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di Domenico Mario Nuti – 18 febbraio 2015
Lo scontro tra Atene e l’Europa si fa più intenso. Eppure una soluzione ci sarebbe: sollevare il limite massimo di 15 miliardi di euro attualmente imposto al debito a breve termine della Grecia.
Quello che Alexis Tsipras chiede ai governanti europei e mondiali sono sei mesi di respiro per preparare un piano alternativo per la gestione del debito e la ripresa economica. Le sue prime mosse sono state dirette a rassicurare la comunità internazionale: la Grecia onorerà i propri debiti in pieno, senza richiedere un taglio ulteriore; il paese rimarrà nell’Eurozona, secondo i desideri della grande maggioranza dei suoi cittadini; si impegna a combattere l’evasione fiscale e a migliorare il livello di vita di quanti hanno sofferto maggiormente dall’austerità imposta dalla Troika (con il “Memorandum” imposto da Commissione europea, BCE e FMI): i disoccupati, soprattutto quelli ingiustamente licenziati, i poveri, i pensionati e gli altri gruppi economicamente più deboli.
“Se i sacrifici del paese favorissero la ripresa e la crescita sarei il primo a sostenerli” – ha detto Tsipras al Parlamento la settimana scorsa – “se la pillola amara fosse necessaria a recuperare la salute sarei pronto a ingoiarla”. Ma l’austerità imposta dall’Europa conduce solo alla rovina. Così Tsipras ha respinto la continuazione del programma concordato con la Troika dal suo predecessore, rinunciando all’aiuto di 7,2 miliardi di euro che la Grecia dovrebbe ricevere alla fine di febbraio alla prima scadenza del programma. Tsipras chiede solo il rimborso di 1,9 miliardi di utili che la BCE ha ottenuto sui titoli greci nel suo portafoglio, al fine di utilizzare i prossimi sei mesi per negoziare un nuovo accordo, mentre tutti i pagamenti dovuti dalla Grecia e maturati nel frattempo saranno coperti con l’emissione di circa 10 miliardi di euro di titoli del Tesoro a breve termine.Finora l’Europa e Tsipras si trovano su una rotta di collisione. Il ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis e il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble non sono nemmeno “d’accordo di essere in disaccordo”. L’11 febbraio a Bruxelles, nella riunione dei ministri delle Finanze dell’Eurozona il negoziato è stato abbandonato senza risultati dopo solo sei ore e ogni decisione rinviata.
In nessun modo il debito nei confronti della BCE o del FMI può essere tagliato, sotto pena di perdere l’accesso all’assistenza di queste istituzioni – anche se alla Grecia potrebbe essere consentito di rimborsare i crediti della BCE mediante prestiti a scadenze molto lunghe da parte dell’EFSF, il fondo salva-stati dell’Eurozona. Inoltre Tsipras ha promesso che gli investitori privati non saranno sacrificati. L’unico spazio per la rinegoziazione del debito è con i governi europei, ai quali la Grecia, direttamente o indirettamente, deve circa 195 miliardi di euro, circa il 62 per cento del suo debito totale (di cui quasi 148 miliardi pari al 45 per cento al fondo salva-stati EFSF). È vero che la Grecia ha già beneficiato di tagli del debito nel 2010 e nel 2012, e dell’allungamento delle scadenze fino ai 2057; nonché di una riduzione degli interessi medi sul proprio debito fino al 2,6% del PIL, equivalenti a quelli pagati dall’Italia o della Francia (e solo l’1,5% sul suo debito con l’EFSF, che non potrebbe essere tagliato ulteriormente).
Ma secondo il Memorandum della Troika la Grecia è impegnata a realizzare un avanzo primario (prima del pagamento degli interessi) del 4,5% del PIL all’anno, che è un onere eccessivamente pesante per un Paese così impoverito. Tale surplus potrebbe benissimo essere tagliato almeno temporaneamente, con una moratoria sugli interessi fino a quando non riprenderà la crescita fino a riportare il PIL ai livelli precedenti, limitandolo al 1% -1,5% di avanzo primario compatibile con gli attuali piani di Syriza. Questo è lo scopo della proposta avanzata da Yanis Varoufakis, di scambiare il debito nei confronti di governi europei con nuove obbligazioni indicizzate al tasso greco di crescita.
