Fonte: Limes
POSSIAMO VINCERE IN UCRAINA? DUE VOCI AMERICANE
Gli Stati Uniti si interrogano. La rivolta del Wagner ha fatto emergere crepe nel sistema di Putin. La controffensiva degli ucraini è al di sotto delle aspettative. La Russia finisce sempre più nell’orbita cinese. Non si possono concedere vittorie a Mosca ma una guerra protratta rischia di impedire a Washington di perseguire i propri interessi altrove.
Il dibattito in America è intenso tra chi ritiene di dover aumentare il sostegno militare a Kiev per riconquistare più territori e chi invece ritiene che ricercare successi bellici a tutti i costi potrebbe essere controproducente. I primi vogliono che gli Stati Uniti aiutino gli ucraini a espellere i russi da più territori possibile (Crimea, probabilmente, esclusa). Mentre i secondi non credono che qualche chilometro quadrato in più giustifichi gli enormi costi per riconquistarli, anche alla luce degli scarsi progressi delle recenti operazioni ucraine. In quest’ultimo campo rientra una corrente sempre più visibile che, in particolare dalle pagine del New York Times e di Foreign Affairs, invoca (non subito) un armistizio alla coreana, cioè che congeli (senza riconoscerle) le posizioni sul campo.
Nelle pagine che seguono confrontiamo questi punti di vista, con due voci di diversa estrazione. Una proveniente dall’apparato militare. L’altra dalla consulenza alle istituzioni, in particolare al dipartimento di Stato. Distanti su molti aspetti, dall’impatto della ribellione di Prigožin alla possibilità di dividere Russia e Cina, concordano su una questione cruciale: Putin è il diavolo che conosciamo e il cambio di regime a Mosca non è nei nostri interessi se innesca il caos e l’implosione della Federazione – se accadesse gli Stati Uniti dovrebbero tenere a freno Polonia e altri alleati orientali. (f.p.)
‘Putin è debole, armi agli ucraini!’
Conversazione con Peter B. Zwack, generale a riposo dell’Esercito degli Stati Uniti, già attaché militare nella Federazione Russa, a cura di Federico Petroni.
LIMES Il regime di Putin è più forte o più debole dopo la rivolta di Prigožin?
ZWACK I poteri statuali visibili possono apparire più forti, anche perché Putin sta stringendo a sé i gangli del potere, dai servizi segreti ai media. Ma penso che la Russia abbia subìto un’importante erosione di stabilità. Anche la popolazione, normalmente molto paziente, ha dubbi e sfiducia. Ora Mosca sa di dover fare i conti anche con nemici interni. Le Forze armate cominciano a guardarsi le spalle, a chiedersi se devono essere fedeli allo Stato o alla grande madre Russia.
LIMES È possibile distinguere le due cose?
ZWACK Intendo dire che i militari sono la vera sfida per Putin. Sono dei patrioti, ma se qualcuno di loro avesse appoggiato Prigožin, magari perché ritiene che il regime stia abusando dell’esercito, ciò significherebbe che lo Stato non ha sufficiente legittimità per governare. Avrebbe potuto dire qualcosa del tipo: «Io sono un patriota, combatto per la Russia e non supporto il regime perché non è all’altezza».
Prigožin, per quanto aggressivo, patetico e criminale, è stato capace di instillare questa idea nel popolo russo. Lo conferma il fatto che ha marciato verso Mosca incontrando scarse resistenze. Questa è già di per sé una novità. Forse è riuscito a sintonizzarsi con quel serbatoio del sentimento russo finora rimosso, per il quale alla fine il rapporto tra popolo e regime è una farsa, ben espresso dal vecchio adagio: «Io faccio finta di supportare il regime, il regime mi permette di andare avanti». Qualcosa è successo. Mentre i mercenari del Wagner marciavano, in alcuni posti erano accolti come eroi.
Prigožin ha poi sbugiardato il motivo per cui Putin ha deciso di scatenare la guerra, dicendo che erano tutte balle. Ha piantato nella popolazione un tarlo: questa aggressione è ingiusta. Per questo per Putin è così importante riuscire a controllarlo, screditarlo come un criminale e come una persona che si oppone alla nazione e allo Stato. Deve eliminare la narrazione alternativa che ha messo in circolazione.
