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di Gian Franco Ferraris – 25 novembre 2018
Potete ascoltare nel video tutti gli interventi degli autoconvocati all’assemblea di Liberi e Uguali del 24 novembre a Roma. Purtroppo in questi giorni leggo commenti accaniti da parte di esponenti della sinistra storica. Se avrete la pazienza di ascoltare gli interventi, vedrete che la maggior parte degli intervenuti pongono domande ragionevoli. Inoltre se a sinistra ci sono 11 sigle la colpa non può essere dei militanti o degli elettori ma soprattutto della classe dirigente che di fatto preferisce chiudersi in piccole fortezze con pochi fedeli.
Io penso che Liberi e Uguali sia una delle poche possibilità di un’azione politica che voglia essere qualcosa di più e di meglio che di impadronirsi del potere per soddisfare interessi personali o di gruppo, quello di interpretare i nuovi bisogni e i nuovi diritti, delle persone che la nostra società in rapida trasformazione, tende a trascurare.
Io penso infine che più di un partito di sinistra occorre costruire un partito pensante dove le persone possano discutere senza barriere e approfondire i tanti problemi per addivvenire a un progetto condiviso che unisca il paese in seria difficoltà – l’esatto contrario di quanto stanno facendo Salvini e Di Maio (simili a Renzi quando governava) e in nota (1) ho trascritto una riflessione di Norberto Bobbio.
Ma comunque ben vengano le donne e gli uomini di buona volontà – seppur autoconvocati. Il cammino, non bisogna illudersi è ancora lungo – lunghissimo. Ma l’unico modo di arrivare è quello di mettersi coraggiosamente per strada, e di non lasciarsi frenare dagli ostacoli frapposti dagli interessi costituiti.
Ecco le conclusioni di Pietro Grasso – 24 novembre 2018
Intervento conclusivo dell’Assembela dei Comitati Territoriali di Liberi e Uguali
Lasciatemi iniziare con ironia: per essere morti, vi vedo tutti in salute!
Negli ultimi giorni siamo stati al centro dell’attenzione, sia dell’informazione che della satira, come mai prima d’ora. Mi viene da dire: se lo stesso spazio fosse stato dedicato alle battaglie che ogni giorno conduciamo nelle Commissioni e nelle Aule del Parlamento contro i provvedimenti di questo Governo…forse si smetterebbe di dire che non c’è opposizione!
Siamo stati dati per morti, scissi, liquefatti, ci hanno definito uno dei tanti coriandoli della sinistra, un progetto fallito, un autobus da cui scendere velocemente. Personalmente, sono offese che non mi hanno particolarmente colpito: sono abituato, da qualche decennio, a scherzare sulla morte. Lo facevo con vecchi amici e colleghi, più di venti anni fa, per sciogliere la tensione ed esorcizzare momenti drammatici. Quelle di questi giorni sono solo il “codardo oltraggio” di chi in fondo spera che la sinistra sparisca davvero. E sono tanti, lo sappiamo. Io sono qui, Palermo è città di mare e da ragazzo mi hanno insegnato che il comandante è sempre l’ultimo ad abbandonare la nave quando sembra che stia per affondare.
Voglio innanzitutto ringraziarvi: per aver organizzato questa Assemblea; per aver creato più di 50 coordinamenti territoriali di Liberi e Uguali; per aver dato vita a un Coordinamento nazionale dei Comitati; per aver continuato a credere in quel progetto anche quando era chiaro che le difficoltà, i calcoli, i tatticismi, le ambiguità, i muri di gomma, l’immobilismo e l’eutanasia passiva stavano prendendo il sopravvento rispetto agli impegni, alle promesse, ai patti.
Se non ci foste stati voi, col vostro entusiasmo, la vostra determinazione, forse oggi questa storia sarebbe davvero già finita.
