Personale e politico, riscoprire le differenze

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 2 genaio 2018

I renziani sono fatti così, pensano sempre che sia una questione personale. Quando la sinistra se n’è andata dal PD lo avrebbe fatto per rancore, odio verso il segretario, perché chi lasciava voleva collegi, posti sicuri, sottopotere. Quando un sindacalista alza il dito e dice che stanno cancellando le tutele sul lavoro, allora i medesimi renziani insinuano che vuole candidarsi alle elezioni e quindi ‘fa politica’. Quando la Bonino nel suo piccolo si incazza per la questione delle firme, e minaccia di presentarsi da sola e non in coalizione col PD, dice ‘Repubblica’ che i renziani la accusano di volere soltanto più seggi sicuri. Mai una volta, mai una sola volta che qualcuno dello stato maggiore piddino pensi che possa esserci un problema, che la questione vada risolta senza insinuazioni, che la politica non è cosa personale ma un’azione collettiva per affrontare temi pubblici. E così D’Alema sarebbe un rancoroso, Bersani vorrebbe ‘comandare’, Speranza nutrirebbe solo ambizioni personali, Grasso sarebbe teleguidato, Fratoianni un’opportunista, la Camusso tramerebbe per diventare deputato: un manipolo di personaggi che punterebbe solo al proprio interesse personale o sarebbe preda di puri sentimenti di odio.

A forza di pensare la politica solo come leaderismo, azzardo, destino personale, ambizione individuale o di gruppo ristretto, si finisce per perdere l’uso delle altre categorie, quelle che la indicano come impresa collettiva e rappresentativa di interessi sociali. Come se di una mela si gettasse la polpa per nutrirsi del torso. Le classi dirigenti possono commettere errori o fare valutazioni sbagliate. Ma sono gruppi ampi, all’interno dei quali risiedono anche gli opportuni anticorpi. Diverso il caso di chi legge la politica come avventura personale di un outsider, e pensa che gli altri siano come lui, e come tali vadano giudicati (rancorosi, ambiziosi). In tal caso non ci sono anticorpi, tutto si uniforma attorno al personaggio, come uno stuolo di yes men, come un accrocco di seconde linee del Capo. I mali di un Paese dipendono anche da classi dirigenti ridotte a un singolo e intraprendente attivista, e alla cerchia di fedelissimi attorno, pronta a morire per lui e magari a tradirlo alla prima evenienza. Bisognerà correggere anche questo aspetto della politica italiana, e riportare un senso di collettività, di comunità, di organizzazione, laddove vige la regola dell’uno e dell’uomo solo al comando. Un Paese si salva tutto assieme, in uno sforzo collettivo, questa è la regola. Violarla è come mandare tutto alla deriva.

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