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di I Diavoli 26 agosto 2016
Dopo sei anni di crisi e tre sotto il piano di salvataggio della Troika, il Portogallo ha un debito pubblico pari al 129% del Pil. Dopo le riforme e i sacrifici sociali, ha un tasso di disoccupazione all’11.2%. Dopo anni vissuti con istituti sottocapitalizzati e con in pancia miliardi di crediti deteriorati, ha un sistema bancario fragile, potenzialmente in grado di innescare un effetto “a spirale”che inghiottirebbe banche e governo. L’Europa ha cancellato la multe per «deficit eccessivo», ma entro il 15 ottobre Lisbona dovrà presentare «misure efficaci» all’Ue. Il 21 ottobre l’agenzia di rating Dbrs ha in agenda la revisione del giudizio sul Portogallo ed è l’unica ad assegnare ancora al Paese un punteggio sopra il cosiddetto investment grade.
«Giace l’Europa, sui gomiti appoggiata/ giace da Oriente a Occidente, scrutando/ e le occultano romantici capelli/ occhi greci, rimembrando./ Il gomito sinistro è arretrato;/ il destro è ad angolo disposto./ Quello che dice Italia ov’è appoggiato;/ questo dice Inghilterra ove, discosto,/ la mano regge su cui posa il volto./ Scruta, con sguardo sfingeo e fatale,/ l’Occidente, futuro del passato./ Il volto con cui scruta è il Portogallo».
I versi sono di Fernando Pessoa, raccolti in “Messaggio”. Era il 1934, raccontava così il suo Portogallo alla cesura tra passato e futuro. Ottant’anni dopo, la cronaca del Paese iberico segue la narrazione dell’emergenza economica, dell’austerità, del pareggio dei conti. Lisbona scalpita, tenuta al guinzaglio di un’Europa che non è più la stessa, un’Europa alla quale si unì ormai trent’anni fa. Tutti guardano al Sud e non al cuore dell’Europa.
Fotografia di un Paese fragile
Dopo sei anni di crisi e tre (2011-2014) sotto il piano di salvataggio della Troika (Ue, Bce, Fmi) da 78 miliardi di euro, il Portogallo ha un debito pubblico pari al 129% del Pil. Dopo le riforme, i tagli e i sacrifici sociali, ha un tasso di disoccupazione all’11.2%, e registra un aumento sistematico di chi non studia né lavora. Dopo anni vissuti con istituti sottocapitalizzati e con in pancia miliardi di crediti deteriorati, ha un sistema bancario fragile, potenzialmente in grado di innescare un effetto “a spirale” che inghiottirebbe banche e governo, come spiega anche Bloomberg.
Lisbona non ha risanato il bilancio secondo i paramentri europei, ma per ora è stata graziata dall’Ue insieme alla Spagna: niente multe.
Intanto, il governo socialista guidato da Antonio Costa, è al lavoro con un piano varato a dicembre 2015, per smantellare le misure di austerità e ristrutturare il welfare sociale, nonostante la crescita rallentata. Per il premier, «il futuro non è lavorare di più e avere meno vacanze. Il futuro è investimenti, istruzione, scienza, innovazione e tecnologia».
Lisbona sorvegliata speciale
Entro il 15 ottobre Lisbona dovrà presentare «misure efficaci», pari allo 0,25% del Pil. Dovrà quindi impegnarsi a ridurre il deficit entro il 2016. Le raccomandazioni sono quelle snocciolate del Consiglio Europeo che, su proposta della Commissione, ha deciso di cancellare le multe contro Portogallo (e Spagna) per «deficit eccessivo» rispetto ai paletti europei (4,4% contro il 3% richiesto), come già evidenziato il 7 luglio scorso. Il 27 luglio, dopo lunghe discussioni e divisioni interne, la Commissione aveva infatti scelto di abbandonare il bastone del rigore e lasciare tempo al governo portoghese per rimediare, perché – come già notato a fine maggio da Pierre Moscovici, commissario agli affari economici – «non è il momento giusto, politicamente ed economicamente, per fare questo passo».
Euroscetticismo, «sfide sociali» e «sforzi prolungati negli ultimi sei-sette anni» – per usare le parole del vicepresidente Dombrovskis – avevano convinto i burocrati di Bruxelles a cambiare strategia. «L’approccio punitivo non è il migliore in un momento di dubbi dei cittadini nei confronti dell’Unione europea», aveva spiegato ancora Moscovici, secondo il quale arrestare la retorica dell’Ue dell’austerity e delle bacchettate «era la decisione migliore» perché una multa sarebbe stata «poco credibile e poco efficace».
L’Europa, già alle prese con la Brexit, i mercati nervosi e il crescente malcontento anti-Bruxelles, il 7 luglio aveva preferito rimandare qualsiasi decisione sui conti portoghesi, passando la palla all’Ecofin. In quel momento si erano ben distinte le posizioni in seno alla Commissione: da un lato gli intransigenti, guidati dal tedesco Guenther Oettinger, dall’altra i fautori di una linea morbida, in primis l’Italia e la Francia, interessate a non creare un precedente pericoloso che si potrebbe sempre ritorcere contro.