LIMES Gli Stati Uniti dicono che il generale Surovikin ha partecipato alla ribellione e che era un vip del Wagner. Stanno aiutando Putin a sbarazzarsi dei nemici interni?
ZWACK Ho conosciuto Surovikin nel Distretto militare orientale nel 2012. Ha servito in Cecenia, in Siria, sul fronte meridionale con Gerasimov. È un ingranaggio della macchina di Putin. Ci sono troppe voci e troppe poche informazioni sulle sue sorti. È un mistero che sia apparso così nervoso in video e sia poi scomparso. Perché sarebbe dovuto scomparire? Bisogna però allargare il campo. Che fine ha fatto Gerasimov? Dove sono i generali? È ricorrente che in Russia i vertici militari finiscano negli intrighi politici quando si genera una crisi nella catena di comando moscovita. Ma in un momento come questo, l’esercito al fronte ha bisogno dei comandanti.
Stanno montando sfiducia e sospetto nella leadership più giovane e nella truppa che combatte in prima linea a Donec’k. Il vero rischio è la tenuta dell’esercito. Sono i russi stessi a parlarne, riferendosi ai fatti del 1917, quando l’esercito ruppe le righe e si rivoltò contro i comandanti. Non credo succederà stavolta, ma il punto è che tutto ciò è pubblico. È un pugnale puntato al cuore del Cremlino.
Più in generale, alle élite questa situazione non piace. Hanno fondato il loro potere, il loro prestigio e la loro possibilità di viaggiare su questo regime. A questo livello, ci sono solo opportunisti e sopravvissuti. Tutt’a un tratto, potrebbero rompere i ranghi, fuggire e iniziare a dire che bisogna rimodellare il sistema.
Putin sta lavorando per accentrare e assicurare su di sé il potere in maniera autoritaria. Si è fatto vedere per strada, cosa che non faceva da tempo. È stato nella moschea di Makhačkala in Daghestan. Perché? Per fare vedere che è in grado di controllare l’ambiente e perché sono luoghi che hanno pagato un prezzo di sangue salatissimo nella prima fase della guerra, dal momento che le truppe provenivano da queste regioni per evitare sfilate di bare nelle grandi città russe.
LIMES Se il regime ha basi più fragili, Putin sarà più incline a negoziare?
ZWACK Ho trovato molto interessante il fatto che lui e Lavrov non abbiano accusato l’Occidente di essere dietro a questa ribellione. Credevo che l’avrebbero fatto, come da manuale e come del resto accaduto per giustificare l’invasione. Invece hanno compiuto un passo indietro. Può essere che queste dichiarazioni siano un’apertura. Non posso esserne certo, ma le parole contano. Invece di incolpare qualcuno come da prassi, Putin si è preso la responsabilità, in nome dello Stato russo, di questa crisi. È significativo.
LIMES Come cambia l’approccio del governo americano?
ZWACK Continuiamo, come gli alleati, a sostenere che questa sia una faccenda interna alla Russia, ma ciò non significa che faremo sconti. Le sanzioni restano lì dove sono. Continuiamo a supportare l’Ucraina, ma non daremo a Putin una ragione per mobilitare ulteriormente la popolazione. I russi vogliono ordine, vogliono fidarsi di Putin e della narrazione del regime. Di certo, non vogliono vedere quello che è successo negli ultimi due mesi e che è culminato con la ribellione di Prigožin. Soprattutto in una situazione in cui decine di migliaia di giovani combattono e muoiono al fronte.
LIMES Gli Stati Uniti desiderano la caduta del regime?
ZWACK L’obiettivo è anzitutto la sopravvivenza di un’Ucraina libera e sovrana. Poi, se ciò indebolisce la Russia al punto da metterne in questione il regime, a noi sta bene, perché se lo sono meritato. Ma il cambio di regime non è la politica ufficiale del governo degli Stati Uniti.
LIMES La disgregazione della Russia sarebbe nell’interesse americano?
ZWACK È una questione interna al paese. Se ciò portasse a una Russia stabile e ordinata, con un governo credibile, non aggressivo a livello internazionale e in grado di gestire le testate nucleari, allora sì. Ma il nostro obiettivo è soprattutto garantire la sopravvivenza di Kiev, offrendole – insieme agli alleati – tutti gli strumenti per farlo.
LIMES Putin è meglio delle alternative esistenti?