Voglio dirlo in premessa: voi rappresentate un pezzo importante di quella comunità che ha eletto 18 uomini e donne in Parlamento. Siete tra coloro che hanno dedicato risorse, tempo ed energie alla campagna elettorale, avete attaccato i manifesti sotto la neve, percorso migliaia di chilometri e raccolto, voto a voto, quel milione e centomila voti che ci ha permesso di mantenere alta la bandiera di sinistra alla Camera e al Senato. Noi eletti abbiamo l’obbligo di rappresentare questa comunità: per questo credo che essere qui, oggi, sia un dovere. E mi dispiace constatare che altri parlamentari eletti nelle nostre liste non la pensino allo stesso modo: anche coloro che hanno deciso di percorrere altre strade avrebbero fatto bene a spiegarlo qui.
Dobbiamo essere sinceri tra di noi. E’ un momento difficile. La sinistra fatica a costruire un’alternativa al governo Lega-5 Stelle. Perché la maggioranza riesce a coprire tutte le opzioni possibili su ogni tema, alzando polveroni e finti scontri, creando scientificamente confusione per nascondere la sostanza delle scelte ignobili che prendono: dai condoni edilizi alla pace fiscale, dalle norme sui fanghi alla stretta sui diritti.
Ciascuno di noi avverte un cambiamento nel Paese. Ciò che prima era taciuto – per pudore o vergogna – ora viene incoraggiato, sbandierato in ogni occasione, quasi con orgoglio. E’ il frutto di una campagna violenta e reazionaria a reti unificate, ogni giorno, da mesi. Dal “me ne frego” agli attacchi alla stampa.
Ne siamo tutti coscienti: in questo momento, se guardiamo fuori da questo teatro, siamo pochi, troppo pochi. Popolo, onestà, dignità. Per dirla con Brecht: “Le nostre parole d’ordine sono confuse. Una parte delle nostre parole le ha stravolte il nemico, fino a renderle irriconoscibili”.
Noi siamo quelli che credono nella centralità dell’istruzione, della formazione, degli investimenti su scuola, università e ricerca. Ne abbiamo fatto una bandiera in campagna elettorale: istruzione gratuita, dalla culla alla laurea. Ci conforta sapere che in questi giorni in molte scuole e università si sta alzando una protesta contro il Governo. Noi stiamo dalla loro parte.
Noi siamo quelli che credono improrogabile un cambio radicale del paradigma economico. Il cambiamento climatico è una verità evidente, solo lo sviluppo economico sostenibile può tenere assieme la salvaguardia dell’ambiente e l’esigenza di creare nuova ricchezza e nuovi posti di lavoro.
Noi siamo quelli che si indignano per ciascuna esistenza strappata alla vita sul posto di lavoro: centinaia di persone ogni anno, un contatore impazzito che ci ricorda un dramma al quale non ci vogliamo abituare.
Noi siamo quelli che ritengono l’accoglienza e l’integrazione un dovere morale. Hanno smantellato modelli come quello di Riace; hanno messo alla gogna Mimmo Lucano, che per ammissione degli stessi investigatori non ha rubato nemmeno un euro mentre regalava una speranza e un futuro a decine di migranti e non solo, anche al suo piccolo borgo, prima destinato allo spopolamento. Abbiamo visto l’umanità di chi come Salvini sgombera, senza preoccuparsi del loro destino, uomini, donne e bambini accolti con generosità dal Baobab. Non è così che si affrontano le emergenze, così si aggravano: è esattamente il cinico obiettivo di chi ha fondato il suo successo sulla paura.
Noi siamo quelli che si riconoscono, e hanno partecipato, alla piattaforma sociale di Mediterranea, perché “l’indifferenza è il peso morto della storia”, la stessa indifferenza che Liliana Segre ha voluto come parola monito del memoriale al Binario 21.
