Fonte: huffingtonpost
di Gian Franco Ferraris – 5 gennaio 2017
In questi giorni tra entusiasmi, velleità e molte difficoltà, la sinistra si è avviata all’appuntamento delle elezioni del 4 marzo. L’assemblea di Liberi e Uguali del 7 gennaio dovrebbe chiarire i principali punti del programma e i criteri per formare le liste.
Riporto l’articolo di ieri di Alessandro De Angelis, di solito ben informato, che descrive le difficoltà di Pietro Grasso nello scaldare il cuore del popolo di sinistra; sarà vero, tuttavia Bersani e C. hanno rifiutato la possibilità di fare una lista di sinistra e hanno ripetutamente ribadito la volontà di fare una lista Civica e di sinistra, sottolineando l’aspetto civico della nuova formazione. Ora, se fosse vero quello che scrive De Angelis che Grasso chiede di inserire una quota di “nomi” della mitica società civile, avrebbe tutte le ragioni del mondo, anzi queste persone dovrebbero essere non dieci ma almeno cento.
Ricordo che l’accusa da più parti rivolta alla sinistra è quella di fare una operazione di ceto politico intesa ad ottenere la conservazione del posto in parlamento. Non si tratta qui di vedere se questa accusa sia vera o falsa, ma dobbiamo riconoscere che questa accusa ha successo e di fatto impedisce di trovare quella connessione sentimentale con il popolo italiano indispensabile per essere votati non solo dai tifosi, ma da una parte importante dell’opinione pubblica.
La proposta che ho già fatto in un altro intervento è semplice anche se necessita di buon senso e duttilità:
Distinguere tra candidati di partito nel proporzionale e di rappresentanza nel maggioritario
Di questi tempi circolano molti sondaggi ma sono solo indicativi perchè nei collegi uninominali più dei partiti conterà la conoscenza dei candidati. Di certo il Pd è in caduta libera e prenderà non più del 23%; se “Liberi e Uguali” riesce di mettere in campo nel maggioritario candidati rappresentativi e popolari può invertire la rotta e ottenere un risultato oggi neanche immaginabile.
Di certo Bersani, Errani a Ravenna, D’Alema in Puglia, Fontanelli a Pisa, Civati, lo stesso Grasso e altri saranno competitivi nei collegi ma nella maggior parte dei collegi si rischia di non essere abbastanza forti per affrontare questa difficile campagna elettorale.
Occorre innanzi tutto riconoscere che per una rappresentanza che raccolga un sentimento comune, si deve in primo luogo scartare l’idea che i partiti coincidano con la rappresentanza, come fosse un possesso del partito e il partito si riassumesse nella rappresentanza (Aldo Tortorella).
Quindi si tratta di candidare soprattutto nei collegi uninominali persone indipendenti, in ossequio al principio costituzionale dell’autonomia dei rappresentanti. Un mix di candidati di prestigio, da tutti riconosciuti come rappresentanti dei valori della sinistra e/o paladini delle istituzioni democratiche, provenienti dal mondo del lavoro, della cultura, dalla società, costituzionalisti, economisti keynesiani, personalità indipendenti che non siano emanazioni dei partiti insieme a esponenti più giovani del civismo, di coloro che lavorano quotidianamente nell’associazionismo, nel mondo della scuola, in fabbrica.
In una campagna elettorale invernale, con i mass media che ignoreranno la sinistra e con gli slogan della destra che terranno banco come “no agli immigrati” o “meno tasse per tutti”, queste candidature indipendenti sarebbero la testimonianza più efficace ed esemplare per riconoscere la frattura profonda nella società di oggi tra ceto politico e cittadini. Un baluardo per difendere e rispettare le istituzioni democratiche ridotte a una sottile lastra di ghiaccio.
Per chiarezza, ritengo che i capi di Liberi e Uguali dovrebbero fare la proposta chiara che a questa lista aderisca Anna Falcone, che dovrebbe avere un ruolo di primo piano perchè sarebbe una candidatura esemplare ed efficace per segnare la discontinuità rispetto a un linguaggio politico stantio e a modi di fare politica estranei alla maggior parte della opinione pubblica.
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Ecco l’articolo di Alessandro De Angelis – 5 gennaio 2018
Lento, al punto da evocare la famosa imitazione, fatta da Crozza, di un altro giudice palermitano che tentò l’avventura politica: Antonio Ingroia. Attorno alla flemma, diciamo così, siculo-istituzionale di Pietro Grasso aleggia già un certo malumore, tra coloro che lo hanno aspettato per mesi, scelto, e poi investito del ruolo di salvatore di ciò che c’è a sinistra del Pd: popolo, tradizioni, bandiere. O meglio: nominato “capo” senza neanche uno straccio di investitura democratica, ennesimo capitolo della sindrome da “figli di un Dio minore” che attanaglia la sinistra italiana, teorica del primato della politica e dei partiti ma sempre alla ricerca di un Papa straniero che la legittimi.
