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di Luigi Olivieri 19 dicembre 2014
Cosa succede ai dipendenti provinciali a partire dal primo gennaio 2015? Sulla stampa si stanno diffondendo versioni tanto allarmistiche, quanto esagerate. Come quando si afferma che si troveranno senza lavoro e con lo stipendio ridotto al 70%.
Le cose non stanno così. Si tratta di letture che fraintendno la “mobilità”, scambiadola per l’istituto vigente nel lavoro privato. Nell’errore, cosa piuttosto rimarchevole, incorrono anche i sindacati. Che, invece, dovrebbero sapere bene che la mobilità non si applica ai dipendenti pubblici.
La mobilità di cui si occupa la legge di stabilità per i dipendenti provinciali altro non è se non il processo di trasferimento da un ente ad un altro.
Allora, eliminato questo equivoco, scopriamo cosa succede dal primo gennaio 2015. I dipendenti restano al loro posto, a svolgere le mansioni e funzioni di prima, retribuiti come prima. Le province, però, debbono tagliare il costo delle dotazioni organiche di fatto alla data dell’entrata in vigore della legge 56/2014, del 50%; il taglio è del 30% per le città metropolitane.
Scatta, a quel punto, il processo, che vede anche forme di consultazione con i sindacati, per individuare quale personale sarà da considerare ‘in sovrannumero”, cioè operante ancora nell’ente provincia o città metropolitana, ma in eccesso rispetto alla dotazione organica consentita.
Detto personale dovrà essere ricollocato tra il 2015 e il 2016 in via prioritaria presso regioni e comuni. Detti enti, nel corso di tale biennio, dunque, non potranno stipulare contratti di lavoro se non con i dipendenti delle province (che transitano dunque per mobilità) o con i vincitori dei concorsi ancora in attesa di prendere servizio.
Non è detto che tutti i 20.000 dipendenti provinciali potenzialmente interessati, però, potranno essere trasferiti in questo modo. In via subordinata, allora, la legge di stabilità impone anche alla maggior parte delle amministrazioni statali di assumerli per mobilità, ma dopo la conclusione di un complesso processo di ricognizione dei posti vacanti, che dovrebbe essere gestito dalla Funzione Pubblica, senza, tuttavia, scadenze precise.
Solo se al 31 dicembre 2016 vi saranno ancora dipendenti provinciali non ricollocati, per essi si apriranno le porte o a contratti part time (per quelli più anziani e vicini alla pensione) o alla messa in disponibilità, quella sì con riduzione dello stipendio al 70% circa, per un periodo di 24 mesi, nel corso dei quali provare ancora a ricollocarsi. In caso di fallimento del tentativo, scatterà il licenziamento.
In linea teorica, allora, vi sono 48 mesi per la ricollocazione dei dipendenti provinciali che saranno dichiarati in sovrannumero. Ma, sempre in linea teorica, nei primi 24 mesi dovrebbro transitare in mobilità verso regioni, comuni o amminiatrazioni statali nella loro totalità.
Perchè, allora, l’agitazione dei dipendenti? E perchè l’intera manovra non comporterà alcun beneficio ai cittadini, anche a quelli che, esacerbati dalle “inchieste” sulla inutilità delle province, sono pronti ad esultare e festeggiare in piazza per i licenziamenti?
Perchè si tratta di un colossale inganno. La legge di stabilità impone alle province non di tagliare le spese di 1 miliardo nel 2015, 2 miliardi nel 2016 e 3 miliardi nel 2017, come erroneamente si scrive sui giornali. Al contrario, il volume di spesa complessivo delle province resterà uguale: circa 9,5 miliardi. Ma, di questi, 1 nel 2015, 2 nel 2016 e 3 nel 2017, le province dovranno versarli al bilancio dello Stato. Che li spenderà come crede.
Conseguenze? La legge di stabilità crea un buco spaventoso ai bilanci delle province, che pur acquisendo le stesse tasse di prima, circa 9,5 miliardi, potranno finanziare le spese connesse alle funzioni, per l’ammontare di 9,5 miliardi appunto, solo con 6,5 miliardi a disposizione.
Regioni e comuni, secondo le disposizioni della legge Delrio, dovrebbero subentrare alle province nella gestione delle funzioni non fondamentali. Ma, la legge Delrio prevede che agli enti subentranti si trasferscano funzioni, personale e dotazioni strumentali e finanziarie, così da non incidere negativamente sui bilanci di tali enti. Però, il buco di 3 miliardi creato dallo Stato alle province, impedisce di trarre dai loro bilanci, in entrata, risorse per finanziare le funzioni e il personale da accollare a regioni e comuni, perchè si aggraverebbe uteriormente la situazione finanziaria delle province.
