Tutta la montagna emiliana (dove in generale l’economia non batte chiodo) è, in questa stagione, un pullulare di sagre paesane. In ogni frazione parrocchie e pro-loco offrono una vasta militanza volontaria a feste di carattere decisamente tradizionale: polenta e salsiccia, gnocco fritto, borlenghi e tigelle, mercatino di robivecchi, ballo liscio. Feste peraltro molto partecipate dalla popolazione autoctona: anziani, contadini, operai, altra popolazione lavoratrice.
Volontari e fruitori sono morfologicamente identici a quelli che caratterizzavano le feste dell’Unità, che un tempo, nella stagione estiva, costituivano il paesaggio molecolare della convivialità locale in Emilia Romagna.
Nell’interscambio fra politica e tradizione la prima dimensione si è eclissata e resta in piedi il format essenziale. Stesse feste, stessa gente, stessa convivialità, ma nessun logo politico, Nessuna colorazione, ed è già tanto che in giro non si vedano maragli leghisti, ovvero maragli geneticamente modificati. Anche se è probabile (anzi certo, specie in questo lembo della montagna modenese che fu tendenzialmente ‘bianca’ pur essendo stata teatro delle leggendarie gesta di Armando, di mio padre, e sede della Repubblica di Montefiorino) che questa gente abbia votato Lega in massa.
Eppure visto così il ‘popolo’ sembra non solo alla mano, ma intrinsecamente buono e pacifico. Tutto quello che è accaduto è che questo popolo da un certo punto in avanti è stato abbandonato a sé stesso. Come un ‘residuo’, giudicato ormai sterile in termini di produzione di plusvalore politico. Il drammatico disancoramento del Pd dalle radici del proprio insediamento spontaneo. Un radicale spostamento dell’agenda tematica e valoriale nel segno della modernità individualistica e dei ceti cd emergenti con la rinuncia a mediarla con i residui della cultura spontanea aggregata ai corpi popolari locali. Feste de l’Unità vieppiù rarefatte e intente ad offrire improbabili menu di nouvelle cuisine in luogo di polenta e salsiccia.
La grande mediazione filuzzi&rock and roll perdurata sino agli ’80 si è schiantata di colpo. Non solo corposi aggregati demografici territoriali sono stati abbandonati alla deriva ma è stata intaccata in modo irreparabile la stessa mediazione col mondo maraglio. Cioè con quel segmento giovanile demografico d’estrazione popolare orientato a una vita trasgressiva, basata sul lusso e la depence terra-terra. Un mondo anarchico e balordo, libertino e libertario, comunque orientato a sinistra e sovente capace di creatività e sentimento. Contrappunto necessario della regolarità laboriosa e cosciente e ad essa dialetticamente legato. Anch’esso cioè un mondo ‘anomalo’ e ‘deviante’ ma sempre calato nel calco dell’ambiente socio-culturale specifico della zona rossa. Quel mondo che ancora adesso si può vedere se si fa un giro per Zocca, dove può capitare di imbattersi in strani individui che salgono in questo triste paese per pedinare l’illustre residente Vasco Rossi (vero trait de union fra il maraglismo emiliano autoctono e la poesia universale).
Anche questi maragli, spesso d’estrazione operaia, son diventati un residuo, sopraffatti da una nuova specie di balordi afflitta da plebeismo lombardo fascio.leghista. Una mutazione genetica ben visibile nel canagliume che a Milano Marittima si è affollato attorno al ministro dell’interno. Un uomo che lancia boiate sui social come sassi dal cavalcavia e che aizza un inconscio complessato e protervo. Risublimando all’insegna dell’aggressività plebea sentimenti di inferiorità psicologico culturale. Come che Rosa Bazzi e Olindo Romano potessero prendere il posto di Romeo e Giulietta. Maraglismo mutante di nuova generazione. Pornografia nazionale.
La sinistra non sarà capace di alcuna egemonia se non riprenderà contatto con quel ‘popolo buono’ e se non sarà capace di produrre in proprio quel tipo di maraglio poetico. Il maraglio, il saiano che pure vive in ognuno di noi allo stato brado. Che è inutile rimuovere. Come il vizio. Perché tutto il problema è educarlo assimilandone l’energia dionisiaca.