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di Luca Billi 24 giugno 2016
In italiano l’espressione prendere o lasciare non racconta una vera opzione, ma piuttosto un ricatto, una minaccia. E ieri i cittadini del Regno Unito non avevano di fronte una vera alternativa: anche a loro è stato intimato di prendere o lasciare; e, per rabbia, in molti – anzi la maggioranza – hanno deciso di lasciare. C’erano solo due opzioni in campo: o vinceva l’Europa del capitale, l’Europa dei mercati e dei mercanti, l’Europa che “vende” i profughi alla Turchia oppure vinceva l’Europa delle piccole patrie, dei nazionalismi, dei fascismi vecchi e nuovi. Francamente io – come immagino molti di voi e credo anche molti sudditi di Sua Maestà – non sono disposto a votare per una di queste due Europe possibili, e figurarsi se lotterei per una delle due. Francamente non so cosa avrei fatto ieri se fossi stato un cittadino del Regno Unito, non so se sarei riuscito ad andare a votare, se avrei accettato questi ricatto.
Il dramma dell’Europa non si è consumato questa notte, mentre venivano conteggiate le schede, l’Europa non è finita nelle brughiere inglesi o sulle verdi colline del Galles, l’Europa muore da tempo, è morta qualche giorno fa quando un pazzo – chissà quanto pazzo, a dire il vero – ha ucciso la giovane deputata laburista Jo Cox – nel paese in cui era stata eletta e in cui ha comunque vinto il leave – mentre le borse festeggiavano questo assassinio. L’Europa è morta la notte in cui i governi dell’Unione hanno sottoscritto l’accordo sui profughi con l’autocrate Erdogan, l’Europa è morta migliaia di volte a Idomeni e al largo di Lampedusa.
L’Europa è morta la notte – i banditi evidentemente preferiscono sempre la notte – in cui tutti gli altri leader hanno ricattato Alexis Tsipras, sottoponendolo a una tortura psicologica, solo perché il leader greco aveva provato a dire che un’Europa diversa è possibile. E anche in questo caso le borse hanno festeggiato, senza ritegno. L’Europa è morta da almeno vent’anni, da quando il capitale ha messo le mani sulle istituzioni europee e sui governi dei singoli stati, con una violenza e una ferocia che ricordano quelle delle forze di occupazione naziste. L’Europa è morta quando i partiti socialisti europei hanno preferito i valori del finanzcapitalismo a quelli del socialismo, quando hanno bombardato l’Iraq, quando hanno privatizzato i servizi pubblici, quando hanno svenduto i beni comuni, quando hanno pensato che l’Europa crescesse grazie alla finanza e non grazie al lavoro. Tony Blair è molto più responsabile della fine dell’Europa di quanto lo sia il povero David Cameron, la cui stella è questa notte definitivamente tramontata.
Per una persona di sinistra, per un socialista come me, ieri non c’era un’opzione possibile: o votare con i fascisti o votare per mantenere in piedi l’Europa dei padroni. Temo che questo voto travolgerà anche Corbyn insieme a Cameron, perché alla fine il Labour non ha saputo offrire una proposta diversa. Mi rendo conto che è molto difficile quando la scelta è così netta, quando hai puntata una pistola contro la testa – e sai che chi la tiene è disposto a uccidere, pur di preservare i propri interessi – eppure la scelta del remain da parte del Labour di Corbyn è stata insufficiente. E forse mortale. Anche perché hanno votato leave i poveri, i lavoratori più deboli, quelli che vivono ai margini della società, quelli che un partito socialista dovrebbe rappresentare e difendere, ma evidentemente queste persone – in Gran Bretagna come nel resto dell’Europa, e anche negli Stati Uniti – non riescono più ad ascoltare la voce della sinistra, ma vengono irretite da chi promette soluzioni più facili, da chi costruisce un nemico, da chi lavora per creare disordine, mentre il progresso nasce sempre dall’ordine. Nel disordine si arricchiscono solo i più disonesti e quelli che già sono ricchi, e quasi sempre le due categorie tendono a coincidere. Ieri un socialista non poteva votare perché il suo voto avrebbe comunque favorito i suoi nemici e soprattutto avrebbe reso più debole la sua causa, l’obiettivo di una piena giustizia sociale.
Eppure l’Europa per molti anni è stato anche questo, non solo l’opportunità di non avere più guerre all’interno del nostro continente – un obiettivo raggiunto, seppur a carissimo prezzo e spesso sulla pelle degli altri, anche di popoli così vicini come quelli della ex-Jugoslava – ma anche la frontiera di una nuova giustizia sociale. L’idea dell’Europa è nata, insieme alle Costituzioni, alla fine della seconda guerra mondiale, nel momento in cui il capitalismo era più debole – non era mai stato così debole – e in cui il socialismo era più forte – anzi non era mai stato così forte. L’idea dell’Europa unita è nata negli stessi in cui ha raggiunto il punto più alto l’elaborazione politica tesa a riconoscere il ruolo preminente dello stato sull’economia, la necessità di garantire diritti universali ai lavoratori, l’obiettivo di trovare strumenti per la redistribuzione della ricchezza. E anzi l’Europa, l’Europa unita – un’utopia allora per uomini che erano cresciuti in mezzo a un conflitto e che avevano studiato che la guerra era la condizione normale per l’Europa – proprio questa utopia doveva accompagnare l’altro sogno, quello socialista. Abbiamo sì costruito l’Europa, ma a partire dal carbone e dall’acciaio e non dai diritti dei lavoratori. E così, quando il capitalismo si è ripreso da quella crisi, ha cercato di distruggere il socialismo in ogni sua forma, anche quelle più moderate, e ha piegato ai propri interessi, ai propri scopi, l’Europa. E adesso, per completare l’opera, vuole toglierci le Costituzioni nate in quegli anni, affinché la sua vittoria sia completa.
Io sono uno di quelli che continua a pensare che il socialismo potrà nascere più facilmente in un’Europa unita e anzi che avrà bisogno dell’Europa unita, perché solo l’unione delle donne e degli uomini di tutta l’Europa ci darà la forza per sconfiggere il capitale. Ma sono anche molto pessimista, perché questa non è ormai più un’opzione in campo. La domanda di ieri avrebbe dovuto essere: volete “questa” Europa o la rivoluzione? Invece siamo stati, ancora una volta, ricattati: prendere o lasciare.