Dunque, la legge di stabilità, a ben vedere, vuole indurre regioni e comuni a prendersi in carico il personale sovrannumerario delle province e anche le funzioni provinciali, assumendosi di fatto la spesa dei 3 miliardi mancanti (si ripete, acquisiti forzosamente dallo Stato al proprio bilancio).
Per questo, regioni e comuni non vogliono nè il personale, nè le funzioni: significherebbe per loro addossarsi una spesa complessiva a regime di circa 3 miliardi e più.
Ulteriore conseguenza è, allora, che l’auspicata mobilità dei dipendenti dalle province a regioni e comuni ben difficilmente si avvererà; anche perchè i comuni potranno assumere i dipendenti provinciali solo se rispetteranno il patto di stabilità ed i vari vincoli di bilancio: e la cosa non è facile.
Soprattutto, dovrebbe risultare chiaro anche a chi è pronto ad esultare in piazza per il licenziamento in massa degli odiati “statali”, che non ci guadagneranno assolutamente nulla. Infatti, le entrate delle province resteranno pari a 9,5 miliardi; la loro spesa resterà di 6,5 miliardi; ma quella dello Stato aumenterà di 3 miliardi. Quindi, il volume della spesa pubblica resterà identico e la pressione fiscale non diminuirà.
Tuttavia, in questo pandemonio, il rischio è che quei 20.000 dipendenti, che, contrariamente a quanto pensano le tricoteuse pronte a festeggiare per la caduta delle loro teste, qualcosa fanno, potrebbero essere adibiti a mansioni diverse, abbandonando il presidio ai servizi che rendono. Detti servizi, se non presi in carico da regioni o comuni, visto che non potrebbero essere più gestiti dalle province per progressiva mancanza di risorse, saranno abbandonati: si parla non solo delle funzioni non fondamentali, come servizi per il lavoro, formazione, turismo, assistenza scolastica a sordi e ciechi, per limitarsi solo ad alcune. Pertanto, i cittadini che oggi esulterebbero per i licenziamenti dei “provinciali”, domani potrebbero dogliarsi non poco del fatto che, alla fine, vittime della manovra irresponsabile del Governo, saranno loro a subire le conseguenze, in termini di minori corse delle corriere, minori manutenzioni di scuole e strade provinciali, assenza totale dei servizi turistici e di quei pochi ma significativi servizi sociali gestiti dalle province. Il tutto, continuando a pagare le stesse tasse di prima.
Questi sono i fatti reali. Chi vuole credere alla realtà virtuale raccontata dalla propaganda ed esultare perchè 20.000 persone potrebbero perdere il lavoro, faccia pure.
5 commenti
….e a lei pare una situazione sulla quale dormire sonni tranquilli! La sua descrizione della normativa, ineccepibile, è in evidente contrasto con le sue sdrammatizzanti frasi iniziali!
Emanuela hai ragione un’analisi puntuale ed approfondita e quella frase iniziale stonata o ironica?
mobilità significa anche nel pubblico esubero rispetto agli organici, in base al quale il lavoratore è tenuto ad accettare il trasferimento ad altra sede di lavoro, in caso contrario, dopo due anni è perdente posto.
Ma perché nessun programma “serio” (ballaró, di martedì, report….ecc) o settimanale importante (l’espresso….) si occupa della vicenda. Paura del governo?
C’è un problema. Molti Comuni non possono prendersi questi dipendenti per due motivi, sempre imposti dalla legge di stabilità:
1. Anche i Comuni hanno l’obbligo di ridurre la spesa per il personale o comunque non aumentarla.
2. Molti Comuni hanno la dotazione organica bloccata, cioè non possono assumere nuovi dipendenti se non sono già previsti nella loro dotazione organica. Quindi in genere solo se un dipendente se ne va e sempre se questa sostituzione non comporta un aumento della spesa per il personale.
Inoltre occorrre considerare che il decreto Delrio, che prevede la gestione associata delle funzioni fondamentali, impone ai Comuni una riduzione del 5% delle spese correnti nei prossimi tre anni e questo inciderà sulla ricollocazione nei Comuni degli esuberi delle Province.