Fonte: Limes
Dopo la disfatta delle truppe russe a Kharkiv, il presidente russo ha partecipato come nulla fosse alle celebrazioni per l’anniversario della fondazione di Mosca. Dietro una cortina di ostentata indifferenza, la valutazione sulla tenuta del fronte interno (confortata dalle elezioni), lo scetticismo verso la mobilitazione generale e un’idea sul prossimo passo da compiere in Ucraina.
La débâcle dell’esercito russo sul fronte nordorientale dell’Ucraina ha scatenato a Mosca l’ira del cosiddetto ‘partito della vera guerra’, ultranazionalisti e falchi di vario genere che chiedono a Vladimir Putin di “cominciare a fare sul serio”.
Non che prima fossero tranquilli, ora però vedono la possibilità di raggiungere l’obiettivo: mobilitazione generale, promozione dell’Operazione militare speciale a guerra patriottica e dell’arma nucleare tattica da strumento di propaganda a voce nell’arsenale a disposizione.
Il presidente della Russia non si espone neppure con i più stretti collaboratori. Lo raccontano laconico come era nelle settimane prima dell’invasione ucraina. Le esternazioni degli ultras della ‘guerra più grande’ lo infastidiscono, lo irrita l’inevitabile riverbero sull’opinione pubblica, ma in fondo sono figure esterne ai gangli nevralgici del sistema e il loro peso è limitato. Anche il più rumoroso di tutti, il leader ceceno Ramzan Kadyrov, è sospettabile di alzare la voce per fare un balzo verso il girone federale del potere, arrivare alla Difesa o a capo di un nuovo corpo militare.
Insomma: non è il pericolo di un golpe a preoccupare Putin, ma i motivi di preoccupazione sono reali. Sopra tutti, la tenuta del fronte interno nella prospettiva di un inverno che concretizzerà complicazioni economiche per ora limitate, mettendo a nudo difficoltà nei settori strategici come il trasporto aereo. La celebre resilienza russa alle avversità da affrontare in nome della patria si nutre della convinzione che alla fine del calvario ci sarà una vittoria. Se si diffonde un senso di possibile sconfitta, dunque, la capacità di resistere sarà erosa da dentro e sarebbe l’inizio di una fine. Quale? È tutto da vedere, ma quando la Russia sprofonda nel senso del fallimento, nulla è impossibile.
Per questo Putin nel giorno della disfatta ha scelto di far finta di nulla e presentarsi alle celebrazioni per l’875º anniversario della fondazione di Mosca, con tanto di tradizionali fuochi d’artificio il 10 settembre, malgrado richieste di cancellazione da più parti. Il messaggio vuole essere duplice: in Ucraina “tutto continua in base ai piani e gli obiettivi saranno raggiunti”, come ha specificato il numero due del Consiglio di Sicurezza nazionale Dmitri Medvedev. Proclama a uso interno, destinato a rassicurare la popolazione e che allo stesso tempo segnala come l’ex presidente e premier sia sempre considerato risorsa affidabile dal regime, un soldato fedele e buono per ogni stagione. Probabilmente suo malgrado, Medvedev funge da anello di congiunzione tra gli oltranzisti della guerra e le fazioni più caute.

Carta di Laura Canali – 2021
Putin oppone resistenza alla mobilitazione generale. La convinzione condivisa con i vertici della Difesa e buona parte dell’Esercito (non tutto) è che il richiamo generale alle armi non farebbe la differenza decisiva e assegnerebbe alla sola dimensione militare l’esito della guerra in una fase “interlocutoria”. A suo avviso bisogna quantomeno attendere l’esito del braccio di ferro sulle forniture di gas “con l’Occidente allargato”, espressione usata per sottolineare come Mosca non consideri l’Unione Europea un soggetto in grado di prendere decisioni indipendenti dall’America.
In realtà, nella macchina del potere i dissenzienti ci sono. La richiesta di “più guerra” fa proseliti tra i siloviki, gli uomini del comparto securitario più vicini al capo del Consiglio di sicurezza Nikolaj Patrušev. L’assicurazione presidenziale sulla vita è che nessuno oserebbe ribellarsi agli ordini di Putin. Per ora, almeno.
Altrettanto verosimile, per quanto difficile da valutare, è che il sostengo dei russi alla Operazione militare speciale sia frutto di atteggiamenti e opinioni diversi che tengono assieme gruppi diversi. Ricerche sociologiche condotte sui risultati dei sondaggi distinguono uno zoccolo duro del 30-40% da una simile percentuale che non avrebbe voluta la guerra, ma a cose fatte non se la sente di voltare le spalle ai piani putiniani. Da questo secondo gruppo dipende in fin dei conti la tenuta del fronte interno. “Non mobilitato”, non si fa troppe domande ma attende risposte sul senso e le sorti dell’impresa militare in Ucraina.
Qualche spunto di conforto il regime ce l’ha. Il risultato del partito governativo Russia Unita alle elezioni per 14 governatori e centinaia di assemblee locali di più livelli avrebbe superato le previsioni della vigilia, già rosee. Secondo dati preliminari, non è andato bene il Partito comunista (Kprf), favorevole a una generale chiamata alle armi e considerato un rifugio per gli elettori orfani di una vera opposizione. Le posizioni più marcatamente nazional-patriottiche sostenute da Za Pravdu (Per la verità) dello scrittore Zachar Prilepin non avrebbero sfondato.
Al netto di sospettabili ‘aiutini’ al partito al potere e di una bassa affluenza malgrado il voto spalmato su tre giorni (9-11 settembre), anche analisti meno allineati ammettono il compattamento elettorale in tempo di guerra. Senza dimenticare che le elezioni nella Federazione Russa sono innanzitutto, e da molto tempo, un’esercitazione per il funzionamento della macchina del potere: le caselle debbono andare tutte nel loro posto, come farcele arrivare è un problema degli addetti ai lavori.
Consapevole che il fronte interno è sotto enorme pressione, Putin vuole procedere con i referendum nei territori occupati (“liberati”, nella versione russa) del Sudest e Sud dell’Ucraina che devono portare all’annessione. La data limite indicata è il 4 novembre, Giornata dell’unità nazionale. Questa festa nazionale è stata introdotta ancora nel 2004 al posto delle commemorazioni della Rivoluzione d’Ottobre; tuttavia esisteva già nell’impero russo ed era più esplicitamente dedicata alla “liberazione di Mosca dall’invasore polacco”.
Fatta l’annessione, la controffensiva ucraina diventerebbe un atto di guerra contro regioni dichiarate parte integrante della Federazione Russa, con tutte le conseguenze del caso. Compreso un implicito e forse a quel punto inevitabile via libera alla mobilitazione generale, che i russi dovrebbero accettare in nome della difesa della patria.

Carta di Laura Canali – 2022