di Alfredo Morganti – 19 gennaio 2018
Il giochino del PD è sempre il medesimo: invitare a un’intesa LeU dopo averlo coperto di insulti in campagna elettorale (tipo partito di plastica che intossica i sondaggi). La risposta che quei dirigenti si attendono è sempre la stessa: mai con il PD, né prima né dopo né sempre. Che tradotto significherebbe: mai con nessuno, solo con noi stessi, nello stile del M5S. Su una risposta del genere si possono costruire intere autostrade propagandistiche: i soliti antiunitari, rancorosi, gufi, interessati a se stessi e non alla sorte del Paese. D’Alema, da parte sua, invece risponde (non a un dirigente del PD, ma ad Aldo Cazzullo ieri sul Corsera) che dopo le urne servirà un Governo del Presidente, ossia “una convergenza di partiti diversi attorno ad obiettivi molto limitati”. Noi, come forza costituzionale e storicamente radicata, continua D’Alema, siamo pronti a dare un contributo, ma aggiunge: “ponendo discriminanti di carattere programmatico per noi irrinunciabili”. Ossia, spiega: il lavoro, le tutele, i diritti, la lotta alle disuguaglianze. È il medesimo schema, mi pare, applicato con Zingaretti. Si tratta di punti di programma che non possono convivere con certo moderatismo, o terzismo, o centrismo, per non dire con la destra. Non è un’offerta ‘politicista’, schematica, tattica. È invece un discrimine netto di contenuti, di politiche, di scelte che fanno la differenza e producono, volenti o nolenti, una selezione delle forze in campo. E senza i quali viene a cadere ogni prospettiva concreta.
È chiaro che D’Alema gioca con il risultato elettorale, con l’eventualità che il PD muti leadership, politiche, indirizzi, insomma subisca, a seguito del voto, una sorta di terremoto interno. Auspica che si presenti l’occasione di una svolta, di uno spostamento a sinistra, e che LeU sia una delle leve di questa curvatura post-elettorale del corpaccione piddino (e non solo). Un mutamento di indirizzi che avvenga non in astratto (il potere per il potere) ma su contenuti precisi, “irrinunciabili” chiarisce D’Alema. Per questa ragione la sua proposta va letta all’interno dell’intervista, in connessione organica col complesso dei temi che vengono avanzati e a seguito dei punti programmatici enunciati. Le letture politiciste con cui si interpreta D’Alema non funzionano, questa è la prova. Non si può dire, ad esempio, che l’intervista è bella, ma la proposta fa schifo. Quella proposta viaggia sui contenuti espressi nell’intervista, non a latere di essa. Non è ‘politicismo’ fare una proposta incardinata su contenuti chiari, espressi e irrinunciabili. Lo è, politicismo, dire ‘mai’, e soprattutto risolvere la questione PD in un unico gesto di ripulsa, come vada vada. Io credo che sia legittimo interpretare la politica anche in termini semplicistici, restando sulla superficie, immaginando che sia una cosa simile al tifo. Ma, secondo me, è sbagliato. Non c’è nulla di più lontano dalla politica dello spirito calcistico, della logica dei supporters e di quella degli schieramenti da curva di partito. Questo Paese è antidalemiano (e antibersaniano, e antipolitico) proprio perché ha dimenticato questi fondamentali che nella Prima Repubblica erano (ahimé) chiarissimi, e oggi meno. Ed erano davvero un giovamento per tutti.