Pietismo e buonismo

per Luigi Altea
Autore originale del testo: Luigi Altea

di Luigi Altea, 8 settembre 2017

In era fascista fu condotta la lotta al pietismo. Chi si opponeva alle leggi razziali, o manifestava preoccupazione per la sorte dei perseguitati, veniva definito spregiativamente pietista, e cacciato dal partito.

Chi oggi dimostra di conservare ancora un minimo di umanità, è sbrigativamente accusato di buonismo e qualificato, con disprezzo, come buonista.

Buonista è, a tutti gli effetti, un insulto violento, che dovrebbe indignare chi lo riceve.

Con la contorsione di una parola positiva (buono), si effettua la manipolazione di un pensiero, degradandolo a categoria morale inferiore. Per cui i buonisti sarebbero dei bonaccioni, idealisti con la testa per aria, irresponsabili e incapaci.

Gli altri, invece, quelli semplicemente “buoni”, sarebbero i realisti, i pragmatici, competenti ed efficaci, come il ministro dell’Interno, osannato tutti i giorni, soprattutto dalla destra.

Faccio fatica a credere che chi, come Marco Minniti, è cresciuto nel P.C.I., possa subire una personale improvvisa caduta di umanità, e smarrire il senso della militanza di una vita…

Aiutare, in casa libica, migliaia di esseri umani, consegnandoli alle cure di aguzzini, violentatori e torturatori, può ridurre la pressione sulle nostre coste, sopire le inquietudini dell’opinione pubblica, elevare l’indice di un personale gradimento, ma non dovrebbe riuscire ad alleggerire la coscienza di un ex comunista, e neppure del suo attuale partito.

Credo che le esibizioni muscolari del governo, peraltro conformi alle posizioni di sindaci, assessori e dirigenti del PD, più che ad una impensabile adesione al becerume della propaganda leghista, sia una risposta cinica alle crescenti insofferenze e ai sondaggi calanti…

Un modo, in pratica, per rivitalizzare il consenso, ricompattare le truppe e riconvertire i malumori in adesione entusiastica…

Migliaia e migliaia di vite umane derubricate, letteralmente sottoposte, cioè poste sotto l’esigenza politica di un partito di superare un momento di disaffezione, una fase declinante, e rinforzare un legame sfilacciato.

Migliaia di persone rinchiuse in campi di concentramento, e ridotte in condizioni impossibili perfino da immaginare, per un meschino calcolo elettorale.

Esseri umani senza neanche la speranza che un giorno arrivino gli Americani e l’Armata Rossa a liberarli.

Qui sta il punto di caduta più basso del governo e della sua maggioranza.

E qui sta la ragione dirimente, in virtù della quale col Partito Democratico nessun accordo dovrebbe poter essere neppure immaginato, da chi sinceramente ambisse, con coraggio e con pazienza, a dar vita ad una Sinistra degna e senza vergogna.

 

 

 

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