di Raniero La Valle – 14 novembre 2018
“Il grido del povero” è il messaggio di papa Francesco per la II giornata mondiale dei poveri che si celebra domenica prossima, 18 novembre. Celebrare non è la parola adatta, perché si tratta piuttosto di gridare sui tetti la condizione angosciata dei poveri che tutto il sistema di potere tende oggi ad occultare e rimuovere. E’ appunto al grido dei poveri che fa eco il messaggio del papa, pubblicato già il 13 giugno scorso ma che è bene ora riprendere in mano. Colpisce che nel riproporre la questione della povertà e nel promuovere un’azione, anche della Chiesa, per alleviarla, il papa non si rifugi in alcuna spiritualizzazione o mistica della povertà, ma la denunci come frutto di ingiustizia, avidità ed egoismo; il povero grida non solo perché è privo di mezzi, ma perché è scacciato, scartato, umiliato, naufrago, e addirittura fronteggiato, se si mette in marcia, da eserciti in armi. Perciò la risposta che è di Dio ma dovrebbe essere anche del mondo e della Chiesa, non è quella di arricchirlo, ma ancor più di liberarlo. Certo gli ci vuole un reddito (e un lavoro, una casa, gli strumenti per produrre beni e dignità) ma deve essere un reddito di liberazione perché la povertà, dice il papa, è una prigionia. E proprio questa sembra la novità più significativa di questo messaggio di Francesco, l’aver messo in contraddizione nella condizione del povero non la povertà e la ricchezza ma la prigionia e la liberazione.
Si è svolto a Camaldoli, dal 1 al 4 novembre scorso, il colloquio “Oggi la parola” sul tema “Abitare il futuro”. Questo futuro si è mostrato come un futuro tutto posseduto e determinato dalla tecnica, su un precipizio di ignoto che oggi è perfino impossibile immaginare. In gioco c’è infatti la produzione di robot che simulano l’uomo e vorrebbero essere più prestanti di lui, c’è l’intelligenza artificiale che si pretende più performante dell’umana, e un uomo “potenziato” oltre i suoi limiti, non solo per curarne le malattie ma per fargli battere ogni record in sempre nuove conquiste; e ciò non solo a valere per i viventi di oggi ma, attraverso l’ingegneria genetica tale da modificare anche le generazioni future. Di grande interesse le informazioni che sono state fornite, ma anche di grande ambivalenza e allarme le conclusioni che se ne possono trarre. Come diceva un documento del 2008 della Congregazione per la dottrina della fede, “Dignitas personae” c’è il rischio che tali manipolazioni, genetiche e cibernetiche, volte al potenziamento della specie umana, introducano “un indiretto stigma sociale nei confronti di coloro che non possiedono particolari doti” e che enfatizzino “doti apprezzate da determinate culture e società, che non costituiscono di per sé lo specifico umano”, ciò che contrasta “con la verità fondamentale dell’uguaglianza fra tutti gli essere umani, che si traduce nel principio di giustizia, la cui violazione, alla lunga, finirebbe per attentare alla convivenza pacifica tra gli individui”. La vera domanda è che idea ci sia di questo uomo che si vuole oltrepasssare.