Fonte: Minima Cardiniana
ALLA MANIERA DI DUMAS: 11 SETTEMBRE, “VENT’ANNI DOPO”
Si torna a parlare dell’11 settembre in occasione del ventennale degli attentati che hanno portato all’invasione dell’Afghanistan. Un necessario bilancio chiude la serie di tre articoli di Marina Montesano dedicati alla fine della guerra.
PROJECT FOR A NEW AMERICAN CENTURY (PNAC)
Mentre l’America commemorava le vittime dell’11 settembre 2001, si è appreso (ma i media italiani non sembrano aver concesso ampio spazio alla notizia) qual è stato l’ultimo regalo degli Stati Uniti all’Afghanistan: per vendicare l’attentato all’aeroporto nel quale sono morti tredici soldati statunitensi insieme a decine di afghani, il governo americano aveva annunciato l’uccisione, con un missile lanciato da un drone, di un leader dell’ISIS; in realtà il missile ha colpito un cittadino afghano che negli ultimi anni aveva lavorato per un’associazione californiana di aiuti ai civili: Zemari Ahmadi, 43 anni, è morto con nove membri della sua famiglia, tra cui sette bambini; le bombe che pareva trasportare erano in realtà taniche d’acqua. Con questa apertura non voglio togliere importanza ai fatti dell’11 settembre; però è opportuno ricordare che nei vent’anni che sono seguiti a quell’evento, decine di migliaia sono state le vittime innocenti della guerra portata dagli Stati Uniti e dai suoi alleati in Afghanistan e poi in Iraq. Torniamo dunque agli anni in cui tutto è cominciato, e poi ancora più indietro.
All’epoca dei multipli attentati del 9/11 era emerso un documento di un anno precedente nel quale i politologi della Casa Bianca prevedevano un piano per l’inizio del nuovo millennio, un nuovo ordine mondiale con il rilancio della leadership USA. Nel 2000 il documento noto come “Project for a new American century”, redatto da alcuni fra i principali collaboratori di Bush Jr, dichiarava che il dominio americano nel nuovo millennio si sarebbe potuto mantenere solo a costo di forti investimenti militari e del controllo delle aree geopolitiche ed energetiche sensibili. Un progetto, continuava il PNAC, difficile da far accettare agli elettori in poco tempo, a meno che non si fosse verificato un evento “catastrofico e catalizzatore – come una nuova Pearl Harbour”. Era l’epoca dei neo-con e dei loro tristi epigoni europei, che sembravano aver capito la formula per governare il mondo e che, elaborando piani per il secolo, sono spariti nel giro di vent’anni. Non voglio qui tornare sulla dinamica degli attacchi a New York e al Pentagono: i dubbi che avevo e che nutro tuttora li ho affidati a un libro (Mistero Americano. Ipotesi sull’11 settembre, Bari, Dedalo, 2004) e ad alcuni articoli; magari ci sarà modo di riparlarne. Vorrei tuttavia ricordare che dei diciannove individuati come esecutori materiali del piano, ma anche fra i loro contatti e fiancheggiatori, neppure uno era afghano. Però quindici su diciannove erano arabo-sauditi, al pari del mandante (sempre restando nell’ambito della versione ufficiale) Osama Bin Laden, il quale sarebbe poi stato ucciso (in un’operazione che pure presenta molti punti non chiari) nel 2011 non in Afghanistan, bensì in Pakistan.
Arabia Saudita e Pakistan sono stati i due principali alleati degli Stati Uniti nella gestione dell’Afghanistan nel corso di molti decenni, ossia da prima dell’invasione sovietica del paese. L’ex direttore della CIA Robert Gates afferma nelle sue memorie che i servizi segreti americani hanno iniziato ad aiutare i mujaheddin afghani sei mesi prima dell’intervento sovietico, notizia confermata Zbigniew Brzezinski, consigliere di sicurezza nazionale del presidente Carter, in una intervista (del 15/01/1998) al giornale francese Le Nouvel Obs. Secondo la versione ufficiale della storia, l’assistenza della CIA ai mujaheddin iniziò nel 1980, dopo che l’esercito sovietico aveva invaso l’Afghanistan il 24 dicembre 1979. Ma la realtà segreta, afferma Brzezinski, è ben diversa: fu il 3 luglio 1979 che il presidente Carter firmò la prima direttiva sull’assistenza clandestina agli oppositori del regime filosovietico di Kabul. “E quel giorno scrissi una nota al presidente spiegando che credevo che questa assistenza avrebbe portato all’intervento militare sovietico. Questa operazione segreta è stata una grande idea. Ha avuto l’effetto di attirare i russi nella trappola afgana e volete che me ne penta? Il giorno in cui i sovietici hanno ufficialmente attraversato il confine, ho scritto al presidente Carter, in sostanza: ‘Ora abbiamo l’opportunità di dare all’URSS la sua guerra del Vietnam’. In effetti, Mosca ha dovuto combattere una guerra insopportabile per il regime per quasi dieci anni, un conflitto che ha portato alla demoralizzazione e infine alla disgregazione dell’impero sovietico”.
