I perdenti della globalizzazione hanno votato

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti 25 giugno 2016

La globalizzazione e il processo di unificazione europea non hanno solo prodotto dei vincenti. Ci sono stati anche gli sconfitti, molti, quasi tutti appartenenti agli strati più disagiati delle popolazioni. Donne e uomini, a bassa scolarizzazione e quasi sempre indifesi sul piano sociale e culturale, su cui ha lavorato a tamburo la destra populista. Questo è stato la Brexit. Da una parte i ceti intellettuali, i giovani cosmopoliti, la classe media ancora a cavallo, gli strati sociali che la crisi l’hanno subita solo parzialmente o per niente. Dall’altra il risentimento sociale. C’è una povertà diffusa, un senso di incertezza e di disagio ingenerati da questi anni difficili di unificazione e di globalizzazione spesso selvaggia e senza regole, che hanno iniziato a presentare il conto, e che oggi ci restituiscono un’Europa più debole, un processo di unificazione azzoppato, scenari politici sempre più complicati, con il rischio di un vero effetto valanga.

D’altra parte, la ‪#‎Brexit‬ non intacca nemmeno un po’ i processi di internazionalizzazione economica che pure l’hanno indotta. Si è trattato più che altro di un riflesso condizionato dal disagio sociale e dalla propaganda, ma non di un fatto politico che possa davvero contrastare il movimento impetuoso di capitali e merci (lavoratori e migranti compresi) che probabilmente continuerà come se niente fosse, a parte lo scossone iniziale delle borse. Ci sono processi mondiali che non si fermano davanti a un ‘leave’ referendario, anche perché uscire dall’Europa non coincide affatto con il ristabilimento di nuovi equilibri mondiali e nuovi assetti di potere, oggi più che fluttuanti, prodotti dal capitale, dalle oligarchie sovranazionali che lo detengono, da strategie e scelte che si compiono bel al di sopra (o lateralmente) rispetto a qualsivoglia processo democratico, per quanto eclatante o spettacolare.

Scontiamo oggi e sconteremo ancora in futuro il fatto che il capitale faccia e disfaccia a proprio piacimento le regole comuni. Scontiamo l’idea che i morti e i feriti valgano una messa economica. Che l’Europa e il mondo debbano essere prima il palco dei capitali che si rincorrono e giocano coi nostri destini e poi, con comodo, anche gli scenari di una ridistribuzione più equa delle ricchezze. Ma oggi è palese che serve, ancor più urgentemente, un ridisegno dei poteri, la ricerca di un nuovo assetto che non assegni al capitale il compito del boia che decide sulle vite umane in base al mero tornaconto o alle percentuali di profitto computate a bilancio da qualche hedge fund. C’è la necessità di riscoprire l’esistenza umana (la sarta della periferia di Manchester o il cameriere immigrato, come esemplifica Marta Fana), prima che divenga una variabile inesplicabile di qualche astruso algoritmo impiegato per rendere istantanee le reazioni di acquisto dei titoli (ma non è già avvenuto?). Prima che l’equità si consideri una zavorra che frena la crescita (ma non è già avvenuto?). Prima che le ragioni del profitto sovrastino del tutto quelle dell’umanità che affonda (ma non è già avvenuto?).

Se una sinistra esiste, deve prendere di petto queste questioni. Tornare a leggere i conflitti sotto la lente delle disuguaglianze e delle gerarchie sociali. Tornare a riclassificare i fenomeni economici in base agli effetti dirompenti che producono direttamente sulla vita delle persone. Perché sennò quelle persone le perdi. E dalla tua parte troverai soltanto i vincenti, che saranno sempre meno, mentre dall’altra (con Farage, con Le Pen, con Salvini e compagnia cantante) ci andranno i perdenti, che saranno sempre più. Sino a che, a forza di dividere, frazionare, asserragliarsi nella propria piccola patria, e rimarcarne conseguente i confini, questi ultimi non torneranno a essere di nuovo muri. Un nuovo feudalesimo, insomma. Un ritorno di nazionalismo e poi il rumore di tacchi e stivali che risuonano. Muri alti, possenti, come già vediamo dinanzi agli immigrati (e alla povertà e allo sradicamento che essi rappresentano per primi). Che poi è forse quel che ci meritiamo, come europei, come italiani, come donne e uomini della sinistra manifestamente impotenti, incapaci, inermi dinanzi all’ondata di disagio sociale e di nuova povertà di classe che sta montando e prende adesso la forma inequivocabile di un voto popolare.

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