Noi siamo quelli che hanno messo nel loro simbolo l’articolo 3 della Costituzione, perché l’obiettivo è ridurre le diseguaglianze tra chi è ricco e chi è povero, tra chi vive in centro e chi in periferia, tra chi vive al nord e chi vive al sud; tra uomini e donne, etero e gay; tra le generazioni; tra chi è italiano e chi sogna di diventarlo; tra chi ha diritti e chi non li vede ancora riconosciuti.
Noi siamo quelli che considerano importante che la giustizia sia davvero uguale per tutti, tra quelli che vorrebbero superare leggi sbagliate tipo la Bossi-Fini, che ritengono che un processo debba avere una ragionevole durata, ma non consentire di guadagnare l’impunità attraverso la prescrizione.
Noi siamo quelli che sanno come contrastare le mafie, non con leggi propaganda o con dirette sui social. Non basta certo fare il bagno in piscine confiscate ai mafiosi.
Noi siamo quelli per cui i diritti universali devono essere tali, a partire dal diritto alla salute: non è accettabile che ogni giorno ci siano persone che rinunciano alle cure perché non se le possono permettere.
Noi siamo quelli che vanno alla Marcia della Pace, perché sappiamo che i conflitti in ogni parte del mondo ci riguardano direttamente. Perché sappiamo che la campana suona sempre anche per noi.
Noi siamo quelli che con spregio vengono definiti “smaniosi di altruismo”, come Silvia, la ragazza rapita in Kenya. Abbiamo letto commenti scandalosi, ma è il momento di smettere di dare spazio e visibilità all’odio, al rancore, all’ignoranza, a chi vomita veleno su una giovane ragazza che ha scelto di dedicare un pezzo della sua vita agli altri. Ci auguriamo con tutto il cuore che torni alla sua famiglia e che continui a migliorare il mondo un sorriso alla volta.
Noi siamo quelli che dopo andranno alla manifestazione di “Non una di meno”, perché consideriamo drammatico quanto avviene ogni giorno nel nostro Paese contro le donne.
Noi, in poche parole, vogliamo che tutti siano Liberi nelle scelte e Uguali nelle opportunità.
Quella di oggi è l’ultima chiamata. Ho parlato con molte persone negli incontri degli ultimi mesi. La frase ricorrente è stata: “se non riusciamo ad andare avanti insieme, dico basta con la politica.”
Le ragioni che un anno fa ci hanno spinto a creare Liberi e Uguali sono oggi ancora più urgenti.
Abbiamo fatto molti errori: l’ho già detto il 26 maggio ma ci tengo a ripeterlo. Errori nelle liste, nella comunicazione, nel messaggio di continuità col passato. Dobbiamo esserne tutti pienamente consapevoli per non ripeterli in futuro, ma se siamo qui è perché crediamo che questa esperienza debba proseguire, crescere, migliorare.
E’ stato un bel dibattito stamattina: franco, acceso, lasciatemelo dire, salutare. Da oggi, vi chiedo, non guardiamo più alle colpe del passato. La gravità del momento è tale che l’unica domanda da fare non è “da dove vieni” ma “dove vuoi andare”. Sono convinto che condividiamo la cosa più importante: la necessità di un’azione unitaria per offrire al Paese una vera alternativa. Costruire un soggetto autonomo è la premessa per poter dialogare con altri soggetti ed altre forze, in vista dei prossimi elezioni amministrative, regionali ed europee.
Sui temi di politica europea, ineludibili, importanti ma utilizzati al nostro interno in modo strumentale, provo a dire la mia. Nei rapporti tra Italia e Commissione europea la nostra posizione deve essere equidistante sia da un governo che cerca lo scontro per trarne ipotetici vantaggi elettorali sia da chi ha sacrificato, e continua a farlo, al totem della stabilità monetaria ogni ipotesi di crescita economica, provocando l’impoverimento dei più deboli e dei lavoratori, favorendo la crescita dei populismi. La cosa da fare, invece, sarebbe aprire un dibattito serio e profondo su come si riforma l’eurozona, su come attualizzare i trattati, e come tornare a guardare l’Europa un’opportunità.