ZWACK Putin è il diavolo che conosciamo. Ma possono succedere cose davvero brutte. Può saltare tutto in aria. Giusto qualche settimana fa in molti erano terrorizzati che Prigožin potesse essere a capo di una superpotenza atomica. È una cosa che preoccupa molto. Ma la missione rimane centrata sull’Ucraina. Non metteremo ulteriore pressione per far crollare il regime. Forse i russi lo faranno da sé dopo la guerra. Se noi fossimo troppo aggressivi e se effettivamente il regime collassasse, è possibile che emerga qualcosa di ancora più radicale e pericoloso. Ancora più di destra, più reazionario e, soprattutto, revanscista. Questo non lo vuole nessuno. Quello che pensiamo tutti, alleati compresi, è che Putin possa mettere fine a questa guerra, ritirandosi nei confini stabiliti nel 1991 e confermati con il memorandum di Budapest.
LIMES Eppure gli alleati del fianco orientale della Nato – Polonia e baltici – la pensano diversamente. E parlano di smembrare e decolonizzare la Russia.
ZWACK Se un collasso della Russia avvenisse in virtù di spinte interne, dovremmo stare attenti ed evitare che altri paesi si intromettano in questa faccenda. Non credo che sia il momento giusto. Noi vogliamo che la Russia ripensi la sua politica aggressiva e stiamo lavorando per questo. Ma potrebbero svilupparsi forze centrifughe e potrebbero esserci decine di migliaia di morti negli scontri. Non sarebbe una cosa bella. E non penso che riusciremmo a contenere i danni come abbiamo fatto nel 1991 dopo il crollo dell’Urss. Non c’è nessun accordo Nunn-Lugar per controllare le armi nucleari. Non credo dunque che gli Stati Uniti e la maggior parte degli alleati della Nato vogliano il collasso della Russia.
LIMES Il capo di Stato maggiore ucraino, generale Zalužnyj, ha recentemente detto che vuole aerei e altre armi d’attacco. Gli Stati Uniti dovrebbero fornirgliele?
ZWACK All’inizio, ero d’accordo con chi sosteneva che bisognasse dare massimo supporto all’Ucraina stando però attenti a quali armi fornire. Nei primi tre mesi di guerra, non sapevamo con chi avevamo a che fare. C’era una potenza atomica revanscista che apriva un’offensiva su larga scala che non vedevamo dall’invasione nazista dell’Urss nel 1941. Pur dando molte armi, dovevamo prendere sul serio il rischio nucleare. Se avessimo preso la decisione sbagliata avremmo messo a repentaglio noi stessi e i nostri alleati.
Oggi, dopo quasi un anno e mezzo, i russi continuano a colpire i centri civili. Guardate cosa è successo per esempio a Kramators’k, che già l’anno scorso aveva subìto un tremendo attacco alla stazione ferroviaria. Per questo adesso sono favorevole a fornire a Kiev armi in grado di colpire la Crimea, oltre agli F-16, necessari per tenere sotto controllo lo spazio aereo.
Poi nell’ultimo anno abbiamo capito che le linee rosse di Mosca non sono così rosse. Ricordate la canzone di Sting? Anche i russi amano i loro figli. Non è solo Putin a decidere se lanciare o no un missile, ma tutta la catena di comando del ministero della Difesa. C’è sempre una dimensione umana in queste vicende, nel bene e nel male. Penso che anche loro abbiano capito che stiamo soltanto aiutando l’Ucraina e non abbiamo alcun interesse a minacciare direttamente la Russia. Quel che temo sono operazioni sporche, come un attacco alla centrale di Zaporižžja. Di certo, però, non ci faremo paralizzare dal fatto che la Russia brandisce l’arma atomica. Ogni volta che sono stressati parlano di nucleare.
Anche Lukašėnka sta iniziando a ragionare con la sua testa. Non c’è grande amore con Putin, si usano a vicenda. Penso che una delle ragioni per cui la Bielorussia non è intervenuta direttamente nel conflitto riguardi la tenuta interna. L’esercito di Minsk si sarebbe sciolto e ci sarebbero state manifestazioni ancor più intense di quelle del 2020. Molti soldati bielorussi, poi, sono di leva e avevano partecipato alle proteste di tre anni fa. E i primi a cui dispiace il dispiegamento di armi atomiche tattiche in Bielorussia sono i bielorussi stessi.