La BCE certamente era nel suo pieno diritto di annullare la clausola che consentiva alle banche greche l’utilizzo di titoli di Stato greci come garanzia, negando così alla Grecia l’accesso alla liquidità a un interesse dello 0,05%, una volta che Tsipras aveva indicato la sua indisponibilità a proseguire a fine febbraio il corso concordato con la Troika. Ma il provvedimento non era certo “legittimo e opportuno“, come dichiarava Matteo Renzi, che presentava a Tsipras una elegante cravatta invece della sua solidarietà (“in modo che ci si potesse andare a impiccare”, commentava Giorgia Meloni, leader del partito di destra Fratelli d’Italia). Finché la Grecia avrà accesso alla Assistenza di liquidità di emergenza ELA (anche al maggiore costo dell’1,55%) le banche greche possono fronteggiare anche la lenta corsa al ritiro dei depositi che è già iniziata; ma tale accesso è soggetto a essere confermato ogni quindici giorni e la sua eventuale sospensione è una spada di Damocle. La Grecia ha davvero bisogno dell’emissione dei 10 miliardi di euro di buoni del Tesoro che Tsipras intende emettere.
Il guaio è che la Grecia ha già raggiunto il limite massimo di 15 miliardi di euro di indebitamento a breve termine imposto dalla Troika, e gli ulteriori 10 miliardi di obbligazioni dovrebbero essere specificamente autorizzati, ma non lo sono stati. Eppure questo è l’unico e quindi il miglior modo per uscire dal conflitto fra Grecia e Troika. Wolfgang Schäuble ha dichiarato che “l’Europa non è nel business di concedere prestiti-ponte”, ma i 10 miliardi di euro non li dovrebbe fornire lui, sarebbero ottenuti – sia pure a un prezzo, che i ritardi attuali fanno salire in continuazione – nel mercato internazionale. Rinunciando ai 7,2 miliardi di euro di aiuti previsti dal Memorandum certo si può consentire alla Grecia di superare il limite massimo di 15 miliardi di euro imposto al suo indebitamento a breve. La Troika non può al tempo stesso vincolare la Grecia al suo limite di indebitamento quando questa rinuncia a sostanziali benefici del suo attuale Memorandum.
I tedeschi manifestano una memoria da elefanti quando evocano il fantasma della loro iper-inflazione del 1922-23 per giustificare la loro opposizione anche all’allentamento monetario (Quantitative Easing) della BCE. Ma esibiscono la memoria corta tipica dei pesci rossi quando si tratta della cancellazione nel 1953 di un debito nazionale tedesco di oltre il 200% del PIL, molto maggiore del debito greco attualmente inferiore al 180%. Secondo lo storico economico Albrecht Ritschl (LSE), la Germania è stata il “trasgressore del debito più grande del ventesimo secolo”; Robert Skidelsky recentemente ci ha ricordato che “la Germania ha fatto otto defaults e/o ristrutturazioni del debito dal 1800 al 2008, senza contare le riduzioni del debito ottenute attraverso l’inflazione nel 1920 e 1923. E tuttavia oggi la Germania è l’egemone economico dell’Europa, che stabilisce la legge per chi si comporta male come la Grecia“.
L’accenno di Tsipras alle riparazioni di guerra non è stato commentato dalla Merkel, ma sia il vice-cancelliere Sigmar Gabriel che il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble hanno subito detto che la questione è stata definitivamente chiusa molti anni fa, e la sua riapertura era fuori questione. La menzione della guerra da parte di Tsipras è stata trattata come un gesto inopportuno di cattivo gusto. Ma perché? Se il ricordo della iper-inflazione del 1922-1923 non è ancora sepolto, a maggior ragione non vanno dimenticati eventi ancora più recenti e tragici. Una tale combinazione di buona memoria per gli eventi lontani, con la dimenticanza di quelli recenti è tipica della demenza.
Si dice che un rapporto segreto del ministero greco delle Finanze fornisca prove dettagliate di “atrocità e prestiti forzati durante l’occupazione nazista della Grecia nella seconda guerra mondiale”. A quanto pare “nel 1960 la Germania ha pagato riparazioni di guerra di 115 milioni di marchi per le vittime del regime di terrore nazista in Grecia in adempimento di un accordo bilaterale di riparazione”. Tuttavia: 1) i Paesi Bassi hanno sofferto molto meno e hanno ricevuto un compenso molto maggiore; 2) “l’accordo di Londra del 1953 sui debiti esteri tedeschi, tra la Repubblica federale di Germania e i paesi creditori, stabiliva che gli obblighi di pagamento della seconda guerra mondiale dovevano essere differiti fino ‘dopo la firma di un trattato di pace'”, e 3) a parte il costo delle sofferenza della guerra, le vittime umane e la perdita di beni materiali, c’è stato un prestito che la Banca Centrale greca è stata costretta a concedere al regime nazista nel 1942, 476 milioni di marchi che gli occupanti non solo hanno riconosciuto, ma in realtà avevano anche iniziato a restituire poco prima della fine della guerra. Anche ad un tasso di interesse modesto del 3% l’anno (nonostante che i prestiti tedeschi dopo la guerra in generale avessero un tasso di interesse del 6%) dopo 70 anni il credito greco avrebbe raggiunto una bella somma a tre cifre di miliardi in termini di euro di oggi. Il professor Hagen Fleischer, uno storico dell’Università di Atene, spiega che “prima del 1990, la Germania tendeva a sottolineare [che] era troppo presto per pagare i danni, perché la Germania era divisa mentre era stato tutto il paese ad entrare in guerra, e non solo una sua metà. Così la questione doveva essere messa da parte fino a quando la Germania non fosse riunificata”. Dopo la riunificazione, tuttavia,”la risposta della Germania è cambiata, ‘È passato così tanto tempo, ora è troppo tardi’”. Il ministero greco delle Finanze dovrebbe pubblicare immediatamente e integralmente il suo rapporto segreto, insieme a tutta la documentazione relativa alle trattative greche post-2009 con la Troika che hanno condotto al “Memorandum” attualmente in vigore.
