di per sé, garantire un transito certo verso il partito. Ho già detto che siamo vittima (o beneficiari) di un paradosso da traversare senza indugio. Quello per cui per far nascere un partito si debba partire da un partito, vi debba già essere un partito. Sarebbe sbagliato l’approccio opposto, quello di autoconvocarsi, di puntare a un partito da una condizione di aggregazione molecolare, di spontaneismo politico. La verità è che, senza una direzione non c’è politica; e se non si imprime una direzione si vaga, e se si vaga è perché non c’è un soggetto che scavi un solco, indichi una via per quanto larga e plurale, specifichi un verso. L’alto, in politica, è essenziale quanto l’altro: il primo mostra una strada, squaderna un panorama – il secondo è il termine di riferimento per ingenerare e definire la propria soggettività.

Il partito deve nascere da un soggetto che va oltre sé, che si nega. Senza quell’oltre si resta confinati nel proprio quartierino, in un angusto ambito identitario; senza il soggetto l’oltre diventa un mare magnum in cui affogare. Oggi più che mai si deve invece trascendere, andare oltre sé, e intercettare l’altro, di modo che la propria piccola identità, chiara ma angusta, divenga progressivamente una robusta e larga soggettività che possa fare politica con la capacità, la massa critica e le risorse giuste per trasformare la realtà. Nessuna ragione, nessuna capacità di elaborazione teorica, razionale, nessuna ricerca per quanto acuta può funzionare (ossia pervenire al punto) senza un soggetto che la produca, la renda possibile, la diriga. L’autoconvocazione è il mito dei senza soggetto, di quelli che rifiutano autorità, direzione, che addossano alle élite le colpe e se ne sgravano totalmente, in una sorta di innocenza eterna. Il mito della ‘base’ che genera l’antimito dei dirigenti. E che produce spaesamento, più che direzione. Al punto da affidarsi ai Capi invece che a una classe dirigente, e di arroccarsi attorno a una ‘figura’ autorevole invece di produrne delle proprie.

Soggetto e ragione sono i cardini del moderno. La loro dialettica è essenziale. Il soggetto è l’autorità che dirige e imprime una direzione. La ragione è la critica che si oppone alla realtà e alla ideologia. Lo so che oggi molti sostengono che il primo sia morto e la seconda sia solo strumentale. È anche così, ma non solo così. Anzi, senza ricostituire un soggetto è morta la ricerca, è morta la politica, è morta persino la razionalità, persino nelle sue forme più larghe, plurali, critiche. Soprattutto in queste. È morta la sinistra, ridotta a un loft o peggio alla tenda di Prodi. Senza un soggetto il pensiero si disancora, evapora, perde direzione, scivola verso la fine. Che è poi lo schema tipico del postmoderno. E il soggetto è anche un partito che si occupi di indicare la via, l’altro da sé, e che vada oltre sé. E intanto garantisca che la ricerca (teorica, pratica) abbia un senso, e lavori in vista di altro: ossia un’organizzazione ampia e plurale che rilanci la tradizione della sinistra, rinnovandola con una classe dirigente che sorga da questo percorso. Il pensiero e la pratica non possono autoconvocarsi, ma debbono lavorare attorno a filoni, vie, sentieri precisi. Qualcuno deve avere la responsabilità della traversata, qualcuno deve farsene carico. È quello che è mancato in questi anni di liste elettorali e miopia, nonostante la buona volontà di tanti.

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