Per Massimo D’Alema

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 13 settembre 2017

Massimo D’Alema non è un leader che ha bisogno delle mie difese, tutt’altro. Più facile viceversa. Una cosa però la voglio dire. Nel tempo è sempre stato ritenuto da molti una sorta di belzebù della sinistra. Gli hanno addebitato di tutto: dalla barca, alla crostata, alle scarpe, al cane, alle sconfitte, alle trame, c’è mancato che dicessero che fosse persino laziale. Ci sta, lo capisco, i grandi uomini politici dividono la platea tra sostenitori e detrattori, suscitano grandi passioni e grande stima, così come il contrario. Appaiono persino divisivi quando invece sono unitari, e Massimo D’Alema credo abbia fatto dell’unità il suo verbo politico, vista anche la nobilissima scuola donde proviene. Detto ciò, e dato a Cesare quel che è di Cesare, fatemi dire che c’è in questo dare addosso al personaggio una certa ingiustizia e anche un certo sussiego verso il mainstream circolante anche a sinistra.

Nella vicenda Pisapia, il metodo è stato applicato ancora un volta in modo rigoroso. Ma stavolta ribaltato. D’Alema, è stato detto da molti, era contro l’ex Sindaco di Milano, contro il suo coinvolgimento in un progetto di centrosinistra alternativo al PD e non si riconosceva nella strategia prescelta dagli altri dirigenti di Articolo 1. Lui avrebbe voluto, invece, un grande rassemblement di sinistra, libero da ipoteche ‘centriste’. D’Alema, secondo taluni, si opponeva ai ‘bersaniani’ e lo faceva tenendosi discosto dalla vita del movimento, scegliendo un percorso personale che lo portava in giro per l’Italia quasi in solitudine. Questo il succo di molto pensiero circolante in questi mesi. Che rispetto, ma che non mi sento di condividere. Obiettivamente, qui D’Alema era usato ‘divisivamente’, era contrapposto al restante gruppo dirigente di Articolo 1, fungeva quasi da leva ‘tattica’ per scardinare i progetti di questo movimento. Ancora una volta era tenuto da parte, isolato, ma non per indicarlo come belzebù, piuttosto come l’angioletto della sinistra, quello a cui i feroci ‘bersaniani’ volevano mettere la mordacchia.

Dico allora due cose. La prima è che, come non era il diavolo prima, anche adesso non è affatto un angioletto. D’Alema è D’Alema, abile, intelligente, un leader forte e coraggioso a cui pochi riescono a star dietro, e per questo se ne dolgono gravemente, mettendolo così al centro di ‘narrazioni’ che lo vedono sempre intento a imbastire trame politiche o a girare in barca o a indossare scarpe da milionario oppure a non raccogliere le cacche del proprio cane. La seconda, dipingerlo come ‘divisivo’, come contrapposto ai ‘bersaniani’, come isolato dal gruppo dirigente, in una rigida posizione antipisapiana, è davvero fargli torto. L’uomo dell’unità dipinto come un antiunitario! Non ci sono solo le prove a dimostrare il contrario, ma anche il carattere e la natura dell’uomo a testimoniarlo. Se lo si conoscesse davvero bene, nemmeno staremmo qui a discutere di tali quisquilie, tali da immaginarlo su altre strade rispetto al raggruppamento dove ha invece scelto di militare. Ieri, per dire, era presente all’accordo tra Articolo 1 e Campo Progressista, e non credo che fosse lì per stare in disparte, tenere il muso o peggio per seminare zizzania.