LIMES Crede che gli Stati Uniti siano portati a ridimensionare la guerra d’Ucraina per via della Cina?
ZWACK La Cina è un problema, ma al momento – soprattutto dopo il tentato golpe – penso che dovremmo aumentare il nostro aiuto verso Kiev. Opinione peraltro condivisa dagli europei, secondo recenti sondaggi. Non so se Washington e Pechino saranno in grado di cooperare per far trattare i russi. Per farlo, dovranno sicuramente tenere conto delle rivendicazioni ucraine. Inoltre, se fossi Xi Jinping sarei veramente inorridito dall’inettitudine russa. L’imbarazzante comportamento delle truppe russe e il caos interno di sabato 24 giugno hanno davvero preoccupato la Repubblica Popolare, perché ha visto il suo partner – non alleato – praticamente sciogliersi.
LIMES Perché gli Stati Uniti stanno pressando gli ucraini ad attaccare?
ZWACK Gli ucraini hanno vissuto l’inferno, ma ora sono ben equipaggiati. C’è la sensazione che questo sia il momento decisivo. Kiev era irritata da questa pressione ma, alla fine, abbiamo sempre detto che queste sono decisioni che spettano a loro. La controffensiva è stata più lenta del previsto per via delle fortificazioni delle linee difensive russe. Però gli ucraini stanno comunque avanzando. Se l’operazione non avrà successo, che succederà? Ce l’hanno chiesto anche loro, volevano sapere se avremmo continuato a supportarli. Credo di sì. Si tratta di mantenere l’iniziativa e, con il caos nelle Forze armate russe, è il momento giusto. Lo vedremo quest’estate. Saranno gli ucraini a scegliere modi e tempi.
LIMES È quello che volete voi americani?
ZWACK Io voglio che la Russia si ritiri, che torni a essere misurata e che l’Ucraina abbia piena sovranità. Se il regime, invece, rimane battagliero, revanscista e revisionista, allora deve cadere. È una loro scelta. Se si ritirano, la nostra pressione viene meno. Hanno attaccato, devono ritirarsi. La Crimea è legalmente parte dell’Ucraina. Kiev e Mosca dovranno negoziare su questo. Forse gli ucraini sognano di arrivarci con le armi. Ma comunque la penisola deve essere demilitarizzata. La Flotta del Mar Nero deve lasciare Sebastopoli. Questo è certo.
(traduzione di Giuseppe De Ruvo)
‘Un armistizio per evitare la guerra lunga’
Conversazione con Samuel Charap, Senior Analyst della Rand Corporation, già consigliere speciale del Policy Planning Staff del dipartimento di Stato, a cura di Federico Petroni e Giacomo Mariotto.
LIMES Gli Stati Uniti dicono che sosterranno l’Ucraina fino a quando sarà necessario. Per fare cosa?
CHARAP È una formula vaga che non descrive come vogliamo che finisca il conflitto, quando e in quali circostanze. Il governo ha fatto alcune dichiarazioni sui nostri obiettivi, ma anche qui c’è una certa ambiguità e una certa riluttanza a entrare nei dettagli. Ufficialmente, abbiamo detto che la guerra finirà con una soluzione negoziale e alla fine dell’anno scorso il segretario di Stato Antony Blinken ha detto che puntiamo a ripristinare l’integrità territoriale dell’Ucraina nei confini precedenti il 24 febbraio 2022. Ma questa posizione non viene più ripetuta così di frequente. Dire che resteremo fin quando sarà necessario serve per dire che non ce ne andremo e non ci stancheremo. E che Putin non dovrebbe contare su questo nei suoi calcoli.
LIMES La ribellione del Wagner potrebbe cambiare questi calcoli?
CHARAP È prematuro dirlo. Fin qui sembra che le opinioni di Putin sulla guerra non siano mutate. Tutto dipende da come interpreterà la rivolta. Se la vedrà come un gesto isolato di un singolo a cui è stata data troppa libertà non inciderà molto – effettivamente non c’è nessuno in Russia come Prigožin. Se invece la vedrà come conseguenza diretta e sistemica della guerra, ciò potrebbe renderlo molto meno ottimista sul prosieguo del conflitto. Di certo non lo rende più ottimista.
