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di Luca Billi 14 marzo 2015
Quello che sta succedendo in questi giorni nel nostro paese rende sempre più necessaria e urgente la creazione, tra noi di sinistra, di una coalizione sociale, ampia e resistente. Uso questo aggettivo non a caso, perché credo occorra trovare tra di noi uno spirito di collaborazione tra diversi, che fino ad ora è evidentemente mancato e ci ha resi deboli, in balia di una forza che, diventata egemone culturalmente prima che politicamente, ci sta lentamente fagocitando.
Il partito di governo è sempre più forte e sempre più arrogante. In questo momento non esiste alcuna alternativa politica possibile al blocco di potere che si è aggregato intorno al pd renziano. I piccoli partiti della sinistra radicale, oltre a essere divisi da suggestioni ideologiche a questo punto incomprensibili – che spesso nascondono antipatie personali e rancori, ancora più incomprensibili – sono in alcuni casi tentati dal rapporto con il monolite renziano, nell’illusione, per loro mortale, di riuscire a spostarne il baricentro politico, che rimane invece ormai saldamente ancorato a destra. Mi dispiace doverlo dire ancora una volta, ma la parabola di Vendola è ormai finita, visto anche che è al termine la sua esperienza amministrativa, che ha avuto qualche luce, ma troppe ombre.
A destra l’unica prospettiva possibile – e l’unica che viene mantenuta in vita dal sistema dei media, finanziati da quegli stessi poteri che finanziano il pd – è quella della Lega, a cui presto o tardi si unirà anche quel che rimane del populismo berlusconiano. Renzi ha interesse ad avere come unico interlocutore ed avversario una destra impresentabile e credo lo vedremo presto alle elezioni regionali in Veneto: la radicalizzazione lepenista della Lega, il suo abbraccio con i cascami del fascismo italiano, l’uscita di amministratori moderati di centrodestra come Tosi, favoriscono il pd anche in quella regione finora ostile, perfino con una candidata impresentabile come Alessandra Moretti.
Poi c’è Grillo, la cui forza politica, per quanto non irrilevante, rimane ai margini, finendo comunque per costituire un puntello per l’egemonia renziana. Se le alternative sono Salvini o Grillo, Renzi diviene un candidato accettabile perfino per un pezzo – grande, troppo grande – della sinistra. In questo è evidente la forza del pd di Renzi, non tanto nella capacità di attrarre una parte di ceto politico – Migliore e la Giannini sono le maschere farsesche di quel trasformismo che è così tipico nel nostro paese.
Non illudiamoci poi che nasca una qualche resistenza dentro al pd: al di là di qualche dichiarazione, forse di qualche uscita che avverrà nei prossimi mesi, non è da lì che rinascerà un barlume di sinistra in Italia. Anche perché il pd è figlio – per quanto degenere e degenerato – dei Ds, è figlio nostro, della nostra incapacità di elaborare una risposta politica di sinistra all’affermazione sfrontata e violenta dell’ideologia ultraliberista. Noi, con le nostre “terze vie”, con i nostri ragionamenti capziosi sul riformismo, con la nostra incessante ricerca del centro, e soprattutto con una pratica di governo, nazionale e locale, che non ha dato un segno forte, ma ha semplicemente scimmiottato le politiche di destra, siamo i responsabili della nascita di Renzi. E quindi suonano un po’ patetiche – al di là della simpatia personale che io continuo ad avere per l’uomo – certe riflessioni di Bersani. Noi – e non Renzi – siamo quelli che abbiamo finanziato le scuole paritarie, che abbiamo introdotto una miriade di contratti atipici, che abbiamo privatizzato tanti beni pubblici e la lista potrebbe continuare; mi fermo per carità di patria. Scusate, ci siamo sbagliati. Adesso proviamo a ripartire, anche forti di quegli errori.
Il segno della forza di questo disegno egemonico – di cui Renzi è soltanto la punta dell’iceberg, la faccia presentabile e manovrabile, da spendere in campagna elettorale – è in due provvedimenti con cui il governo in questi giorni – e significativamente uno dopo l’altro, uno insieme all’altro – ha voluto rendere evidente il proprio disegno “riformatore”, come lo chiamano loro: la pesante modifica dello Statuto dei lavoratori, con la cancellazione dell’art. 18 e l’introduzione del demansionamento, e la riforma costituzionale – peraltro votata dalla sola maggioranza – con l’abolizione del senato, lo spostamento del potere sull’esecutivo e la riscrittura di quasi tutta la seconda parte della Costituzione. Questi due provvedimenti, anche nel loro carattere simbolico, svelano il carattere autoritario e di destra di questa maggioranza, a cui si accompagna una retorica genericamente rivolta alla coesione sociale, tesa a impedire il conflitto, a presentare la lotta sociale come un male in sé.
