di Alfredo Morganti – 8 dicembre 2016
Le “comunicazioni” di Renzi in Direzione sono quelle di uno che ha vinto, che sente di aver vinto, e che perciò si attende che il destino lo risarcisca. È stato un elenco di cose fatte, tutte fenomenali, tutte fantasmagoriche. L’ex premier è prigioniero di una veste comunicativa che lo costringe nei panni dell’eterno vincente. Non una parola sulle ragioni della sconfitta, che evidentemente è ritenuta una vittoria. Non una parola sul disagio sociale, che ha condizionato il voto. Non una parola sulle crepe che hanno traversato questo Paese nel corso di una campagna elettorale spaccatutto. Tutta materia che deve essere nascosta, messa sotto il tappeto, perché dare l’impressione del perdente è da perdenti, appunto, mentre lui è un vincente, anche quando si trova sull’orlo di una specie di precipizio. Ha rivendicato la novità delle sue dimissioni (ha dimenticato che D’Alema le aveva già pronunicate, con meno ragioni delle sue, nel 1999 da premier), non ha detto che restando Segretario del PD ha solo spostato il suo tavolo da gioco da Palazzo Chigi al Nazareno. Si è dimesso, ma in breve sta lì.
Alla fin fine, sembra che il No abbia vinto soltanto per mera incomprensione popolare della bellezza della riforma, perché se essa fosse stata compresa sino in fondo avrebbe preso il 100% dei consensi, come in Bulgaria. Dalle parole di Renzi, dalla sua postura, dal sua giovialità in Direzione, sembra che nulla sia accaduto, perché tanto la sua politica è così giusta, così confacente, così aderente alla verità inconcussa, che l’autocritica, quella vera, che va alla sostanza, è roba da poracci, da gufi. Così come i dibattiti, che pretendono di discutere la linea sempre vincente del Capo: ma come si permettono! Bastano gli applausi, basta un sì, e poi ancora gli applausi e le risatine alle sue battute. Diciamolo in fondo: ma non è meglio farsi una bella risata, piuttosto che dare l’impressione di scavare un po’ nelle cose, magari in modo tormentato, faticoso, e di cavarne delle ragioni per cambiare un pochino, almeno un pochino, la propria strategia, che al termine di questi tre anni è andata sbattere contro un muro in modo così fragoroso? Renzi oggi mi è parso Leonardo Pieraccioni che, nel ‘Ciclone’, dopo essere andato a sbattere contro un muro col suo motorino, si è subito alzato con il solo manubrio in mano, dicendo: non-è-suc-ces-so-nien-te! Pessima ‘narrazione’, direi, ancora una volta.