Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Post natalizio. Lo scandalo del re povero e la ressa di una pista da sci.
Il Natale, con la “N” maiuscola, ha un solo significato, non altri: è una festa religiosa che ricorda lo scandalo della nascita di un re in condizioni di assoluta povertà. Lo scandalo che si genera da un ossimoro: regalità e miseria. O meglio, la miseria che non intacca la regalità, ma la rende ancora più potente. È questo il messaggio di salvezza. Quello di un re che vuole nascere come i poveri, come i derelitti, come il più fragile (e il più forte) di tutti gli esseri umani. Una capanna invece di un palazzo, l’umiltà invece della boria regale.
Nulla a che vedere con i significati sopraggiunti successivamente. I pranzi, i consumi, le feste familiari. Quest’altro è il natale con la “n” minuscola. Occasione di socialità e di acquisti, ma quanto di più distante da quella capanna. Qui lo scandalo è un altro, ben più laico: ricordare quel re e la sua nascita in povertà come se il suo significato fosse l’opposto di quello vero. Come se il ‘dono’ natalizio fosse una dilagante corsa all’acquisto. Non dico che non si debbano celebrare feste “laiche”, feste immemori, feste di altro significato. Ma che se ne abbia almeno la consapevolezza.
Dire che il Natale sarà diverso non vorrà dire che stavolta il re abbia scelto per venire al mondo un resort cinque stelle con SPA. Ma che sarà diverso l’altro natale, quello con la “n” minuscola: più sobrio, più tranquillo, io direi persino più in linea con lo spirito del Natale vero, con la frugalità come senso originario, con il pensiero di quello scandalo come opportunità. La diversità del Natale potrebbe essere, quest’anno, la sua effettiva identità. Un paradosso, ma sino a un certo punto. Non dico quindi: fate finta che il mercato non esista (sarebbe difficile, il mercato ci ha come inondati), ma: il Natale non è quel mercato, non lo è mai stato. Non confondete lo scandalo dell’evento, la simbologia del dono con la follia del consumo sfrenato.
Non mischiate, tanto più oggi, il Natale con il natale. Non è del primo che parla Conte, anzi, dello spirito del primo c’è bisogno ancor più di prima. Perché in quella nascita c’è una indicazione di metodo, ed è la prossimità al bisogno, alla fragilità, alla sofferenza. È la cura dell’altro. Oggi il piatto di lenticchie è la pista da sci, ieri sono state le discoteche. Ma non è di questo cibo che viviamo, non è questo il pane da spezzare e da dividere con gli sfruttati, i fragili, gli ultimi, i più sofferenti, chi muore o è morto nel silenzio di una terapia intensiva, lontano dai suoi, senza una consolazione o un conforto, se non quello dell’infaticabile personale sanitario. È vita che preme ed è già memoria da custodire.