E non a caso adesso il nuovo bersaglio di questa forza egemonica, dopo aver annientato il maggior partito del centrosinistra, è la Cgil, ossia l’ultimo corpo sociale intermedio rimasto nel paese. Per un potere autoritario e populista i corpi intermedi sono un intralcio, perché ha bisogno di entrare in una relazione emozionale con il popolo, senza passaggi intermedi. E quando non funziona l’incantesimo ci si può sempre rivolgere ai cacicchi di turno, ai vari De Luca sparsi per la provincia italiana, ai sempiterni gestori di clientele. Lo so che la Cgil ha delle responsabilità per quello che è successo, sono parte delle responsabilità di cui parlavo prima, quelle che abbiamo anche noi, però non possiamo fare l’errore di accodarci a quelli che sputano su questo sindacato – sugli altri due sputiamo pure, non meritano di più – ne abbiamo bisogno adesso e ne avremo bisogno dopo. Senza la Cgil, pur con tutti i suoi limiti – e magari un po’ meglio di quella con cui ci confrontiamo adesso, un po’ più consapevole del suo ruolo politico e sociale in questa fase di emergenza, un po’ meno attenta a certi equilibri politici e più attenta ai bisogni degli ultimi della società, un po’ più di lotta e un po’ meno di governo, come si diceva con un antico slogan – non nascerà la coalizione sociale.
Questo governo ha chiaramente scelto da che parte stare, senza infingimenti: dalla parte di Confindustria, dei padroni, delle rendite, di cui ha sposato il programma, in parte andando perfino oltre i loro desiderata – un po’ come successe negli anni Venti con il fascismo – e garantendo a queste forze tutti i vantaggi legati alle privatizzazioni e alle liberalizzazioni. Perché purtroppo il capitalismo italiano non è solo feroce ed avido, come quello degli altri paesi, è anche disonesto, arruffone, sempre pronto a legarsi alla criminalità. E adesso è vincente, e senza freni.
Spero di aver chiarito che si tratta di una situazione di emergenza, un’emergenza a un tempo democratica e sociale, a cui dobbiamo rispondere in maniera decisa, con risposte di emergenza. Prima di tutto rinunciando alle primogeniture, agli esami dei quarti di nobiltà di sinistra dei nostri interlocutori. Se hai fame, prima di chiederti di partecipare alla coalizione sociale, dovrei provare a offrirti un pasto, se sei malato, prima di chiederti di votare per la sinistra, dovrei provare a curarti. Noi non abbiamo ancora le pezze al culo come la Grecia – anche perché nelle regioni più povere del Mezzogiorno la criminalità organizzata sostituisce lo stato nella gestione del welfare – ma ci arriveremo e, se ci arriveremo avendo già l’idea di costruire una rete solidale di mense, di ambulatori, di servizi di aiuto per i bambini, per gli anziani soli, per i più deboli, la rinascita di una sinistra sociale sarà un po’ meno difficile. E partirà da lì o non ripartirà.
Visto che loro ci attaccano sui fondamentali, ossia su democrazia e lavoro, noi dobbiamo resistere su questi stessi fondamentali, riscoprendo i valori fondanti di una sinistra che deve essere critica in maniera spietata degli attuali rapporti sociali e deve avere l’ambizione rivoluzionaria di trasformarli. In maniera radicale e non violenta.
Un compagno ha richiamato giustamente un pensiero di Antonio Gramsci che faccio mio:
Mi sono convinto che anche quando tutto è perduto, bisogna mettersi tranquillamente all’opera ricominciando dall’inizio.
Adesso tutto è perduto e noi non siamo tranquilli, siamo esasperati, siamo arrabbiati – e dobbiamo continuare ad esserlo – e per questo dobbiamo ricominciare dall’inizio, da una coalizione sociale che affondi nel territorio, avendo come valori la Costituzione, il lavoro, l’uguaglianza, la solidarietà.