In politica, io sono un elettore e un militante, non un tifoso

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Nino Chillemi
Fonte: esseresinistra
Url fonte: https://esseresinistra.wordpress.com/2015/02/23/in-politica-io-sono-un-elettore-ed-un-militante-non-un-tifoso/

di Nino CHILLEMI 23 febbraio 2015

Domenica scorsa mi è capitato di notare nella pagina Facebook del PD una foto del segretario-premier accanto a Javier Zanetti, il quale mostrava il retro di una maglia dell’Inter col numero “1” e sopra il nome “Renzi”, e, dopo un marcato disappunto iniziale (sono molto interista e decisamente poco renziano), ho preso spunto da questa immagine per fare una piccola riflessione sul rapporto tra il tifo calcistico e la militanza politica.

A dire il vero, sport e politica sono realtà lontanissime che andrebbero vissute in maniera antitetica, l’una con la leggerezza tipica di una qualsiasi forma di svago, l’altra con l’attenzione che meriterebbe un’attività che condiziona fortemente la qualità della nostra vita di tutti i giorni.

Tuttavia, in un Paese strano come il nostro, può avvenire che il tifo sportivo diventi quasi una ragione di vita, e che la politica venga invece considerata una cosa astratta e lontana da seguire di sfuggita al telegiornale mentre si consuma la cena. E’ così che ci si avvicina alle dittature sudamericane.

Può inoltre accadere che si abbia ben presente la oggettiva differenza di importanza tra i due suddetti mondi, ma che l’approccio alla politica assomigli parecchio al tifo calcistico. E in effetti accade, e anche spesso.
E non solo all’elettore di destra che da vent’anni è un supporter incondizionato di Berlusconi, o al grillino più integralista che si abbevera solo alla fonte del Sacro Blog o di Tze Tze, ma anche al militante progressista, passato attraverso tutte le variegate esperienze del centrosinistra della seconda repubblica, che di solito si sente (senza alcun valido motivo) mediamente più consapevole degli altri, se non addirittura superiore: a quest’ultimo, dopo innumerevoli sconfitte elettorali, finisce con l’importare solo che il PD esca vincitore dalle urne, senza alcun interesse per il modo in cui viene successivamente utilizzato il patrimonio di voti accumulato, e a chi guida il partito alla vittoria vengono riservate gratitudine e venerazione.

Seguo il calcio e l’Inter da oltre trent’anni, e ho (non so ancora per quanto, ma presumibilmente non per molto) la tessera del PD (e di quello che era in precedenza) da ventidue esatti, un periodo sufficientemente lungo per analizzare la differenza di atteggiamento tra la parte di me che tifa e quella che milita.

Da appassionato di calcio mi piace il gioco offensivo e organizzato, vado matto per i calciatori intelligenti e con tecnica sopraffina ma essenziale, mentre apprezzo meno gli allenatori che pensano solo a chiudersi in difesa e che affidano la fase d’attacco quasi esclusivamente all’estro della punta abile in contropiede, o i giocatori che partono palla al piede a testa bassa e quelli fumosi che rendono difficili le cose semplici. Però, quando mi siedo davanti alla TV a vedere la partita della mia squadra, mi interessa una sola cosa: vincere. Non importa se l’accesso alla finale di Champions League arriva dopo la stoica resistenza a un assedio come quello del Camp Nou di Barcellona nel 2010, o se l’Atalanta la si batte anche grazie a un gol “ignorante” di un mediano che, invece di passare la palla, supera di forza un paio di avversari e batte il portiere con un tiro da fuori area: importa solo il risultato.

In politica funziona diversamente: da Mourinho non pretendevo che facesse rinascere a Milano l’Ajax del calcio totale, ma solo che portasse a casa vittorie, a Renzi invece chiedo anche di realizzare progetti compatibili col mio sistema di valori, quello, per intenderci, che mi ha portato a prendere la tessera e a militare ininterrottamente dal ’93 a oggi.

La gioia del 40,8% alle elezioni europee per me dura appena una notte, se l’indomani mi risveglio con patto del Nazareno, Italicum, riforme che sfregiano la Costituzione, Sblocca Italia, Jobs act, e via dicendo messi in fila e pronti ad essere serviti per colazione, pranzo e cena nei mesi a venire.

Vincere è importante anche in politica, perché è l’unico modo per tentare di realizzare i programmi elettorali, però se l’obiettivo del mio partito è mettere in atto ciò che la destra aveva (fortunatamente invano) proposto per vent’anni, preferisco perdere, e non perché io abbia qualcosa di personale contro Renzi, ma semplicemente perché chi vuole materializzare i sogni proibiti di Sacconi, Lupi e Formigoni ha un’idea di Paese diversa (se non opposta) rispetto alla mia, e non voglio che venga portata a compimento.

Probabilmente è un limite mio (e infatti sono consapevole di essere in minoranza), ma io posso apprezzare un leader e militare in un partito, non tifare per uno dei due o per entrambi guardando solo alla bandiera e mettendomi sotto i piedi i miei valori di riferimento.

Il tifo incondizionato è solo per la mia squadra, che resta mia in eterno, in qualunque condizione. Il mio partito, se cambia pelle, smette di essere mio
.

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