La stessa profondità di dibattito servirà all’interno delle famiglie politiche, e parlo del mondo della sinistra, che continua a dividersi tra radicalità e pragmatismo esasperato, che ha portato il PSE a scelte politiche che non hanno aiutato i ceti più deboli e che, mi pare, continui a perseguire. Sono consapevole che anche lì c’è un dibattito in corso, un esempio per tutti: Corbyn appartiene a quella famiglia. Così come non mi sfugge l’importanza dell’accordo che in Spagna è stato fatto tra il socialista Sanchez e Podemos.
Ma mi è altrettanto chiaro che, in attesa che dalle parti del Pd si produca una vera novità, un cambio di paradigma, il nostro obiettivo è fare la parte di Podemos. Il nostro partito di sinistra in Europa deve ambire ad essere la “cerniera” che aiuta la riflessione comune e la nascita di una sinistra europea con una visione solidale nuova. La stessa cosa vale per l’Italia.
Noi qui, oggi, sappiamo di essere dal lato sbagliato della cronaca, in questo inverno dei diritti e della partecipazione, ma sappiamo anche di essere da quello giusto della storia. Almeno della nostra. “Noi pochi. Noi felici pochi. Noi banda di fratelli” e sorelle.
Quindi: che fare?
Andare avanti, non per costruire un quarto, quinto o sesto partitino di sinistra. Nonostante in molti abbiano diffuso ad arte questa storiella nel vano tentativo di demoralizzarci. Non è questo il mio – e il nostro – obiettivo. Al contrario. Vogliamo andare avanti, con lo spirito con cui ci ritrovammo insieme il 3 dicembre dell’anno scorso, e realizzare quello che non siamo riusciti a fare fino ad oggi: mettere insieme sensibilità diverse, purché condividano l’idea di un Paese diverso da quello che stiamo vivendo. Siamo nati per unire, e questo resta il mio principale obiettivo.
Come? Avendo vissuto le difficoltà, di merito e strumentali, che hanno impedito quel percorso in due fasi che scegliemmo insieme il 26 maggio scorso, intanto ho deciso di dare a questa comunità uno strumento semplice per aderire, partecipare, discutere. E’ online da ora. Si chiama unpartitodisinistra.it
Per correttezza la piattaforma non è sul sito di Liberi e Uguali, perché non possiamo condannare questa comunità a un lungo contenzioso sul simbolo. Sappiamo che c’è già chi ha deciso di far nascere una nuova forza: non possiamo che prendere atto delle decisioni assunte.
Quello che non siamo riusciti a fare finora facciamolo adesso.
Impegniamoci a far aderire tutti coloro che si sono riconosciuti in LeU e coloro che ancora sono smarriti, alla ricerca di rappresentanza.
Impegniamoci a far iscrivere chi pur di cambiare tutto ha finito per votare chi non cambierà nulla, se non in peggio.
Impegniamoci a recuperare chi in assoluta buona fede ha creduto nell’onestà e nella novità di un Movimento che, dal giorno stesso in cui è andato a Palazzo Chigi, ha iniziato a contraddire i suoi principi.
Impegniamoci a convincere che non sarà la Lega, con le sue leggi contro le donne e i minori e a favore delle armi, a rendere il nostro un Paese migliore.
Iniziamo con le adesioni e con la nascita di un organo provvisorio fondativo che coinvolga la nostra base, a partire dai comitati territoriali che già esistono e che nasceranno, dai parlamentari e dai componenti del Comitato Promotore Nazionale che vorranno proseguire. Vorrei che l’obiettivo fosse: gennaio per l’insediamento dell’assemblea e Congresso prima delle elezioni europee. L’assemblea fondativa dovrà finalmente proporci statuto, regolamenti, tempistica e gestire la fase transitoria. Vorrei che per tutti fosse chiaro: questa è davvero l’ultima chiamata, almeno io la vivo così, e sarebbe opportuno non fallire. Conto sull’impegno di tutti.
