Qualche consiglio non richiesto ai Cinque Stelle

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Salvatore Bianco
Fonte: La Fionda

Qualche consiglio non richiesto ai Cinque Stelle

Premesso che tutto le cose umane, comprese quelle politiche hanno un inizio e dunque una sempre possibile fine, ci sono alcune criticità macroscopiche che attanagliano i Cinque Stelle, di metodo, su cui si potrebbe intervenire da subito. Occorre ragionare in termini politici e non di coscienza individuale. La mancata candidatura di Conte alle europee ne è l’emblema. Certo, non fa impazzire la prassi che prevede la candidatura del leader per un seggio all’europarlamento che si sa già non verrà occupato. Nondimeno, la politica in atto deve saper misurare le conseguenze in termini di consensi, quando non si può compensare con candidature di peso ovunque. Non ingannavi nessuno, lo dichiaravi in esplicito agli elettori per contribuire alla raccolta del voto. La mancata candidatura di Conte, fra l’altro in un movimento che da sempre, essendo giovane, contrassegnato da una dimensione soggettiva, è stato un gravissimo handicap che ha fatto mancare un apporto significativo in termini percentuali. Altro errore macroscopico è il limite dei mandati, che non permette ai rappresentanti di radicarsi. In pratica di costituire una struttura di partito. L’obiezione che si vuole evitare proprio quello, per intercettare i flussi di opinione. Ma non siamo in un clima di particolare effervescenza simbolica.

Veniamo alla questione centrale adesso. La politica è fatta anche di spazi da occupare con una visione del mondo ed un prassi conseguente e coerente. Nel quadrante progressista in cui si è deciso di stare, il Pd, che nel frattempo si è dotato di una segretaria giovane e volitiva, da che era fagocitato adesso tende a fagocitare. L’essere contro la guerra e contro l’austerità europea va bene ma siccome parliamo di una forza politica e non di una mera testimonianza occorre che una strategia conseguente prenda forma. Fatta di incontri anche internazionali e soprattutto di alleanze per trovare punti di convergenza. Ribadire in continuazione per chi intende fare politica che non si è votato per l’invio delle armi non è sufficiente. Il consiglio spassionato è quello di non disdegnare le alleanze ma imporre delle condizioni e soprattutto dei candidati e figure credibile rappresentative di completamento, da far maturare e possibilmente radicare sui territori e non strozzare nella culla o quasi. Insomma, quello che non va bene è un approccio post-moderno e post-politico alla politica, che è poi l’errore in cui Santoro e i sui amici incorrono ciclicamente.

La politica è fatta di storie, tradizioni ed identità. Di potere possibilmente da accrescere come mezzo per realizzare gli scopi e le finalità di cui si è portatori. Insomma, i Cinque Stelle devono evitare di farsi fautori involontari dell’ideologia dominante. La stessa denominazione del movimento a ben pensarci è un cedimento al pensiero unico. La fase politica drammatica che attraversiamo segnata da una guerra mondiale a pezzi che rischia di ricomporsi a breve sotto i nostri occhi esige l’esplorazione di altri filoni culturali.  Si pensa forse che il mainstream non sia contento che si siano ridotti i parlamentari o che si sia ribadito testardamente, come si è fatto in quest’ultima campagna elettorale, la propria contrarietà al finanziamento pubblico dei partiti?

I Cinque Stelle a mio modesto avviso sono ad un bivio. Potrebbero rappresentare di una ipotetica coalizione anti-Meloni l’anima più sociale e mutualistica e fare da laboratorio per altri Paesi specie di area mediterranea. Mi spiego. Il PD sta recuperando la sua vocazione socialdemocratica, si spera almeno. Mi ha colpito che la Schlein più volte ha adoperato nella sua conferenza dopo le elezioni il termine socialista che fino a Letta era praticamente un tabù. Ma sappiamo che non è sufficiente perché tiene fuori i non garantiti ed i meno garantiti. Insomma i Cinque Stelle dovrebbero dare rappresentanza ai poveri, farsi movimento popolare in senso etimologico. Segnalo che ci sono milioni di persone che pur lavorando sono poveri relativi. Il salario minimo e il reddito di cittadinanza sono da rilanciare con forza, così come i Referendum promossi dalla CGIL vanno sostenuti.

L’austerità e la guerra poi, che fa male a tutti, ovviamente è micidiale per gli ultimi. Ricordo che lo stesso Berlinguer poco prima della sua tragica fine, a chi gli chiedeva dell’ostinazione con la quale continuava a definirsi comunista, rispondeva che la prospettiva dell’emancipazione doveva riguardare e coinvolgere tutti e ciascuno. L’intera società. E tutti hanno ugualmente convenuto, da Tronti a De Masi, che dopo la morte di Berlinguer i poveri non hanno più trovato chi li rappresentasse e gradualmente si sono ritirati dalla scena pubblica. Non beneficenza ma diritti e rappresentanza, cosa assai diversa.

Si potrebbe obiettare che questo spazio è già presidiato da Sinistra e Verdi. Ma nemmeno per sogno. Si può forse concedere che riesce in misura parziale a coinvolgere una parte del mondo studentesco acculturato. Che non sono propriamente gli ultimi. No qui si sta parlando di altro, di un movimento che programmaticamente decide di dare voce e dunque rappresentazione al “popolo degli abissi” le cui fila sono destinate ad ingrossarsi ancora per effetto del capitalismo crepuscolare o di rapina, come lo chiama Fineschi.  Ovviamente se si decidesse per questa svolta l’interlocutore naturale sarebbe il mondo variegato e ricco dell’associazionismo solidaristico di base laico e cattolico.

Dunque, è vero quanto sostiene Travaglio che l’abbraccio col Pd per i Cinque Stelle può essere letale, ma per la ragione opposta a quella che si pensa. Perché sono ancora troppo simili nella base di riferimento e dunque nei linguaggi e nelle pratiche conseguenti. Ci sono tanti bravi compagni in quel movimento che conosco personalmente, giovani a cui dare maggiore spazio, che segnerebbero anche una discontinuità di linguaggio e di postura. Ultimo suggerimento a partire dai parlamentari eletti. Meno salotti televisivi e più politica di strada e di prossimità, come suggerito da Giulio Marcon riguardo il sindacato. Ovviamente questo articolo si espone all’obiezione di avere adottato acriticamente il modello di democrazia rappresentativa. E’ vero. A quel saltatore che si vanta, in un altro tempo e in un altro luogo, di fare salti meravigliosi conviene sempre rispondergli che è vano invocare Rodi, perché Hic Rhodus, hic salta!

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