LIMES Gli ucraini hanno detto che intendono negoziare fra sei mesi, quando contano di aver fatto progressi verso la Crimea e a est. Se non ci riuscissero, il governo statunitense sosterrebbe nuove offensive o questa è l’ultima?
CHARAP Gli ucraini aggiusteranno le loro aspettative sulla base dell’andamento dei combattimenti. Nei prossimi mesi, impareranno che cosa possono volere da queste linee difensive dei russi. Se avranno successi moderati ma non significativi e non ci saranno serie prospettive di negoziati, è possibile che gli Stati Uniti stanzino nuovi fondi. In fin dei conti, ci siamo già impegnati a fornire assistenza militare e finanziaria nel lungo periodo a prescindere dall’esito delle attuali battaglie. Molte di quelle armi possono essere utili per nuove offensive. Ma può essere che questa controffensiva sia anche vista come la fine, se andasse molto male o molto bene. Non penso che il governo statunitense stia costringendo gli ucraini a ridimensionare gli obiettivi. È difficile capire che cosa vuole davvero Kiev, al di là di quello che dice in pubblico, ma d’altronde è un’ambiguità strutturale quando ci si trova nel mezzo di un’operazione militare.
In generale, penso che il vero problema del nostro approccio è che pensiamo troppo nel breve termine. Non abbiamo idea di come sarà l’anno prossimo e che cosa vorremmo fare in determinate circostanze. Siamo concentrati sulla controffensiva e ragioniamo di dopoguerra, ma nel mezzo niente.
LIMES Lei sostiene che il momento di riaprire colloqui tra russi e ucraini è ora. Perché?
CHARAP Ovviamente non sostengo che dobbiamo smettere di aiutare gli ucraini per costringerli a negoziare coi russi. Intendo dire che si possono tenere aperti canali di comunicazione anche mentre si combatte. Un problema di questa guerra è che le due parti non si parlano dalla primavera 2022, quando sono falliti i negoziati. Una situazione simile è dannosa anche per le stesse operazioni militari. Parlare e combattere dovrebbero essere visti come due strumenti complementari per raggiungere lo stesso obiettivo. Non si negozia solo quando le armi tacciono. A prescindere da come va la battaglia, avere canali funzionanti è utile anche solo per scopi informativi, per intuire che cosa l’altra parte vuole davvero. Ora non ci sono tavoli, non ci sono colloqui e tutto ciò rende più difficile arrivare a vere trattative.
LIMES Agli Stati Uniti andrebbe bene un armistizio che congeli una parte di territorio ucraino all’interno della Russia?
CHARAP Nessuno approverà le annessioni illegali di Mosca. La domanda è piuttosto se per gli ucraini abbia ancora senso combattere. È chiaro che sarebbe meglio se Kiev riuscisse a riappropriarsi dei suoi territori meridionali. Nessuno lo discute, ma occorre chiedersi a quale costo. Gli ucraini potrebbero scoprire di non essere più disposti a pagare il prezzo di ulteriori guadagni territoriali. O potrebbero semplicemente non avere altra scelta. A quel punto si dovrà stipulare un armistizio. Non giustificherà l’espansione russa. Ma porrà fine ai combattimenti in modo duraturo. La storia è piena di cessate-il-fuoco che non hanno in alcun modo risolto le questioni politiche.
L’armistizio coreano è il caso più famoso. Allora negoziarono soltanto gli ufficiali militari. Il governo di Seoul si rifiutò addirittura di prendere parte alle discussioni. Il risultato è stato un accordo di quaranta pagine, un documento ricolmo di meccanismi per garantire la tregua e che ha funzionato per settant’anni. Al suo interno non si trovano provvedimenti per risolvere gli aspetti politici del conflitto. E infatti entrambe le Coree rivendicano la totalità della penisola come proprio territorio. Il punto è sempre quello di decretare la fine delle ostilità militari.
Bisogna quindi chiedersi quale significato conferire al termine «vittoria». Il proposito di rosicchiare qualche manciata di chilometri qua e là non è equiparabile alla possibilità di garantire un futuro di successo, democratico, sicuro e prospero per l’Ucraina, quantomeno nelle aree attualmente controllate da Kiev. Il territorio significa molto per le persone sul campo. Ma gli Stati Uniti non partecipano al conflitto. Formulano i propri obiettivi strategici osservando la situazione dall’esterno.
LIMES Che posto occupa l’Ucraina nella strategia complessiva degli Stati Uniti?
