Presidenzialismo senza autorità e democrazia

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti,

di Alfredo Morganti – 21 gennaio 2016

 Vedi alla voce ‘autorità’

Dice la cronaca del ‘manifesto’ che Mario Tronti, da senatore del PD, stesse svolgendo il suo intervento sulla riforma costituzionale proprio mentre il premier Renzi entrava in Aula. Tronti stava citando Max Weber, Pareto e Mosca per dire, in sostanza, che “la crisi di autorità” sarebbe “più acuta della crisi di rappresentanza”. Indicando con ciò un sempre più inderogabile bisogno di Stato e di sovranità, e in sintesi di esecutivo, rispetto agli organi della rappresentanza. Musica per le orecchie del premier, che pare abbia prima applaudito e persino, poi, citato il filosofo nel suo intervento finale (unica citazione peraltro). Certo, questa è un’epoca che sembra sfarinarsi sia a livello sociale sia politico. I dati dell’abisso ormai spalancato tra ricchezza mondiale e povertà ce li ha squadernati il rapporto Oxfam. Lo stato attuale della politica è altrettanto drammatico: anche qui c’è un baratro tra le opinioni, le aspettative, le visioni dei cittadini e dei lavoratori e quelle espresse quotidianamente dalla nostra classe politica (a proposito di Mosca). Tuttavia mi domando: come si colma questa duplice divario? Come ristabilisce un clima di fiducia, prossimità, ri-legittimazione?

Tronti (da come intuisco) e il premier ci dicono: la crisi è di autorità, questa autorità deve essere ristabilita, l’esecutivo deve essere rafforzato, non importa se il Parlamento si tramuti ancora più in un’aula sempre meno rappresentativa, grazie a procedure maggioritarie e a ‘premi’ che drogano il risultato elettorale di base. Non è prioritario dunque rappresentare di più gli elettori, conta invece che chi deve decidere possa farlo in assoluta tranquillità e autonomia rispetto ai livelli della rappresentanza. Si tratta di rafforzare la punta della piramide, piuttosto che allargarne le basi, oppure ri-legittimarle. Si tratta di potenziare gli strumenti esecutivi, quelli di governo, l’impatto decisionale, riducendo la democrazia all’appuntamento elettorale + cinque anni di governo quasi indisturbato, almeno a livello parlamentare (poi sociale non so, ma sono pessimista). Sono le basi del governo ad allargarsi, le basi dell’alta amministrazione, la forza e la ramificazione dei suoi uffici e, in primis, il potere dell’uomo, sempre più solo e arrogante che si trova a presiedere questa macchina decisionale (o democrazia decisionale, fate voi).

Io non penso che sia così. Io penso che se le basi popolari e rappresentative di una democrazia appunto tale si restringono, se la fiducia diminuisce, se la legittimazione delle istituzioni viene a mancare progressivamente, e se tutto ciò produce invece, paradossalmente, nell’opinione pubblica e nella classe dirigente un rinnovato bisogno di autorità (e forse di autoritarismo), questa spirale perversa deve essere spezzata. Subito. Non c’è autorità democratica senza una qualche legittimazione rappresentativa, altrimenti essa diventa solo forza, potenza, distanza, arroganza, ampliando gli abissi che già segnano la nostra vicenda politico-sociale piuttosto che ridurli. E si tratterebbe di un’autorità intesa come forza che produce però debolezza, che amplificherebbe quella attuale dello Stato, mentre i poteri sono altrove, sono poteri oligarchici, la cui autorità è del tutto estranea a ogni grammatica democratica. Ma se lo Stato è distante, perché insistere allora, perché esagerare nell’accentuare ancora di più questa distanza? Se tanti non votano più, se le basi reali e popolari della democrazia si restringono, se i partiti sono morti e defunti, se conta più un tweet di un documento articolato e ponderato, più un gesto teatrale delle varie forme di partecipazione pubblica, perché non prendere atto che della democrazia oggi resta solo uno scheletro, un simulacro, un’incessante prova di forza, una figura stentorea, lontana, che si rappresentata al massimo in tv, sui social oppure in un Parlamento di nominati?

(La domanda finale è allora questa: è lo Stato purchessia che fonda un popolo, oppure è un popolo adeguatamente rappresentato a fondare e legittimare uno Stato, come è già accaduto con la Resistenza e con la Costituzione che oggi stanno modificando?)

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