Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Poi dice il giornalismo: ma è proprio qui che casca l’asino.
Oggi ‘Repubblica’ titola così: “In Germania dosi extra. Va subito in tilt il sistema delle quote”. Noterete l’uso del termine “tilt”, che vuol dire “in blocco”. È una delle tante parole o locuzioni in uso dei titolisti, accanto ad altre come caos, imbarazzo, tempesta, rivolta, quasi sempre riferite a cose politiche. Andrebbe studiata meglio l’evoluzione avuta dai titoli in questi decenni, appunto, sempre più orientati all’allarmismo oppure a dare un’immagine di caos o di crisi, invece che a informare. Tanto più se si tratta di descrivere la tanta vituperata res publica e i suoi protagonisti.
Ho notato, anzi, come spesso i titoli divengano autonomi rispetto al contenuto dei pezzi, nell’idea che tanto non si vada oltre la lettura delle titolazioni e questo basti a impressionare nella maniera voluta il lettore. Dietro il sensazionalismo spicciolo ci sono almeno due ragioni: una strutturale (creare pathos o drama è un modo per avvicinare i lettori – sempre di meno – alle notizie), l’altra contingente (ci sono 209 miliardi in palio, bisogna menare al governo così si arriva al governissimo spartitorio, altro che task force).
Ma veniamo all’articolo cui accennavo prima. Il titolo serve a sobillare l’immaginazione del lettore, a mostrare come sia tutta una caciara, carezzando il suo animo complottista, populista e antieuropiesta (e anche a dare una immagine del governo come di una combriccola di ingenui incapaci). Tipico di ‘Repubblica’ (ma non solo). Le cose, però, cambiano se si legge per intero l’articolo, al cui interno si riportano le parole ufficiali dell’esecutivo, per il quale la Germania avrebbe, in realtà, già iniziato a ricevere le quote successive al Vax Day (fissate per tutti i Paesi a 9.750), ossia la prima fornitura di vaccini, che in Italia arriverà invece a partire da oggi, 28 dicembre, e che consisterà in 470.000 dosi settimanali. “Insomma, il contratto è unico, e le quote sono state stabilite, tutti riceveranno in proporzione alla popolazione e se qualcuno ha già avuto consegnate più dosi ne riceverà meno in seguito”. Il virgolettato è dell’autore dell’articolo, che dopo aver tergiversato con i dubbi, insinuandoli a iosa, mostra di avere già la risposta in tasca a tutti i supposti problemi (caos!) che il titolo, come abbiamo visto, intanto aveva scandito utilizzando la parola “tilt”. Ma che “tilt” invece non era.
La domanda è dunque: di questa stampa che si contraddice stupidamente tra titolazione e contenuto dell’articolo, possiamo fidarci? Di questi giornalisti che gettano alle ortiche la reputazione professionale in nome dell’azienda in cui lavoravano ci possiamo fidare? La fiducia è una cosa seria, si diceva una volta persino nei Caroselli, non è soltanto una necessità dell’economia. E, dunque, che ne è dell’opinione pubblica (di cui la stampa è parte e di cui la democrazia si fregia) se cessa la nostra fiducia di cittadini verso di essa, se si mostra palesemente inadeguata al momento difficile che stiamo vivendo?
Quando si discute di crisi della democrazia, il problema non è solo la rappresentanza, la connessione sentimentale tra governanti e governati, oppure il presunto distacco delle istituzioni dal popolo, ma il modo in cui veniamo “narrati” e in cui vengono “narrate” le vicende che ci riguardano. Un modo che consiste nell’aver scelto la narrazione di “storie” più o meno “vendibili”, piuttosto che l’informazione vera e propria. L’impresa invece del servizio. Gli interessi di parte (dei potentati, delle lobby, degli editori impuri) invece che dei cittadini, della società nel suo complesso e della democrazia. Qui casca l’asino, ben più che altrove. Siamo messi peggio, in realtà, di quanto vi aspettiate.