Noi continuiamo l’esperienza di Liberi e Uguali, è evidente. Se sarà possibile continuando a chiamarci nello stesso modo, altrimenti sceglieremo insieme il nuovo nome.
Siamo una forza piccola, per questo credo che dovremo concentrarci su alcune battaglie nelle prossime settimane. Battaglie che ci rendano riconoscibili e che siano concrete. Battaglie che definiscano chiaramente la nostra identità e la nostra prospettiva politica.
Vorrei che questa comunità ripartisse dai valori che hanno armato di speranza Mediterranea per non lasciare il nostro mare senza testimoni e per essere presenti lì dove c’è bisogno.
Vorrei proponessimo una battaglia politica, che diventi il nostro mantra, il nostro impegno quotidiano. Penso a chi, sotto il simbolo di Liberi e Uguali, lotta per ridurre l’orario di lavoro: è una cosa che fa bene all’economia e anche alle persone, perché è vero che di lavoro si vive ma non si può vivere solo per lavorare. La dignità delle persone non è in vendita: sono fiero dei nostri consiglieri regionali in Piemonte che hanno ottenuto il divieto del lavoro a cottimo, lo schiavismo del XXI secolo.
Abbiamo dalla nostra parte alcune qualità che non derivano dai sondaggi né dai social network: l’impegno e la credibilità. Mettiamocela tutta, otterremo dei risultati. Uno alla volta.
Un’ultima nota. L’altra barzelletta che già circola e che circolerà nelle prossime settimane è quella del “Partito di Grasso”. Chi la diffonde offende soprattutto la sua intelligenza, prima che la mia.
L’ho detto molte volte quando sono venuto da voi alle assemblee territoriali ma lo ripeto in modo che sia chiaro a tutti. Soprattutto a chi oggi non c’è.
Non c’è, non ci sarà, alcun “partito di Grasso”. Non è nato il 26 maggio, non nascerà oggi, nè mai: questo egocentrismo non fa per me, alla mia età sarebbe non solo ridicolo, ma addirittura patetico. Non mi ha mai sfiorato questa idea, ogni forzatura fatta in questi mesi ha avuto il solo scopo di non disperdere questa comunità e di difenderla. Spero di avervi dimostrato la mia coerenza personale, prima ancora che politica.
Un anno fa mi è stato chiesto di assumere questo ruolo nel momento peggiore per la sinistra in Italia, e l’ho accettato con la consapevolezza di affrontare il passaggio più stretto della nostra storia, le elezioni più difficili, con una lista appena nata e poco conosciuta.
In tanti mi dicevano “chi te lo fa fare, fatti i fatti tuoi, la sinistra va a sbattere alle elezioni”. Non sono un consumato politico ma, ve lo assicuro, avevo chiaro anche io quanto fosse dura la sfida. A chi mi faceva tali osservazioni rispondevo che proprio perché ho avuto molto dalla vita, realizzando il sogno di combattere il più grande male della mia terra, la mafia, ero libero. Ero libero di mettermi al servizio dei più giovani, potevo rischiare qualche sberleffo, anche un insuccesso personale se questo avesse consentito la nascita di qualcosa di buono. Senza coraggio, il coraggio che serve quando la notte è più buia, nessuna sfida può essere vinta.
Per me il punto non era garantire qualche posto in Parlamento: ho assunto questa decisione con la convinzione che fosse il primo passo per unire finalmente le forze. Questo era l’impegno che abbiamo sottoscritto tutti e ripetuto prima e dopo la campagna elettorale.
