Poveri di ricchezza sociale

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 2 ottobre 2018

“La povertà non è solo quella economica. Ci sono anche gli anziani non autosufficienti, i malati psichici, le loro famiglie, i migranti. Ecco perché non basta parlare di numeri”. Lo ha detto Don Colmegna a ‘Repubblica’ sabato scorso. I preti sanno dire le cose, queste cose, con la massima chiarezza, con esemplare limpidezza, mentre altri, che pure fanno sfoggio di un lessico duro e puro (‘popolo’, ‘nazione’, ‘sovranità’), non ne sono capaci. Chissà, mi chiedo, se tutti costoro (gli anziani non autosufficienti, i malati psichici, le loro famiglie, i migranti, appunto) sono compresi a pieno titolo nella grande categoria del ‘popolo’ che oggi è cool e tira molto, oppure ne vengano esclusi. E chissà quali soggetti sociali, entro la medesima categoria del ‘popolo’, siano invece accolti con la fanfara. E se la sofferenza sociale è pure quella dei vecchi non autosufficienti e dei migranti, o soltanto degli evasori e dei vessati dal fisco a cui è concesso l’ennesimo condono tombale, dei truffati dalle banche oppure delle imprese nazionali a cui è rivolta la flat tax.

Don Colmegna è come se avesse detto che i poveri non sono solo individui, che la povertà è anche sociale, e si genera dalla carenza di servizi pubblici, welfare, cura, accoglienza, carità, relazioni umane, prossimità, risorse distolte dal consumo per essere indirizzate ad chi ne ha bisogno. La povertà è il vuoto attorno, è la risoluzione del sociale nell’individuale, è credere che alzare (di pochissimo) il reddito sia una misura sufficiente di per sé, anche se attorno agli individui la vita pubblica si dissolve. Anche se i 100 euro in più non corrispondono ai 200 euro con cui si dovrà pagare l’ecografia fatta, per ragioni d’urgenza, in uno studio privato o intramoenia.

Un Paese ricco è quello che esprima un’alta ricchezza sociale, non la difesa pura e semplice del potere di acquisto individuale dei beni di consumo. L’uguaglianza non è dinanzi al mercato. La solidarietà non è una zavorra dello sviluppo. L’accoglienza dell’altro (quasi sempre povero, sventurato, in fuga) non è un punto di debolezza, non mette in crisi la civiltà di un popolo ma la rafforza culturalmente e moralmente. Bisogna ripartire da una centralità culturale, dice Don Colmegna (che è Direttore della Caritas Ambrosiana) perché oggi siamo all’individualismo etico. Bisogna ridare fiato ai legami sociali, invece di reciderli per paura. Una società di monadi è la più facile preda della destra. Un ‘popolo’ considerato astrattamente (esibendo “astratti furori”, avrebbe detto Vittorini) è la tomba del riscatto sociale. Tornare alle figure reali, alla loro ricchezza, al loro effettivo status, al bisogno che esprimono di legami, di cura, di Altro è l’unica strada percorribile. Il resto è solo risentimento, oppure una specie di superbia accademica, che può andar bene in un convegno, che può persino coprire il fianco sinistro dell’esecutivo, ma che serve davvero a poc’altro.

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