Il supplemento La Lettura di domenica 1 dicembre ospita un lungo articolo di Alessandro Piperno sulle ragioni per mettersi alla tastiera, in cui si legge che si può scrivere spinti dall’ambizione, per responsabilità, gravidi di odio o di piacere. E l’autore si spinge fino a vedere nella scrittura una necessità impellente in bilico tra vizio e tortura. Naturalmente, nella vigna di chi scrive c’è una grande varietà di autori ed altrettanti motivi profondi e reconditi, è illusorio generalizzare considerando il solo punto di vista di chi scrive libri destinati a lettori compratori attraverso la vendita. Sono però rimasto sorpreso da alcune affermazioni relative a chi leggerà quanto scritto, al fatto che i lettori sono indispensabili per chi scrive, il suo ossigeno e la sua ragione di esistere.
Scrivere solo per sé stessi, ci dice Piperno, vale soprattutto per chi non ha altri per cui farlo, per chi ha dovuto mettere una pietra sopra ad ambizioni e sogni di gloria. E continua dicendo che scrivere, senza la prospettiva di essere letti, è una forma patologica che può essere assimilata a quelli di certi alienati che parlano da soli (sic). Non c’è modo di eludere il teatro del mondo, sebbene a malincuore Piperno riconosca che c’è sempre la tentazione di scrivere come esperienza intima.
Appunto, una tentazione a cui non mi sono sottratto. Mi viene da sorridere pensando alle volte che rifletto a voce alta, tra le quattro mura di casa dove vivo. È un piacere e una necessità, ci si sente vivi ed attivi nel silenzio riconfortante. Ho cominciato a tenere un diario quando anni addietro ho visto diminuire a vista d’occhio la mia capacità di tessere un discorso orale a lungo. Come sono lontani i tempi quando parlavo in classe senza appunti! Lo spunto per tenere il diario era ed è dato da ricordi e memorie, nuovi punti di vista, riflessioni, meditazioni. Chiarisco che sono una persona che scrive ma ciò non fa di me uno scrittore. L’ho ripetuto in cenacolo di amicizie, rivendicando il diritto, e quindi la libertà, di riflettere attraverso le parole su quanto osservo e ritengo meriti la mia attenzione. Da tempo ho scoperto questo valido alleato nell’epoca in cui ho visto anche retrocedere la mia capacità di esporre idee e punti di vista in conversazioni. Quindi, scrivo per fissare idee altrimenti volatili, per collegare impressioni in un organismo fatto di parole a cui cerco di dare vita. La cosa si è allargata dal diario a qualche riflessione inviata via posta elettronica a conoscenti, aggiornando l’antico uso delle lettere e le corrispondenze di lontano ricordo. Poi, ho scoperto la rivista online che amabilmente ospita queste riflessioni, il che mi dà una gioia addizionale al momento di scegliere l’immagine compagna. E giro il tutto a quelle potenziali anime lettrici, con le quali si è stabilita da tempo una cordata, ma la corda a volte si sfilaccia e non sempre serve all’uso. Si stabilisce, episodicamente, un dialogo fatto di dubbi e chiarimenti. Quello che voglio dire è che ho una necessità vitale di annotare, riflettere, mettere ordine nelle idee e trovare connessione. Serve im primis a me stesso scrivere. È quel dare forma a qualcosa di nuovo, di nuove coerenze e nuove comprensioni, almeno questa l’intenzione. E del resto, grandi opere letterarie e filosofiche sono nate proprio da diari e corrispondenze tenute segrete e scoperte posteriormente, il che mi conforta.
Su una cosa sono d’accordo con Piperno: le parole non servono solo a dare un nome alle cose, bensì a realizzarle, a conferire loro sostanza e verità. L’Io di chi scrive si illumina quando la parola ignorata e trascurata fa la sua apparizione e ci rivela segreti. Anche nella nostra esperienza sono quei rari e fugaci momenti in cui si fa luce, quando per istanti conosciamo il nostro essere in attività. E poi la parola vibra nell’anima, oppure non va. L’anima che approva sé stessa può fare a meno del giudizio esterno, e allo stesso tempo nessuna approvazione esterna può confortarla se è scontenta di sé stessa. Nel mondo della cultura, per citare un esempio, sono proprio le anime dedicate alla poesia che tendono a ritirarsi nella propria stanza di forma consapevole e volontaria. Le anime lettrici verranno dopo, se verranno. Ma che qualcosa venga ignorato all’esterno non significa che scompaia dal Cosmo.
Volevo dire che scrivere breve testi che nascono da riflessioni personali serve soprattutto come registro di un passo dietro l’altro nella camminata terrestre. La crescita personale e il parlare da soli non lasciano indifferente il Cosmo ma possono arricchirlo con un granello di sabbia. Altro non sappiamo.