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di Luca Billi – 17 ottobre 2016
Visto che ovviamente non ci sono arrivate testimonianze registrate delle performance degli autori greci antichi, noi “moderni” facciamo fatica a rendercene conto, ma in quel tempo il rapporto tra parola e musica era fortissimo e in qualche modo inscindibile. La tragedia greca era molto più simile al melodramma che al teatro di Shakespeare o di Goldoni: il coro cantava e ballava. E così nella commedia. Erano spettacoli da vedere e da ascoltare, non solo da leggere.
Pensate se delle opere di Verdi ci fossero arrivati soltanto i libretti, dubito che un qualche teatro avrebbe ancora in cartellone Trovatore o Aida; le poesie di Eliot sui gatti sono senz’altro una divertente opera letteraria, anche perché sono diventate alcuni anni dopo i testi di Cats e hanno avuto il dono della musica. Ovviamente non smetteremo di leggere Edipo re o Le supplici o Le nuvole – anzi saranno testi che continueranno ad affascinarci e da cui continueremo a imparare, per sempre – ma dobbiamo essere consapevoli che non sapremo mai come queste opere furono realmente, appunto perché ci mancano le musiche e le coreografie. E poi Saffo cantava, Pindaro cantava, Tirteo cantava, tutti i poeti antichi cantavano.
A dire la verità di quello che studiamo a scuola come letteratura greca praticamente nulla potrebbe rientrare in una definizione stretta di letteratura, quella – per intenderci – che, secondo alcuni, dovrebbe essere la sola a meritare di essere valutata dai severi accademici di Svezia. Omero era un cantastorie che girava per le città della Grecia raccontando a memoria le gesta dei guerrieri andati a combattere sotto le mura di Troia; Erodoto e Tucidide erano storici; Ippocrate era un medico; Platone e Aristotele filosofi; Lisia scriveva orazioni da far recitare ai suoi clienti nei tribunali. Gli altri, come ho detto prima, erano poeti che cantavano e librettisti di fortunate opere musicali. Per dire che la letteratura è, da sempre, un fenomeno più complesso di come vorrebbero ridurlo alcuni pedanti. E allo stesso tempo più semplice. Perché la letteratura è molte cose diverse. Gli articoli sportivi di Gianni Brera sono letteratura, le sceneggiature di Tonino Guerra sono letteratura, i pamphlet di Pier Paolo Pasolini sono letteratura, le ricette di Pellegrino Artusi sono letteratura. Perfino qualche blog può diventare letteratura.
Bob Dylan era letteratura anche prima del giorno in cui gli incartapecoriti accademici di Stoccolma gli assegnassero il Nobel, anzi lo è nonostante quel premio, che in fondo è una piccola cosa, l’occasione ogni anno per fare un gioco di società, per vedere la gioia del vincitore – e apprezziamo il silenzioso mister Zimmerman anche per l’inconfondibile stile con cui ha accolto la notizia – e soprattutto la rabbia di chi non ha vinto – e anche quest’anno qualcuno degli esclusi non è riuscito a evitare di stare zitto.
Sappiamo bene che ci sono vincitori del Nobel che meritano l’oblio in cui sono caduti e artisti grandissimi che non l’hanno mai ricevuto, e forse non l’avrebbero neppure voluto ricevere. Per qualcuno quel premio è stato utile, perché ha squarciato un velo di indifferenza, li ha fatti conoscere a una platea più vasta dello stretto giro degli esperti. Per altro è buffo come ogni anno, pochi minuti dopo l’annuncio, consultata velocemente la relativa pagina di Wikipedia, tutti si affrettino a dire che effettivamente conoscevano già quello sconosciuto poeta africano o quella mai tradotta scrittrice boema. Per altri quel premio è stata una iattura, perché li ha posti sopra un piedistallo, su cui si trovano poco a loro agio. Personalmente credo sia stata una cattiveria dei vecchiacci di Stoccolma aver dato il Nobel a Dario Fo, trasformando quel giullare anarchico in un austero padre della patria; personalmente preferisco ricordarlo prima della beatificazione. Comunque anche Fo era letteratura, almeno quanto lo è stato Omero, che probabilmente non sapeva neppure scrivere o comunque non riteneva importante scrivere, perché le sue storie viaggiavano nell’aria.
L’elenco delle persone che hanno vinto il Nobel dimostra bene che non possiamo pretendere che i venerandi signori – e anche signore – dell’Accademia si intendano anche di letteratura. Però quel premio serve perché, al di là del valore di questo o quel premiato, dimostra che significato ampio abbia la letteratura. E giustamente Borges non è stato premiato, per il suo iniziale appoggio al regime di Videla. Io, lo sapete, amo Borges come pochissimi altri scrittori, ma credo che l’Accademia abbia fatto bene a negargli quel riconoscimento, proprio perché la letteratura è la vita. E la letteratura sono anche le canzoni; e con il Nobel a Dylan hanno voluto dirci proprio questo.
Virgilio ci racconta quanto sia difficile per gli uomini catturare il vecchio dio Proteo, che abitava sull’isola di Faro, in Egitto, e lì custodiva le greggi delle foche di Poseidone.
E diverrà d’improvviso cinghiale irsuto, crudele
tigre, squamoso drago, leonessa dal collo rossiccio;
poi, crepitante fiamma, vorrà liberarsi dai lacci
o fuggire via, dissolvendosi in limpide acque.
Però quando qualche eroe riusciva finalmente a tenerlo stretto e ad imbrigliarlo, Proteo tornava di nuovo un vecchio e raccontava a quell’audace il futuro. Io credo che la letteratura sia come quel dio, non ama essere definita, classificata, catalogata, ma una volta che siamo riusciti in qualche modo ad afferarla, allora ci fa dei regali incredibili, ci fa viaggiare, sognare, amare, ci insegna ad avere paura e ad avere coraggio, ci racconta, come Proteo, il futuro, attaverso il passato.