Come ho già detto il 26 maggio scorso, quando ho tolto il mio nome dal simbolo, accompagnerò il percorso di questa comunità, con la certezza che, terminato il Congresso, non sarò io a guidarla. Ho la speranza che a farlo non sia il più giovane di una vecchia generazione ma il primo di una nuova classe dirigente – o la prima, o perchè no un ticket uomo/donna.
Una dirigenza, per questioni anagrafiche, più giovane di me. Per questioni politiche, meno compromessa col passato di altri, perché in questo momento le biografie contano, anche oltre i meriti e le responsabilità.Servono ragazze e ragazzi che sappiano cos’è la “singularity”, che possano studiare, comprendere e prevedere cosa succederà con le blockchain, i bitcoin, le criptovalute, l’intelligenza artificiale, la robotica, per meglio affrontare le grandi sfide del futuro dell’umanità.
Forse in questa sala ce ne è qualcuno. O qualcuna. Abbiate coraggio, prendete per mano questa comunità che ha voglia di essere protagonista. Un anno fa in questi stessi giorni stavo riflettendo sull’intraprendere o meno questo cammino con voi. Oggi mi chiedo: “Ma se io avessi previsto tutto questo, dati cause e pretesto, le attuali conclusioni…Forse farei lo stesso”. Per dirla con “L’avvelenata” di Guccini.
Perché ci ho creduto, in questo progetto. E ci credo ancora. Oggi avete dimostrato che non ho sbagliato. Adesso tocca a voi. Siete qui – parlamentari, militanti, cittadine e cittadini – perché ci credete quanto me.
Facciamolo. Con quella “smania di altruismo” che è parte della nostra lunga storia, quella smania di altruismo che ha portato la generazione precedente alla mia a combattere il nazifascismo; quella smania di altruismo che ha portato la mia generazione nelle piazze per rivendicare diritti che oggi sembrano scontati; quella smania di altruismo dei Comitati per il No, che hanno difeso la Costituzione contro una pessima riforma; quella smania di altruismo che ha portato tanti di noi in piazza a Catania, a Riace, a Milano, a Verona, a Roma contro questo Governo e le sue politiche discriminatorie; quella smania di altruismo che spinge i giovani a protestare per la scuola e la cultura, e le donne a chiamare la piazza di oggi pomeriggio; la stessa smania di altruismo di Silvia e di tutti quelli come lei.
Facciamolo come loro, con la stessa smania di altruismo. Facciamolo perché vogliamo un Paese diverso. Facciamolo: cambiamo il mondo, col nostro impegno, un sorriso alla volta.
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(1) “Sono moderato, perché sono un convinto seguace dell’antica massima in medio stat virtus. Con questo non voglio dire che gli estremisti abbiano sempre torto. Non lo voglio dire perché affermare che i moderati hanno sempre ragione e gli estremisti sempre torto equivarrebbe a ragionare da estremista. Un empirista deve limitarsi a dire “per lo più”. La mia esperienza mi ha insegnato che nella maggior parte dei casi della vita pubblica e privata, “per lo più” le soluzioni, se non migliori, meno cattive sono quelle di chi rifugge dagli aut aut troppo netti, o di qua o di là. Io sono un democratico convinto. La democrazia è il luogo dove gli estremisti non prevalgono. La democrazia, e il riformismo suo alleato, possono permettersi di sbagliare, perché le stesse procedure democratiche consentono di correggere gli errori. L’estremista non può permettersi di sbagliare, perché non può tornare indietro. Gli errori del moderato democratico e riformista sono riparabili, quelli del estremista, no, o almeno sono riparabili solo passando da un estremismo all’altro. Il buon empirista, prima di pronunciarsi, deve voltare e rivoltare il problema… di qua nascono l’esigenza della cautela critica e…. la possibilità di sbagliare. Dalla possibilità dell’errore derivano due impegni da rispettare: quello di non perseverare nell’errore e quello di essere tolleranti degli errori altrui.”
(N. Bobbio, De senectute, Einaudi, Torino, 1996, p. 148).