Negli ultimi giorni lo scontro tra Atene e Berlino è diventato più intenso. Giovedì 13 febbraio veniva annunciato che le entrate fiscali del mese di gennaio erano inferiori alle previsioni di un miliardo di euro (un divario del 23%). La BCE aggiungeva 5 miliardi di euro in Emergency Liquidity Assistence, un provvedimento provvidenziale vista l’ondata di ritiri dai depositi bancari. Infatti secondo JP Morgan i deflussi dai depositi bancari dall’inizio del 2015 sono ammontati a 21 miliardi di euro. Ma l’ELA è soggetto a verifiche bisettimanali e non e’ risolutivo. Venerdì 14 febbraio veniva annunciata una contrazione dell’economia nel quarto trimestre del 2014, modesta ma pur sempre un’inversione di rotta dopo nove mesi di crescita.
Il governo Tsipras assicura di non avere bisogno urgente di denaro fresco. “Non vogliamo nuovi prestiti, ci serve tempo, non denaro per fare le riforme” ha detto il premier greco in una intervista al settimanale tedesco Stern. Ma un portavoce della Commissione commentava: “Temo che la liquidità a disposizione stia calando più velocemente del previsto”.
Lunedì 16 febbraio doveva essere il giorno della risoluzione del conflitto. Ma la riunione dei ministri delle Finanze dell’Eurozona finiva in una acerba contesa fra le recriminazioni generali, e l’ennesimo rinvio della decisione finale a non oltre il mercoledi successivo. L’Unione offriva ai greci solo la possibile estensione del programma già esistente, a condizioni invariate; i greci respingevano questa possibilità che giudicavano ”assurda e improponibile”. Il tempo stringe, anche perché alcuni paesi – come la Germania, l’Olanda, la Finlandia e l’Estonia – devono chiedere il benestare parlamentare per approvare non solo nuovi memoranda ma anche possibili proroghe.
Si potrebbe pensare che la differenza fra le posizioni dei due contendenti sia minima, e puramente formale. Dopo tutto, che grande differenza ci può essere mai fra la proroga di un accordo preesistente con l’intesa che entro i prossimi sei mesi sarà rinegoziato consensualmente, e una stipulazione leggermente diversa ma pure soggetta a revisione consensuale entro i prossimi sei mesi?
La differenza tuttavia è immensa. La proroga del Memorandum esistente comporterebbe l’accettazione non solo del principio generale dell’austerità, ma anche di nuove privatizzazioni a prezzi stracciati, e la revoca di misure già prese dal governo Tsipras, come quelle sulla riassunzione di impiegati statali, il salario minimo e le pensioni. Sarebbe una capitolazione da parte del governo greco che verrebbe a rinnegare i capisaldi della propria campagna e mandato elettorale. E per i pessimi leaders europei si tratta di stabilire chi comanda veramente. E crolli pure l’Europa, con tutti i Filistei.
Eppure c’è una soluzione perfettamente fattibile per evitare le conseguenze potenzialmente catastrofiche che il conflitto tra la Grecia e la Troika altrimenti comporta: sollevare il limite massimo di 15 miliardi di euro attualmente imposto al debito a breve termine della Grecia, in cambio della rinuncia agli aiuti altrimenti dovuti e stipulati nel Memorandum, rimandando a un nuovo accordo le questioni di privatizazioni e di revisione delle spese sociali. Paradossalmente, Angela Merkel ha assunto sulla crisi in Ucraina una posizione saggia per evitare che l’Europa sia coinvolta nell’iniziativa degli Stati Uniti di riarmare l’Ucraina, in lotta contro Vladimir Putin. Speriamo che essa possa venire a più miti consigli anche nel pericolosissimo conflitto con la Grecia.
Potremmo dire che la Troika, come Shylock – Il Mercante di Venezia, insiste nel pretendere la sua libbra di carne in pagamento del debito, mentre la Grecia è disposta a pagare una libbra della propria carne solo a condizione di non dover includervi anche il sangue. Il dramma shakespeariano si replicherà mercoledì prossimo, con finale aperto.