«Il Portogallo e la Spagna non hanno assolto agli obblighi di bilancio che essi stessi si erano imposti e credo che, se la Commissione vuole mantenere la propria credibilità sul rispetto delle regole di bilancio, allora dobbiamo decidere le sanzioni», aveva detto Oettinger alla “Bild”. E a presiedere l’Ecofin c’era proprio lo slovacco Petr Kazimir, considerato un “falco” pro-sanzioni, ovvero contrario all’Europa dei «due pesi e due misure».
A fine giugno le pressioni arrivavano da più fronti. Il Fondo monetario internazionale, per bocca della direttrice Christine Lagarde, aveva chiesto esplicitamente «chiarezza» e negoziati immediati per definire meglio il divorzio Londra-Bruxelles, per evitare di «alimentare l’incertezza». Sempre a ridosso della riunione Ue, mentre le Borse si dimostravano sempre più altalenanti, Moody’s aveva iniziato a tagliare l’outlook di Barclays, Hsbc, Lloyds, Banking Group, Santander Uk e Rbs.
In più, i primi di luglio la stampa aveva rilanciato le dichiarazioni (poi smentite) del ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, secondo il quale se il Portogallo non si fosse attenuto alle direttive europee, avrebbe dovuto accedere a un nuovo programma del fondo salva-Stati (Esm). In ogni caso, riguardo ad avvertimenti mai contraddetti e frecciate a Lisbona, Schaeuble non si era risparmiato già prima: «Il Portogallo farebbe meglio a non allarmare i mercati ancora di più, alimentando le voci sul fatto che vuole invertire il cammino preso. Sarebbe molto pericoloso», aveva detto a febbraio.
In questo contesto sopra illustrato, che fare? Sanzionare oppure lasciar perdere? La proposta arrivata sul tavolo dei commissari riguardava una multa minima, praticamente simbolica, tra lo 0,01% e lo 0,03%. Alla fine, però, l’incertezza strisciante, e la paura legata all’ascesa dei populismi del dopo Brexit, ha convinto l’Ue a non percorrere una strada troppo pericolosa. E pare che anche la Germania di Schaeuble si sia convinta.
Esame d’autunno tra debito e banche in difficoltà
Il 21 ottobre l’agenzia Dbrs ha in agenda la revisione del giudizio sul Portogallo. L’appuntamento è importante per due motivi. Primo: Dbrs è l’unica ad assegnare a Lisbona un punteggio pari a Bbb con prospettive di stabilità, cioè un giudizio ancora sopra il cosiddetto investment grade, ovvero il livello di investimento. Secondo: Fergus McCormick, che dell’agenzia canadese è responsabile, qualche giorno fa aveva innervosito i mercati e messo sotto pressione i titoli portoghesi, dichiarando che, nonostante l’outlook stabile, le pressioni su Lisbona stanno aumentando. A detta sua, il governo potrebbe non riuscire a fare approvare le misure necessarie richieste dall’Ue. Tutto ciò, rende de facto gli esperti di Dbrs «più timorosi sulle prospettive per la crescita che sembra allentare il passo».
Il punto cruciale è il seguente: se Lisbona dovesse perdere il giudizio positivo di Dbrs, così preoccupata dal programma anti-austerity di Costa, non sarebbe più idonea per il programma di stimoli della Banca centrale europea.
Il Portogallo, come abbiamo visto, è sotto la lente dell’Ue, ma anche dei mercati. Le banche sono il terzo anello debole del Paese iberico. La crisi potrebbe vivere il suo atto secondo se cedesse il sistema bancario, avvitato tra la crescita rallentata, i tassi di interesse al ribasso, la gestione dell’implosione della prima banca del Paese (la Caixa Geral de Depòsitos, che detiene quasi il 30% dei depositi portoghesi), e la trattativa per vendere Novo Banco.
A maggio il quotidiano spagnolo “El Pais” aveva scritto che, per sopravvivere, CGD aveva bisogno di un’iniezione di capitale da 4 miliardi di euro, pari al 2,5% del Pil. A giugno il Fondo Monetario internazionale aveva rilevato che il «sistema bancario portoghese continua a operare in un contesto impegnativo». Ad oggi, il governo portoghese è impantanato in una laboriosa trattativa con Bruxelles per stabilire i termini del piano di ricapitalizzazione statale, che potrebbe variare da 2 a 5 miliardi.
A tutto ciò si aggiunge la questione della cessione della good bank Novo Banco, nata dall’implosione di Banco Espirito Santo, che potrebbe – scrive il FT – «determinare il prossimo futuro del sistema bancario portoghese». A dicembre 2015, la Commissione europea aveva dato l’ok agli aiuti di Stato per NB, ovvero al prolungamento delle garanzie per un valore nominale di 3,5 miliardi. Insieme a Novo Banco, l’esecutivo Ue aveva acceso la luce verde per 3 miliardi di sostegno statale al Banco Internacional do Funchal (Banif), piccolo istituto con sede a Madeira.