Due mesi fa uscì una sua intervista al Fatto Quotidiano che faceva chiarezza sulle sue opinioni personali. Titolo dell’intervista: “Primarie a novembre e Pisapia è il mio leader”. D’Alema parlava della necessità di un soggetto unitario, diceva che “Pisapia ci ha fatto fare un salto di qualità nel percorso per un nuovo soggetto politico di centrosinistra”, e che lo avrebbe voluto persino candidato in Parlamento, auspicando la necessità di una consultazione popolare a novembre, immagino per legittimare una leadership. Specificava che “con un sistema proporzionale […] non c’è un candidato premier da scegliere. Serve un leader unitario, non un candidato premier”. Indicando, con ciò, anche quale fosse la natura della leadership richiesta: non un Capo di governo in pectore, non un uomo forte, uno a cui assegnare deleghe in bianco, ma un portavoce politico, un coordinatore, un testimonial, un ‘federatore’ appunto, con tutto il carattere ‘pratico’ affine a questa definizione. Mi pare, d’altra parte, che le cose stiano progredendo in questa direzione (più o meno), così che già questo risarcisce l’uomo, e gli rende giustizia anche riguardo alle sue posizioni effettive. Con tutti i dubbi che volete, certo, perché quelli non mancano mai. E chi non ne ha mai avuti, di dubbi, scagli la prima pietra. Prego.

PS. Massimo d’Alema è stato il mio segretario della FGCI, quando io dirigevo, a fine anni settanta, un circolo di borgata a Roma, ed eravamo circondati da emarginazione, eroina e disagio sociale diffuso. Da lui (e dagli altri del gruppo dirigente del PCI) ho imparato la parola d’ordine dell’unità. Che non voleva dire fare pateracchi, ma lavorare sempre al dialogo ravvicinato, nessuno escluso, ‘mediare’ per il bene comune, concepire la lotta come confronto serrato, anche duro, senza cercare cortili dove sentirsi politicamente liberi e pacificati, e avendo sempre lo sguardo rivolto ai lavoratori, agli ultimi, ai più distanti dal potere, a chi pagava il conto delle cene altrui. Ecco, tanto gli dovevo 40 anni dopo.

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4 commenti

Pasquale D'Avolio 13 Settembre 2017 - 17:54

D’accordo su tuttto. Avresti potuto aggiungere che l’idea dell’Ulivo e di Prodi come leader è partita da lui nel 1995. Tuttavia nell’ultima vicenda dell’art.1 MDP non puoi non vedere una certa differenza tra lui e Bersani; quest’ultimo, ottimo ministro e buon politico oltre che persona “piacevole”, mi pare si affidi “mani e piedi” (come si dice)

a Pisapia e non tenga suffcientemente conto della sinistra non-ulivista, a cui invece D’Alema guarda con preoccupazione, qualora venga emerginata ed esclusa dal nuovo soggetto. Mai più investiture dall’alto insomma e rischi di plebiscitarismo o cancellazione dell’idea di partito, alla Parisi per intenderci. Rocordarsi di Gargonza! Spero che alla fine prevalga la sua linea.

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Alfredo Morganti 14 Settembre 2017 - 8:20

Alla fine prevarrà una linea di mediazione, come avviene sempre in politica, sempre ammesso che l’eventuale distanza tra Bersani e D’Alema sia così pronunciata come dicono tutti, e comincio a pensare che si sia diffusa una microleggenda metropolitana. E comunque D’Alema e Bersani sono due persone sagge e oneste intellettualmente, e conoscono meglio di tutti la situazione tragica in cui versa la sinistra italiana e quel che va fatto in situazioni come questa, ossia unirsi, senza rinchiudersi nel proprio piccolo cortile di casa, anzi cercando di sfondare i recinti.

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Cataldo Modesti 15 Settembre 2017 - 20:33

Tutto condivisibile. Tuttavia, chi ci ha educato al valore ed alla ricerca dell’unità, è singolare che sia divenuto il protagonista di una scissione. P.S. A rottamare D’Alema non è stato Renzi ma Bersani. Le liste nel 2023 le fece Bersani che disponeva di qualche decina di candidature a titolo personale e disse a D’Alema che se voleva candidarsi doveva fare domanda per ottenere la deroga. Credo che sia stata l’umiliazione più forte per Massimo.

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