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di Luca Billi, 10 marzo 2017
Nell’affrontare il cosiddetto scandalo Consip i vari commentatori – e noi dietro a loro – si sono dilungati a parlare di Lotti, del padre di renzi e di tutte le figure di contorno di questa triste vicenda, ossia di chi avrebbe pagato, di chi avrebbe incassato, di chi avrebbe millantato e via così, ma poco si è parlato della società che sarebbe stata l’occasione di questo mercimonio, ossia della Consip. Si è disquisito di più della “bettola” dove sarebbero avvenuti gli incontri segreti piuttosto che di questa società, il cui azionista unico è il ministero dell’economia e che riveste un ruolo così importante nella pubblica amministrazione del nostro paese, perché Consip è la società che fa gli acquisti per lo stato e quindi per tutti noi.
Credo sia il momento di rimediare: per i miei lettori che non lavorano nel pubblico è utile dare qualche informazione in più. La Consip è nata nel 1997 – primo governo Prodi – per gestire i servizi informatici del ministero che allora si chiamava ancora del tesoro; in quello stesso anno si decide che la stessa società debba bandire anche altre gare, non solo riferite ai sistemi informatici, sia per quel ministero che per la ragioneria generale dello stato, cominciando ad assumere il ruolo che avrà negli anni successivi. Nel 2000 – secondo governo Amato – la Consip diventa il gestore del Programma di razionalizzazione della spesa pubblica, che non fu razionalizzata quella volta e non lo sarebbe stata neppure in quelle successive, ma andiamo con ordine. Tre anni dopo – secondo governo Berlusconi – nasce il mercato elettronico della pubblica amministrazione, il MePa, di cui Consip diventa la struttura centrale. Curiosamente nello stesso tempo i servizi informatici passano a una diversa centrale di committenza, perché un po’ si accentra e un po’ si decentra, senza molta coerenza e soprattutto tenendo conto degli interessi del momento. Negli anni successivi la società acquista comunque il ruolo di principale centrale di committenza della pubblica amministrazione: in pratica le varie finanziarie – in particolare quella del governo Monti – affidano a Consip il compito di indire le gare d’appalto, che dovranno poi essere usate da tutte le altre amministrazioni, centrali e periferiche, e obbligano il resto della pubblica amministrazione a usare Consip per acquistare beni e servizi. Sempre che non ci sia un bel terremoto che permette di superare tutte le regole, anche quelle dettate dal buon senso e dalla vergogna. Con il governo Renzi Consip diventa l’elemento chiave della politica di spending review, perché nel frattempo i governi hanno cominciato a parlare in inglese.
In sostanza, nella propaganda di regime di questo quindicennio abbondante, Consip doveva servire a far risparmiare lo stato attraverso l’attivazione di quelle che si chiamano le economie di scala e soprattutto doveva essere il principale strumento contro la corruzione. Evidentemente non ha ottenuto né un risultato né l’altro, perché in Italia sono aumentate sia la spesa pubblica che la corruzione. Anche per colpa di strutture come la Consip, al netto degli episodi di malaffare che forse ci sono stati o forse no, e di cui francamente poco mi importa. Il problema vero non è l’eventuale mercimonio che ci sarebbe stato intorno a Consip, ma proprio quella società e quello che ha rappresentato in questi anni in cui, al di là di un’apparente alternanza di governi, ha dominato un’unica ideologia, quella del mercato, e in cui gli unici che ci hanno guadagnato sono stati proprio i “mercanti”.
Questa società, sempre al netto del malaffare che forse oggi scopriamo, ha avuto lo scopo di ridurre il potere degli enti locali e in generale della pubblica amministrazione sul territorio, a favore di strutture gerarchizzate, centralizzate e fuori controllo. Questa scelta ha consapevolmente portato a ridurre il peso della politica, perché gli enti più vicini ai cittadini e quindi più controllabili si sono visti svuotati di potere a favore di centrali – penso anche a una struttura come l’Anac di Cantone a cui vengono affidati compiti impropri di controllo e perfino la definizione di norme amministrative e di legge – che non sono controllabili, se non dall’esecutivo che ne nomina di volta in volta i vertici, ma che poi finiscono per diventare autonome anche dalla politica, perché rispondono a poteri “altri”, ai poteri veri che comandano nelle nostre società.
L’altro obiettivo è stato quello di rendere più debole la pubblica amministrazione. Provate ad acquistare qualcosa su Consip. E’ difficile, richiede tempo e non fa risparmiare, anzi fa spendere di più, perché non risparmi su quello che compri e impieghi il tempo – molto tempo – della persona che deve istruire la pratica: e anche il tempo di chi lavora, perfino quello di noi dipendenti pubblici “fannulloni”, è una risorsa. E poi Consip è una struttura complessa, che quindi ha dei costi e che ha richiesto molti costi per essere progettata e messa in piedi; anche perché una consulenza non si nega a nessuno. Temo che alla fine, facendo i conti fatti bene, una penna acquistata su Consip costi tanto quanto se l’avessimo comprata dal cartolaio in piazza, davanti al municipio; se il risparmio non c’è o è così poco significativo, tanto valeva acquistarla dal fornitore della nostra città, facendo girare i soldi sul territorio, come facevano una volta gli enti locali, e magari scegliere quel tipo di penna che ci serviva davvero e non quella che dovrebbe andare bene in tutta Italia.
Perfino se funzionasse bene, Consip rischia di essere un danno. Se poi gli appalti vengono truccati capite che pericolo rappresenta, perché in questo paese le economie di scala rischiano non di far risparmiare i cittadini, ma soltanto quelli che devono pagare le tangenti: costa meno corrompere il responsabile di un’unica centrale di committenza che gli ottomila funzionari degli ottomila comuni italiani, con il rischio che qualcuno di questi sia perfino onesto e ti denunci.
Consip è stata creata per delegittimare la pubblica amministrazione e per renderla meno capace, e quindi più debole, perché sempre più adesso un tecnico che deve far fare un lavoro per l’ente in cui lavora – e quindi a beneficio di noi cittadini – non è qualcuno che sa come quel lavoro deve essere fatto e quanto può costare farlo, ma uno che sa districarsi in un mare caotico e farraginoso di norme, che non esce mai dal suo ufficio, perché il suo lavoro si riduce tutto alla redazione di atti e non sa cosa avviene fuori: non sa come quella strada viene fatta né come dovrebbe essere fatta. Consip, come i bizantinismi di Cantone, sembrano fatti apposta per dissuadere una funzionario onesto a fare bene quello che sa e deve fare e per spingere quello disonesto a rubare di più, approfittando proprio di questa confusione, di queste norme contorte, che cambiano a ogni stormire di foglie.
Sempre al di là dei fatti di malaffare – che vedremo se saranno provati – Consip non serve a combattere la corruzione perché questa si combatte solo quando chi lavora nella pubblica amministrazione è preparato, conosce il suo lavoro e sa che ha sopra di sé e al suo fianco amministratori che sanno e cittadini consapevoli. In questi anni invece abbiamo – e purtroppo è qualcosa di cui anche i governi del centrosinistra portano piena responsabilità – fatto in modo che la pubblica amministrazione fosse più debole.
E questo non è solo un problema di noi dipendenti pubblici, ma un problema di noi cittadini, che siamo più poveri, perché una pubblica amministrazione che funziona male impoverisce la società. E in questi quindici anni noi cittadini, compreso il cartolaio della piazza davanti al municipio, ci siamo impoveriti, e si sono arricchiti soltanto quei pochissimi che vendono migliaia di penne e quelli che loro “finanziano” affinché noi possiamo continuare ad acquistarle, pagando di più.