CHARAP Chiaramente per noi l’Ucraina non riguarda solo l’Ucraina. Ci sono in gioco questioni più ampie. In particolare, la garanzia che un aggressore paghi sempre un conto salato per le proprie azioni. Nessuno deve pensare che emulare la Russia possa essere una scelta vincente. Insomma, si tratta della reputazione americana a livello globale. Se Mosca la facesse franca, Pechino potrebbe sentirsi autorizzata seguirne le orme.
LIMES Gli Stati Uniti sono disposti a lavorare insieme alla Cina per risolvere la crisi in Ucraina?
CHARAP Se parliamo della proposta di pace cinese e della successiva apertura di Blinken, ritengo che dimostrarsi disponibili rientri nella buona prassi diplomatica. Si tratta semplicemente di aspettare e capire quanto l’iniziativa possa essere utile. Se funziona, bene. In caso contrario, pazienza. Personalmente sono piuttosto scettico, ma capisco che per ragioni politiche è importante dare prova di buona volontà. Soprattutto per curare come siamo percepiti da altri paesi.
LIMES Nel marzo 2022 Biden ha detto che «quest’uomo (Putin, n.d.r.) non può rimanere al potere». La ribellione del Wagner può aver convinto l’amministrazione che le alternative a Putin potrebbero essere peggiori?
CHARAP Negli Stati Uniti c’è sempre stata la consapevolezza che con un eventuale successore di Putin le cose potrebbero non andare necessariamente meglio. L’instabilità in Russia è un’arma a doppio taglio e potrebbe avere ingenti conseguenze negative. Non sarebbe soltanto uno scenario positivo. Per questo l’obiettivo non è mai stato destabilizzare la Russia, ma indebolire la sua macchina da guerra. La rivolta del Wagner ha però messo in mostra il rischio di un successo catastrofico, tanto smisurato da danneggiare gli stessi vincitori. Anche vincere troppo è un rischio. Se Prigožin avesse preso il potere, oggi non ci troveremmo in una situazione migliore. In ogni caso, a Washington molti pensano che chiunque sarebbe meglio di Putin. Potrebbe sostituirlo una persona più dura, ma sarebbe nonostante tutto un capo più debole. Non sono sicuro che sia un ragionamento corretto.
LIMES Come si possono convincere gli ucraini a non compiere atti inconsulti, come attaccare il territorio russo?
CHARAP In questi mesi abbiamo imparato che non si può. E la ragione è comprensibile. Gli ucraini sono impegnati in una lotta esistenziale, perciò contenerli è molto complicato. Un conto però è attaccare l’entroterra russo per colpire le linee di rifornimento delle forze che combattono in Ucraina. Un altro è far saltare Nord Stream. Ci sono diversi gradi di follia. Questa sarà probabilmente una sfida di lungo periodo per gli Stati Uniti, anche qualora si arrivasse a una conclusione negoziata delle ostilità.
LIMES Gli Stati Uniti temono che paesi come la Polonia incoraggino gli ucraini ad attaccare la Russia?
CHARAP Questi paesi non hanno mai dichiarato esplicitamente che destabilizzare la Russia costituisca il loro obiettivo. Sarebbe una posizione troppo esplosiva. Sono però d’accordo sul fatto che nell’Alleanza Atlantica esistono alcune divergenze di fondo sulla definizione degli esiti auspicabili. Bisogna avviare una discussione interna, con l’obiettivo di mettere tutti d’accordo ed evitare gli eccessi.
LIMES Teme che Mosca e Pechino siano troppo allineate?
CHARAP «Troppo» non è la parola corretta. Stanno cooperando dal punto di vista strategico e allineandosi in maniera sempre più stretta. E credo che ciò ponga delle sfide agli interessi americani.
LIMES Perché dunque gli Stati Uniti le hanno spinte ad avvicinarsi nel corso degli anni?
CHARAP La loro riconciliazione è iniziata alla fine degli anni Ottanta e non è stata solamente una reazione all’atteggiamento degli Stati Uniti. Certo, il nostro comportamento può avere accelerato il processo. Ma il fatto è che non si può controllare il modo in cui i due paesi si considerano a vicenda. Le alternative sono spesso molto più complicate di come vengono descritte. È stata costruita una vera e propria mitologia sull’approccio di Nixon e Kissinger alla Cina, dimenticando che la precondizione del loro successo è stata la frattura tra Mosca e Pechino, che alla fine degli anni Sessanta erano persino impegnate in un confronto militare minore lungo i rispettivi confini. Washington ne ha soltanto approfittato.