Sostanzialmente, gli Stati Uniti hanno attirato i sovietici in una trappola. Difatti, l’aiuto prestato alla guerriglia interna consisteva nel passare armi e soldi attraverso il Pakistan, che con l’insorgenza afghana ha in comune una nutrita popolazione pashtun, che costituiva la parte più numerosa dei combattenti; a far da intermediari vi erano i servizi segreti pakistani, l’ISI, che hanno continuato a giocarvi un ruolo ambiguo fino ai nostri giorni. Supporto economico e ideologico arrivava anche dall’Arabia Saudita. Furono infatti i “guerriglieri-missionari” wahabiti provenienti dall’Arabia Saudita e dallo Yemen a radicarsi nell’Afghanistan e a dar vita ai Taliban, portatori di un messaggio religioso e di conseguenti pratiche etico-sociali fino ad allora in quel paese sconosciute, sebbene tollerabili in un contesto arcaico e patriarcale. È all’interno di questa situazione che nasce anche al Quaeda, creata dagli Stati Uniti per organizzare la guerriglia contro i russi, utilizzando per inquadrare i jihadisti l’ideologia dell’Islam wahabita, ossia la sua interpretazione più rigida, per esempio per quanto riguarda la questione dei diritti femminili. Centrale la famiglia Bin Laden, che dalla metà degli anni ’90 era stata in affari con la compagnia petrolifera Harken, prima Arbusto, di proprietà di George W. Bush: quando nel 1986 la compagnia navigava in cattive acque, il fratello maggiore di Osama, Salem, l’aveva aiutata a vincere un appalto nel Golfo Persico. Dall’anno successivo la compagnia Carlyle, colosso del settore militare, comincia a mettere sotto contratto diversi uomini politici americani, incluso Bush Senior e il suo Segretario di Stato James Baker; nella compagnia dal 1995 si impegnano a investire anche i Bin Laden.
Si può capire allora come mai, all’indomani dell’attacco alle due torri, alla domanda se non si dovesse considerare con sospetto i Sauditi, l’allora presidente Bush Jr rispondeva definendoli i “magnifici alleati in questa lotta contro il terrorismo”; ancora oggi contro quei magnifici alleati le famiglie delle vittime americane continuano a intentare cause e al contempo chiedono che i documenti della CIA vengano declassificati, il che succede, talvolta, con il contagocce. A questo si dovrebbe aggiungere che la minaccia terroristica si è rinnovata in questi anni con l’ISIS, alla cui nascita e prosperità l’Arabia Saudita ha contribuito non poco, mentre i governi occidentali le fornivano armi e consulenze militari, favorendone l’azione in Siria, terzo paese ad essere stato devastato dopo l’Afghanistan e l’Iraq in questa “guerra al terrore” che sembra in grado di crearlo, più che di combatterlo. La radicalizzazione dei combattenti dell’ISIS avviene in larga parte in Europa; così come erano di origine tunisina, ma belgi, i due terroristi che alla vigilia dell’11 settembre uccisero il comandante Massoud, il principale nemico dei talebani.
Adesso la fuga degli americani e dei loro alleati ha lasciato un paese in macerie, lo stesso movimento talebano che avrebbero dovuto cancellare è al potere, e una nuova formazione, l’ISIS, ambigua almeno quanto lo era un tempo al Quaeda, si muove all’interno delle sue frontiere, e oltre. Se il Progetto per un nuovo secolo americano passava attraverso il caos, allora è andato a buon fine, ma non credo sia così. Nonostante il dominio del dollaro e la forza dell’apparato militare siano ancora dalla parte degli USA, l’impero americano ha perso pezzi in questi venti anni, e persino i magnifici alleati sauditi fanno affari con la Cina; persino gli israeliani hanno ceduto la gestione del porto di Haifa a una compagnia cinese, nonostante le proteste americane. Attorno al patto di Shanghai si alleano nazioni che mai avremmo pensato di vedere insieme come la Cina e la Russia o il Pakistan e l’India. È forse l’alba di un nuovo secolo meno americano di quello che l’ha preceduto?
(Con questo articolo, Marina Montesano conclude la prevista trilogia: tre “pezzi”, uno alla settimana, dedicati all’Afghanistan. Ma – è il caso di dirlo – non finisce qui. L’Autrice, che ha studiato storia medievale alla Brown University di Rhode Island ed è una dei più noti specialisti di storia della stregoneria della nuova generazione (due suoi libri redatti direttamente in inglese e pubblicati negli USA stanno avendo un grande successo) alcuni anni or sono scrisse un libro molto controcorrente, Mistero americano Bari, Dedalo), sull’ancora irrisolta questione delle vere responsabilità relative all’11 novembre 2001. Il libro venne “oscurato” e scomparve di circolazione. L’Autrice, medievista ma anche buona conoscitrice di cose americane e vicino-centrorientali, non ha dimenticato questo tentativo di metterla a tacere).