Perché il mondo della scuola punirà il Pd. Perché quel popolo può trovare le sue ragioni

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Claudia Pratelli
Fonte: huffingtonpost

di Claudia Pratelli – 5 febbraio 2018

La prima questione, il contratto.

Sono circa dieci anni che manca all’appello il rinnovo contrattuale, con annesse retribuzioni ferme per i lavoratori della scuola. Non sono i soli, ma in questo caso stiamo parlando di una categoria che è cardine di un’infrastruttura civile tra le più importanti del nostro paese -la scuola- con retribuzioni ben al di sotto della media europea.

La verità indicibile è che il valore economico riconosciuto agli insegnanti corrisponde al mancato valore sociale riconosciuto dalla politica alla funzione che svolgono.

Negli anni recenti, del resto, la musica è stata questa: non rinnovi contrattuali, ma bonus. Non diritti, ma favori. E così sono arrivati a poca distanza gli 80 euro -per tamponare (e forse delegittimare) i contratti collettivi non rinnovati- e il bonus premiale, oltre a quello per la formazione dei docenti. Non ha funzionato. Per questo il partito di maggioranza di governo, già in seria crisi di consenso, deve chiudere rapidamente la partita.

La pessima scuola di Renzi

Parallelamente si è svolta un’altra brutta storia, quella della “buona scuola“, esempio ormai usato nelle classi per spiegare ai ragazzi il significato della parola ossimoro.

Chiamata diretta, bonus premiale, alternanza scuola lavoro, delegittimazione degli organi collegiali. Quella pessima legge ha disegnato una scuola gerarchica e autoritaria, il contrario, cioè, di quello che serve per tenere insieme una comunità educante che si regge sulla cooperazione tra le componenti.

E la libertà di insegnamento è stata lesa in cambio di assunzioni. Assunzioni dovute, è bene ricordarlo, letteralmente obbligate dalla sentenza della Corte di Giustizia Europeache aveva sanzionato l’Italia per lo scandalo del precariato.

Sì perché lo Stato e in particolare la scuola sono stati e sono ancora una poderosa fabbrica di precari: insegnanti, educatori, personale Ata, assunti a settembre per essere licenziati a giugno se va bene, oppure costretti al pellegrinaggio delle supplenze brevi. Un mondo nel quale si sono consumati i peggiori esperimenti di guerra tra poveri, tra ultimi e penultimi.

L’alternanza scuola lavoro

Merita una menzione a parte il tema che ha occupato la cronaca dei giornali per incidenti, a volte gravi, molestie subite, episodi di sfruttamento, di lavoro gratuito o di indebito profitto per le imprese. Non casi patologici, purtroppo, ma esito naturale di un meccanismo che obbliga le scuola, per un numero spropositato di ore, a praticare alternanza scuola lavoro senza nessun vincolo di pertinenza col percorso formativo dei ragazzi né garanzia di sicurezza e qualità della formazione resa dai soggetti ospitanti.

Troppe dimenticanze per non far pensare che l’idea fosse esplicitamente quella di un percorso di addestramento per i ragazzi al lavoro purchessia, anche gratuito. Con la definitiva resa della scuola alla funzione di immaginare –e costruire- un mondo (anche del lavoro) diverso.

Il divorzio

In una stagione depressa, come quella della crisi, hanno fatto fatica a levarsi le voci di protesta. È andata sostanzialmente così nell’ultimo decennio, ma non per tutti. C’è stato un movimento che ha attraversato il paese: quello contro la “buona scuola”. Trasversalità sindacale, uno sciopero con oltre l’80% di adesione e manifestazioni spontanee che per qualche mese, nella primavera del 2015, hanno attraversato le città.

A tutto questo si sono aggiunte voci autorevoli di critica radicale a quella legge. Eppure poche volte come in quell’occasione la maggioranza di governo è stata sorda alle voci che si alzavano letteralmente sotto le sue finestre.

Anche i più sensibili o critici parlamentari del Pd richiamati all’ordine al momento del voto; costretti a inventare e giustificare assenze, o, proprio i più coraggiosi, a uscire dall’aula al momento del voto. Sostanzialmente niente delle istanze di quel movimento è stato assunto della legge, né si è consentito di modificare il provvedimento.

Una proposta

Promettere una riforma della scuola, dati i trascorsi, suonerebbecome una minaccia. La proposta irrifiutabile, invece, è spazzare via le riforme tossiche delle stagioni passate a partire dall’abolizione de “la buona scuola” e mai più pacchetti riforma preconfezionati, magari in nuove e scintillanti slide.

Serve invece aprire un dibattito nel Paese e del Paese sulla scuola, sulla sua funzione in un mondo in rapido mutamento, sui saperi necessari alla società contemporanea; sui linguaggi e gli strumenti per parlare a tutti.

In primo luogo, tuttavia, occorre partire dall’essenziale: restituire alla scuola gli strumenti per svolgere la propria missione costituzionale. Si tratta di organico, diritto allo studio, edifici sicuri e risorse fondamentali. E dignità.

Abolire le classi pollaio, ripristinare ed estendere il tempo pieno, sostenere le compresenze, generalizzare la scuola dell’infanzia pubblica e ancora prima moltiplicare il numero di posti disponibili negli asili nido (oggi i nidi pubblici coprono solo il 13% dei bambini) necessita prima di tutto di personale. Personale con retribuzioni all’altezza della funzione che svolge.

Consentire a tutti di accedere all’istruzione dall’asilo all’università richiede prima di tutto di abolire le barriere economiche all’accesso. Liberi e Uguali ne ha fatto il primo dei suoi punti programmatici: gratuità dell’istruzione dall’asilo all’università.

Dice Luppino che il mondo della scuola probabilmente punirà il PD. E mi sembra il minimo. Dice anche Luppino che non lo farà a vantaggio di chi sta a Sinistra. Su questo vale invece la pena sospendere il giudizio fino al 4 Marzo. Perché, a Sinistra, quel popolo, può trovare le sue ragioni.

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