Periferie e alluvioni

per Gabriella
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Fonte: facebook

Alfredo Morganti – 18 novembre 2014

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C’è un’Italia che è sotto il fango e un’altra che è ormai così periferica e così degradata da rivoltarsi. Ce n’è pure una terza che diremmo di ‘periferia sommersa’, perché è entrambe le cose, alluvionata e fuori centro. Sono storie di marginalità, di progressiva lontananza che per capirle bisognerebbe viverle da vicino o dal di dentro, ben più che analizzarle anche acutamente da lontano. Tanto più se sei lontanissimo, tipo l’Australia. Ché si tratta di storie dolorose, che non spronano, che non illudono, che non ci fanno sognare. Storie di perdenti, di chi raccoglie acqua e fango da un negozio devastato o da una casa profanata. Oppure di chi ogni mattina impiega due ore per arrivare al lavoro, su treni che sono carrette, autobus che sono stracolmi, e i figli scendono di casa e non trovano nulla, se non panchine senza stecche, muretti disadorni, il degrado acceso come minimo comune denominatore quotidiano. Magari ci sono piccole biblioteche comunali, magari un oratorio per i più piccoli. Ma nessun cinema o quasi, nessun teatro o quasi, nessun filo rosso a stringere quella folla in una qualche sembianza di comunità. Restano solo i centri commerciali, sennò nemmeno quelli, e poi la destra che immancabile viene a soffiare sul fuoco del rancore che si accumula giorno per giorno. Per il resto solo tanta solitudine e una distanza tale dalle cose ‘centrali’ da mettere paura a chi tra quelle case brutte e periferiche non ci è nato e le osserva da lontano.

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Tutte storie (o tipi umani) su cui non è possibile costruire alcuno storytelling davvero efficace, perché non esaltano semmai deprimono, oppure fanno incazzare sino alla rivolta vera e propria (per giusta o sbagliata che sia). Vicende che non sono spendibili dentro un percorso di magnifiche sorti e progressive, che anzi andrebbero ‘silenziate’, come dice un pessimo neologismo di questi anni. Silenziate, ossia messe a tacere, ignorate comunque. Com’è stato, per certi aspetti, nel corso di questi giorni. Perché ‘siamo un grande paese, basta piangerci addosso’ dice il premier dagli antipodi. Anzi, agli antipodi. Tutto deve conficcarsi in una storia bella, come quelle storie aziendali dove di padre in figlio si sono passati la vecchia pasticceria che oggi è una multinazionale, e sono tutti belli e ricchi e italiani, secondo una genealogia di successo che nulla c’entra con Tor Sapienza o con la Liguria sommersa dal fango e dalla compassione. Basta piangerci addosso, insomma. C’è da raccontare storie belle, di successo, c’è da risollevarsi. E tutto quel fango non aiuta, né quella così evidente disperazione su cui i tg indugiano troppo – né quella gente sperduta in quartieri che non sono quartieri, ammassata e dispersa oltre mura e confini altissimi, insormontabili, che nemmeno si tenta più di scavalcare. Poi dice la sinistra delle ‘opportunità’. E non dice che le vere opportunità mancano dove mancano le risorse, dove la diseguaglianza è più forte, dove il male sociale abbonda e il confine taglia in due altrettante umanità: quelle centrali e quelle periferiche, quelle infangate, alluvionate, sommerse e quelle senza alcuno schizzo di fango indosso: ristrette oligarchie ben salde di là dal muro che sono sempre più forti, detengono risorse infinite, pesano sui consessi mondiali.

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