Oggi il discorso è diverso. Sia la Russia sia la Cina considerano gli Stati Uniti la principale minaccia alla loro esistenza e ciò le spingerà ad allearsi sempre di più. Questo rende piuttosto limitata la capacità americana di controllare la loro relazione. Possiamo aver fatto errori in passato o quantomeno avremmo potuto temperare alcuni aspetti tenendo conto di tale dinamica. Un esempio recente è stato il tentativo di fermare l’acquisto di armamenti russi da parte dell’India, nonostante le capacità militari di Delhi costituiscano un fattore importante per gli interessi americani nell’Indo-Pacifico. Ci sono state molte pressioni affinché il paese adottasse un nuovo sistema di approvvigionamento quasi di punto in bianco. Tuttavia, gli esempi sono meno di quanto si possa pensare. E la Russia, come risultato della guerra in Ucraina, sarà sempre più dipendente dalla Cina. L’unica domanda da porsi è fino a che punto. È un processo che non siamo più in grado di gestire. Nemmeno contando sul senso di umiliazione dei russi. Potrebbero non gradire la loro nuova collocazione nel mondo. Ma il problema è che Mosca avrà sempre meno opzioni. E noi non saremo disposti a dargliene di nuove.
LIMES Più la guerra si trascinerà nel tempo, più la Russia sarà spinta sotto la Cina. È nell’interesse degli Stati Uniti congelare il conflitto prima che sia troppo tardi?
CHARAP Una guerra prolungata tra Russia e Ucraina potrebbe rivelarsi molto problematica anche per gli Stati Uniti. Ne ho scritto con Miranda Priebe in un rapporto per la Rand Corporation. Aumenterebbe il rischio (già molto elevato) di un’escalation nucleare. Kiev si troverebbe a dipendere quasi completamente dall’Occidente. Le ricadute economiche a livello globale sarebbero gravissime e persisterebbe l’instabilità dei prezzi di energia e cereali. Washington non potrebbe concentrare le proprie risorse su altre priorità globali. In altre parole, la dipendenza della Russia dalla Cina è un fattore da tenere a mente assieme a molti altri. Nel rapporto l’abbiamo addirittura classificata tra i costi meno significativi, poiché è un fenomeno inevitabile. Tuttavia, in molti qui a Washington ci hanno confessato che l’avrebbero inserita in cima alla lista delle priorità.
LIMES Ha detto che gli Stati Uniti dovrebbero concentrarsi su altre priorità. La discordia domestica rientra tra queste?
CHARAP No, il mio ragionamento riguarda la politica estera, non penso che le questioni interne abbiano un impatto sui nostri impegni oltremare. È soltanto una questione di carattere pratico: il tempo degli alti funzionari è la risorsa più preziosa. Se all’inizio del 2021 aveste comunicato alla cerchia di Biden che avrebbe dedicato l’80% del suo tempo all’Ucraina, sarebbero rimasti molto sorpresi. Volevano dedicare più tempo all’Asia-Pacifico e a sfide transnazionali come il cambiamento climatico. Ora ci sono meno risorse a disposizione per affrontare questi problemi. Ma per un motivo molto semplice. La guerra d’Ucraina è importante.
LIMES Il sostegno all’Ucraina è un limite per l’impegno militare degli Stati Uniti nei confronti di Taiwan?
CHARAP Di recente sono stati pubblicati resoconti dettagliati. A causa dello sforzo americano nel teatro europeo, Taipei dovrà aspettare molto tempo per ricevere i sistemi bellici arretrati. Su questo non c’è alcun dubbio. D’altronde quella verso l’Ucraina è l’assistenza militare statunitense più significativa dai tempi del Lend-Lease, durante la seconda guerra mondiale. L’effetto sulle scorte degli Stati Uniti è inevitabile e ciò a sua volta impatta sulla capacità di rifornire altri partner. La realtà è che Washington ha inviato decine di migliaia di nuove forze in Europa, un impegno che con tutta probabilità si protrarrà negli anni. La situazione può essere mitigata, ma ci vorrà, di nuovo, tempo.