Staremo a vedere. Nonostante siano già arrivate quattro offerte, l’affare Novo Banco non è ancora stato chiuso. La scadenza è comunque fissata per agosto 2017.
Oltre l’austerity c’è di più
Visti i conti, osservate le banche e le agenzie di rating, del Portogallo un altro potenziale terreno di instabilità è la politica. Croce e delizia del Paese – a seconda delle fonti – il premier socialista Antonio Costa ha ripristinato i giorni festivi soppressi, è pronto ad aumentare il reddito minimo da 505 a 600 euro entro il 2019, ha promesso di ribaltare il trend di tagli alle pensioni e ai servizi pubblici, è risalito al 50% della compagnia aerea Tap privatizzata dal precedente governo. Ha tutta l’intenzione di ridurre il deficit di bilancio (dal 4,4% al 2,2% nel 2017), senza colpi di forbice agli stipendi o alle pensioni. Come? L’aumento delle tasse al momento non è in discussione.
Nonostante i mercati, la paura delle sanzioni europee e gli impegni da rispettare entro ottobre, finora il mantra è stato “voltare pagina, no all’austerità” perché i miglioramenti economici del 2015 arrivati con il rigore «non sono reali».
Uscito sconfitto alle elezioni del 4 novembre 2015 dal primo ministro uscente Pedro Passos Coelho, Costa è riuscito comunque a formare un governo con il sostegno esterno di due partiti di sinistra: i post-trotskysti del Bloco de Esquerda (per la rinegoziazione del debito) e la coalizione verdi-comunisti (il Pcp è tra i più euroscettici).
A nemmeno un anno dall’inizio del suo lavoro, Costa ha ammesso al “Jornal de Noticias online” che sul piano pratico le cose potrebbero andare diversamente e che potrebbero essere preparate «delle misure da tenere in riserva e da usare solo se sarà necessario».
Al momento i fatti raccontano che a febbraio la finanziaria portoghese anti-rigore à la Costa ha passato l’esame della Commissione Ue. Rispetto alla prima bozza presentata a gennaio il governo socialista ha dovuto aggiungere qualche misura in più, per evitare la stroncatura europea. «Niente di politico» dietro la procedura, ha chiarito la Commissione. «Un dialogo costruttivo, senza dover rimandare indietro la bozza di bilancio e doverne chiedere una nuova, ha portato all’adozione di misure ulteriori del valore complessivo di 845 milioni di euro, che salvaguarderà la stabilità delle finanze pubbliche del Portogallo. La Commissione non guarda l’orientamento politico di un governo ma le regole», ha aggiunto.
Quanto sono euroscettici i portoghesi?
Appena ricevuta notizia di una possibile multa per il Portogallo a fine primavera, il premier Costa aveva messo in guardia l’esecutivo europeo: eventuali nuove sanzioni non avrebbero fatto altro che infervorare il sentimento euroscettico, visti «i risultati del referendum nel Regno Unito e l’impatto che ha avuto sull’Unione europea».
L’appartenenza all’Unione europea per il Portogallo è politicamente fuori discussione (nonostante nella coalizione di governo ci siano i comunisti euroscettici di Jeronimo da Sousa). Sono le condizioni economiche che probabilmente andrebbero rinegoziate. Il sentimento di sfiducia nell’Ue, secondo i dati pubblicati Eurobarometer Gallup riportati da Cambridge Scholars, è al 51% tra i portoghesi: un trend abbastanza comune ai membri storici dell’Europa unita. Ciò che si è trasformato in diffidenza è l’entusiasmo per il progetto comunitario, da sempre evidente in Portogallo, in Grecia e in Italia.
Il premier Costa non chiede assolutamente il divorzio da Bruxelles, anzi ha bollato la Brexit come una «stranezza britannica». Il cambio di passo è sulle condizioni economiche che l’Europa impone ai suoi membri, specialmente ai più esposti che sono diventati negli anni delle «cavie da laboratorio». Il messaggio lanciato da Costa e dal suo governo socialista che si oppone all’austerità di Bruxelles, da tempo ormai chiamata “riforme”, è fin troppo chiaro.
Del dibattito sulle riforme e sul debito pubblico, le cronache politiche portoghesi sono ancora piene, ma almeno l’austerity con Costa – come ha notato Ramires Serrano su “Open Democracy”- non è più egemone.
Il problema, però, è sempre lo stesso. Per i mercati e i principali interlocutori economici internazionali un governo socialista fa paura, perché rallenterebbe la crescita e allontanerebbe gli investimenti (i dati sono di Berenberg Bank – Bloomberg, che ha messo a confronto il Portogallo con la cugina iberica. Socialisti o meno, neanche i conti spagnoli sono in salute).