Piazze piene, urne vuote: lo schiaffo emiliano

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: il simplicissimus
Fonte: il Simplicissimus

Renzi 2

Sono davvero ammirato e sinceramente invidioso per la capacità dell’informazione mainstream di trasformare la caporetto renziana in Emilia- Romagna in una scaramuccia di secondo piano e la bocciatura senza appello del patto del Nazareno – con il conferimento di Forza Italia al guappo fiorentino in cambio  di impunità personale e patrimoniale per Berlusconi e i suoi – in un incidente di percorso dovuto alla scarsa agibilità politica dell’ ex cavaliere. Per non parlare di analisi comiche sulla modernità del non voto. Ammirato perché tutto dice che siamo alla fine di un paradigma politico di cui Renzi s’inserisce come un epigono, mentre i sicofanti cercano di vendere un pezzo di quarta mano per nuovo .

Il fatto stesso che il neo governatore emiliano, eletto da una percentuale di aventi diritto attorno al 18%, ora dia la colpa al sindacato, ovvero alla Cgil, dell’epocale astensionsimo, la dice lunga  sulla qualità del ceto politico in campo e sul suo animus. Naturalmente il dato che esplode  è quello dell’affluenza alle urne (37%,) che si è ridotta della metà rispetto alle europee di maggio. Ma dentro questo disastro se ne aggiunge un altro che chiama in causa in maniera anche più diretta il modello renziano perché per la prima volta dal dopoguerra il centrosinistra scende al di sotto del 50% nella regione. Noto che questo dato (a cui si potrebbe aggiungere quello delle europee che il premier usa impropriamente per legittimarsi) viene allegramente trascurato perché trasforma l’evidente rifiuto di un’offerta politica, in una più generica disaffezione alle urne. Se è vero che le percentuali al 6o – 70 % per il centrosinistra sono roba di dieci anni fa è anche vero che il 52 e passa del 2010 –   ottenuto con una partecipazione al voto enormemente più alta – è davvero un altro mondo. Anche perché con affluenze così basse gran parte del voto piddino  viene direttamente dal consolidato zoccolo duro degli apparati e relative aree clientelari. Un consenso praticamente autoreferenziale.

Parallelamente il boom della Lega Nord, è un ballon d’essai: il quasi 14% di quattro anni fa si è tramutato con l’astensionismo epocale nel quasi 20% di oggi, che al massimo potrebbe indicare una tenuta leghista contro previsioni di reflusso: l’effetto secondo partito è dovuto esclusivamente al crollo di Forza Italia, scesa all’8% a dimostrazione che nell’Italia renziana l’ensemble berlusconiano è ormai del tutto superfluo e che ormai la differenza viene fatta dalla xenofobia e dallo stimolo del senso di insicurezza. La stessa cosa potrebbe dirsi del Movimento cinque stelle che, facendo i conti con il non voto, rimane sugli stessi numeri del 2010 e dimostra però di essere entrato nel “cerchio della sfiducia” che coinvolge anche gli altri partiti.

Rimangono le dolenti note della sinistra più radicale (ma si fa presto con Renzi ad esserlo) che a stento arriva al 4 per cento, se non si tiene conto di Sel legato a doppio filo con il candidato Pd, Bonaccini. E’ ovviamente questo viene sfruttato da Renzi per svalutare le posizioni sindacali così come i malumori dentro il partito e per  pavoneggiarsi ancora una volta con una vittoria di fantasia, con le patacche della comunicazione per cancellare lo schiaffo che si è preso. Ma chi conosce la regione sa bene come le sinistre radicali siano state sempre cannibalizzate dalla macchina del vecchio Pci e dai suoi apparati, tanto da ottenere spesso risultati inferiori a quelli nazionali. Adesso quella macchina è stata ereditata dal Pd con tutte le conseguenze del caso, tanto che da un punto di vista puramente figurativo, i risultati sono più lusinghieri in Calabria che non in Emilia – Romagna. Non basta che al volante si sia messo uno chauffeur che gira sempre a destra per ridare vitalità a un settore politico che ha fatto di tutto per auto marginalizzarsi e  che proprio nelle ex regioni rosse si è sempre attovagliato con i resti del banchetto.

Non si può fare la sinistra per semplice differenza, pensando o sperando di acquisire consensi perché si rimane immobili mentre gli altri vanno a destra. Questo è esattamente il problema: non basta che la qualità dell’offerta politica cali o si trasformi in maniera così impressionante da non interessare più del 60% dei cittadini per pensare di sfondare, senza produrre nulla di sostanzialmente nuovo, una speranza che ci salvi dal pensare unico e tutto si riduca a tatticismo organizzativo che in se stesso è una resa. La realtà è sotto gli occhi se la si vuole vedere: un mese fa a piazza San Giovanni c’era il doppio delle persone che ieri si sono prese la briga di andare a votare Pd nella ex regione rossa per eccellenza. E’ da lì che bisogna ripartire. Piazze piene, urne vuote ribalta il proprio cinico significato.

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