Ebbene, un mese dopo la grande investitura, Grasso non è pervenuto “politicamente”, ma si è messo, eccome, a fare il capo sulle liste. Ma questo lo vedremo tra un po’. Tornando alla flemma, la preoccupazione è crescente: “Menomale – dice un alto in grado di Liberi e Uguali – che la crisi del Pd è più forte delle nostre debolezze, perché è evidente che per ora il candidato non funziona”. Non funziona, al punto che serpeggia il dubbio amletico (e drammatico): “È solo prudenza istituzionale o è inadeguato al ruolo? Sembra un altro Pisapia”. Questa la fotografia: poche interviste (a proposito una dovrebbe uscire domani) e, come si dice in gergo, “senza titolo”, stile paludato proprio di chi è abituato alla forza del ruolo – si chiami Antimafia o Senato – più che alla fatica (e all’umiltà) della ricerca del consenso, anzi di chi è ingessato nel ruolo, nelle sue grisaglie, nella deferenza del “signor presidente”, nelle porte che si aprono senza la fatica di toccare le maniglie, nel rispetto come atto dovuto e non conquista. E soprattutto nessun messaggio politico, emotivo, in grado di stabilire una connessione sentimentale con quel famoso popolo che è “andato nel bosco” e ora rischia di perdercisi, per non parlare di quella sinistra scapigliata, alternativa, democratica e caciarona dei teatri officine, dei precari arrabbiati, dell’equosolidale.
Nei giorni scorsi glielo hanno spiegato un po’ tutti che così non va, ai massimi livelli, da D’Alema a Bersani a Speranza: “Devi parlare dei temi che interessano alla nostra gente”, “occorre un messaggio”, “occorre passione, emozione, duelli”. Insomma, politica. Gente che sente il momento come una battaglia per la sopravvivenza, non una cerimonia tra i velluti di palazzo Madama. Roberto Speranza e Arturo Scotto, tra Natale e Capodanno, hanno iniziato la campagna elettorale nei quartieri spagnoli di Napoli, arringando una piccola folla di sottoproletari da sopra un cassonetto. Massimo D’Alema il 27 dicembre era nelle parrocchie del Salento profondo. Il capo, invece, lento, al punto da apparire fermo, morbidamente accomodato nell’ovatta. Per correre ai ripari Roberto Speranza ha chiesto a Piero Martino, uno che sa cosa sia una campagna elettorale da quando portava i calzoni corti di affiancare Grasso nella comunicazione e spiegargli un po’ come funziona. I risultati: da vedere. Pare che abbia lavorato un giorno intero per produrre un non immortale servizio al Tg1 di mercoledì sera dove Grasso sembrava una specie di Fidel Castro senza Cuba.
Tutti, in queste conversazioni, hanno ricavato la sensazione che l’ex presidente del Senato è graniticamente ancorato alle sue convinzioni. E sulle liste si registra già una certa tensione. Perché Grasso vorrebbe inserire una quota di “nomi”, la mitica società civile, che evidentemente rischia di togliere spazio agli uscenti. E va pure “garantita” in posti sicuri. Una decina che, facendo due conti, non è poco, per un gruppo che sarà drasticamente ridimensionato. Al momento l’intera pattuglia parlamentare è di 85, tra deputati e senatori: 60 di Mdp, 21 di Sinistra Italiana, 4 di Civati. Si calcola che, con un risultato elettorale tra il 7 e l’8 per cento, gli eletti saranno una quarantina. Dieci parlamentari equivale al 25 per cento degli eletti.
Per questo al tavolo delle liste è stato spiegato al presidente del Senato che più di 6 è difficile concederli. E tra questi va conteggiata la presidente della Camera Laura Boldrini che, a sua volta, si è presentata con una lista di richieste già cestinata. Lei aveva chiesto cinque donne, classiche figurine dell’album della compassione che tanto piace a certa sinistra, da mostrare prima del voto: la bracciante sfruttata, la vittima di soprusi e così via. Il nome certo in quota Grasso è Rossella Muroni, ex presidente di Lega Ambiente diventata coordinatrice della campagna di Liberi e Uguali. Donna forte del presidente del Senato, aprirà domenica l’assemblea di Liberi e Uguali che si terrà all’Ergife, per illustrare i “criteri” delle liste, come accadeva con i potenti responsabili organizzazione di una volta. La scaletta dice tutto. Al momento sono previsti gli interventi di Grasso e della Boldrini, non dei segretari dei partiti fondatori (Speranza, Fratoianni, Civati). Tra i “criteri” c’è la territorialità delle candidature, da rispettare il più possibile, almeno così dicono. Bersani ed Errani correranno in Emilia, D’Alema in Puglia. Speranza si candiderà a Potenza nell’uninominale e in Toscana o Lazio nel proporzionale. Le eccezioni sono già parecchie. Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa che l’ex presidente del Senato vorrebbe in lista, sarà candidato lontano dalla insidiosa Sicilia. Grasso, che la volta scorsa, per opportunità, non si candidò a Palermo dove aveva svolto il ruolo di magistrato, certamente sarà candidato a Roma, al proporzionale. Palermo, anche cinque anni dopo, è in forse. Così usa la mitica società civile: lentamente, senza rischi, senza sgualcire la grisaglia.
1 commento
e basta giudicare, prima vediamo i fatti, poi giudichiamo, non il carattere di un personaggio,
ma, quello che ha fatto, altrimenti è gossip, non è vero ALESSANDRO DE ANGELIS?